Poco dopo la notizia dello schianto dell'elicottero sui cui viaggiava Kobe Bryant insieme ad altre otto persone, Felicia Sonmez è stata sospesa dal Washington Post per aver twittato un vecchio articolo sulla vicenda della stella del basket con una cameriera 19enne, avvenuta nel luglio del 2003 in un albergo di Eagle, in Colorado. Tutto si chiuse nel marzo del 2005, con un accordo civile extragiudiziale, i cui contenuti non furono mai resi noti.
Ci fu però una lettera di Bryant - meno famosa, questo sì, della conosciutissima Dear basketball che gli valse il Premio Oscar nel 2018 per un cortometraggio - in cui il giocatore si scusa e parla di un fraintendimento. Ovvero, per lui era sesso consensuale, ma ora si rendeva conto che, invece, per la ragazza non era stato affatto così. E se ne dispiaceva.
Lunedì 27 gennaio, cioè il giorno dopo i fatti, Tracy Grand, uno dei redattori del Whashington Post aveva dichiarato in una nota, che la Somnez era stata messa in congedo amministrativo perché il suo commento aveva reso più difficile il lavoro dei colleghi. Purtroppo i tweet sono stati cancellati, come sono stati cancellati anche i tweet di minacce di cui la giornalista è stata subissata, e quindi per noi non è possibile verificare i contenuti dei medesimi.
È fuori di dubbio che la tempistica scelta dalla giornalista è stata nefasta ma è altrettanto vero che se un giornalista viene punito per aver detto con un suo tweet un fatto vero c'è da farsi qualche domanda su quanto i giornalisti vengono tutelati e protetti al giorno d'oggi per portare a termine il loro compito.
Una considerazione ancora più importante riguarda i processi di canonizzazione: laici o religiosi che siano, riguardino Kobe Bryant o Madre Teresa di Calcutta. Dai tempi del Monte Sinai, con il povero Mosé lasciato solo nel suo colloquio con Dio, noi uomini moriamo dal desiderio di poter idolatrare qualcuno a patto che non sia il vero Dio. Che l’idolatria riguardi i biblici vitelli d'oro del popolo rimasto ad aspettare o gli archetipi degli uomini e delle donne che vogliamo a tutti costi vedere come perfetti, poco importa. Però dovremmo accorgerci quando scattano dentro di noi questi meccanismi, perché nessun uomo è perfetto, nessun eroe sportivo o religioso che sia è stato senza difetti, e risvegliarsi da simili deliri mediatici per esserci entrati con tutti e due i piedi, è sempre molto doloroso.
Senza dimenticare che l'idealizzazione di qualcuno è sempre - sempre - un modo per manipolare il povero malcapitato. Che quanto più sente crescere il rumore degli applausi tanto più forte dovrebbe sentire la corda del cappio che gli si stringe attorno al collo.