In Europa ci sono davvero dei Piigs? Un documentario per riflettere
Obiettivo dell'opera: spiegare la crisi economica europea a tutti. Con contributi di personaggi autorevoli

Sta diventando un caso il nuovo film sulla crisi economica: PIIGS. Un documentario che vale la pena vedere per dare uno sguardo d’insieme a quanto avvenuto nel nostro continente negli ultimi anni. E che sta avendo un successo davvero inatteso: stando a dati Cinetel diffusi dagli stessi registi, è il documentario più visto in Italia nel 2017. L’acronimo PIIGS, che ricorda la traduzione inglese della parola “maiali”, è ormai molto noto, e sta ad indicare i 5 Paesi europei più colpiti dalla crisi economica: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna. Essi sarebbero colpevoli di avere una spesa e un debito pubblico troppo alto, di cui inoltre farebbero un uso, per l’appunto, da maiali. E sempre su questo solco qualcuno aveva letto le dichiarazioni di Djsselbloem, che criticava i Paesi che hanno ricevuto assistenza finanziaria dalla UE per essersi spesi tutti gli aiuti in “alcol e donne”[1].
La programmazione del film viene decisa di settimana in settimana. Le prossime date verificatele direttamente sulla pagina Facebook del documentario.
Di cosa parla PIIGS
Il documentario di Adriano Cutraro, Federico Greco e Mirko Melchiorre, trio romano di registi e sceneggiatori e fondatori dello casa di produzione Studio Zabalik, cerca di cambiare la narrazione della crisi focalizzando l’attenzione, diversamente da quanto fatto dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale (la nota Troika), sulla instabile architettura europea. La voce narrante dell'attore Claudio Santamaria spiega che queste economie, la Grecia in particolare, sono da tempo più deboli di quelle del Nord, Germania in primis; queste ultime hanno, nel corso degli anni, prestato soldi sia ai bilanci pubblici che a quelle privati di quelle del Sud così’ da sostenere i livelli di consumo. All’arrivo della crisi finanziaria nel 2007-08 il sistema è andato in tilt, la crescita economica è stata compromessa e i creditori, anch’essi in crisi, non si sono più fidati dei debitori. “Ma perché si erano fidati in un primo tempo?”, si chiedono gli autori del documentario.
Un dato è inoltre importante per smentire l’idea dei “porci” lavativi e pensare più alla struttura del sistema come un problema: in Grecia si lavora in media più che in Germania. E ciononostante l’economia greca è comunque più fragile di quella tedesca.

A peggiorare la situazione arrivò l’idea che i Paesi in crisi di credibilità con i loro titoli del debito pubblico dovevano “stringere la cinghia”. Nel 2010 comincia infatti l’era delle politiche di austerità. Le spese vengono tagliate, le tasse aumentate, i salari abbassati: si dice che tutto ciò serve per rendere le economie più competitive (nonostante aumentare le tasse non sia considerata una buona politica nemmeno dai liberali più sfrenati). Ma in realtà la crisi peggiora. I leader europei, credendo forse che il peggio fosse alle spalle, provocano invece nuova recessione e disoccupazione; e in questo scenario, come del resto logico che sia, pagare i debiti diventa più difficile. Infatti, il rapporto debito/PIL aumenta in tutta Europa, nonostante l’obiettivo fosse la sua diminuzione[2]. E le economie più deboli vengono gettate sul lastrico.
Una cosa molto interessante che fa questo documentario è intrecciare la spiegazione della genesi di tutti i problemi di cui abbiamo parlato con una situazione di vita reale molto concreta: la crisi di una cooperativa dedita al volontariato con disabili (Il Pungiglione, di Monterotondo, provincia di Roma) che riceveva fondi pubblici. Una vittima dell’austerità.
Uscire dall’austerità
L’economista Warren Mosler durante il film suggerisce chiaramente ciò che serve fare. Inutile continuare a insistere sulla pure necessaria formazione dei cittadini europei per rimediare alla disoccupazione; serve immettere più liquidità nel sistema, e in maniera migliore di come fa la BCE oggi, per fare andare bene le cose. Uno Stato può sempre stampare soldi per ripagare, anche solo in parte, il proprio debito pubblico e per dare ossigeno all’economia. Il problema è che ciò non è possibile con l’euro, una moneta senza Stato e stipulata con un trattato che non consente di emettere moneta né per pagare il debito pubblico né per stimolare l’economia reale.
Una posizione che è condivisa da Positive Money, un movimento con base in Inghilterra (Paese dove i governi conservatori di Cameron e May hanno deciso che anche qui l’austerità era una soluzione) che auspica una profonda riforma del sistema finanziario per fare affluire denaro pubblico nella nostra economia.
L’uscita dall’euro non è condizione assolutamente necessaria perché si possano fare manovre espansive[3], ma una profonda riforma dell’unione monetaria certamente sì. E del resto è ormai sul tavolo dei governi il tema dell’Europa a due o più velocità, sul quale si potrebbe ragionare perché si applichino politiche economiche più flessibili e adatte alla specificità dei componenti dell'Unione Europea.
Troppo diversi sono tra loro i Paesi europei, e tutti messi sotto la stessa camicia del Patto di Stabilità prima e del Trattato di Lisbona dopo. Che questo sia improvvido e che gli strumenti di cui ci si è dotati sono insufficienti veniva spiegato già dall’economista inglese Godley nel 1992 e da economisti americani (questo studio raccoglie tutti i pareri negativi più autorevoli giunti da oltreoceano).
Al 2017, i dati ci dicono che dopo 10 anni di dura crisi, una luce è comparsa in fondo al tunnel: le economie del mondo ed europee si stanno riprendendo. Ciò non toglie che abbiamo moltissime macerie davanti a noi, e un sistema economico e finanziario da ripensare.
Forse l’uscita dall’austerità potrebbe essere rappresentata da investimenti “alla Macron”, su cui scriveva Arcangelo Rociola qualche giorno fa. Ma bisognerebbe ricordare che il ruolo dello Stato è sempre stato fondamentale nel mettere a disposizione dell’economia reale le innovazioni e la ricerca necessarie per fare impresa, come ha scritto Mariana Mazzucato in un suo libro di successo, Lo Stato Innovatore. Quindi è così che potrebbero essere utilizzati fondi come quelli stanziati dal nuovo Presidente francese: per una strategia di investimenti pubblici da perseguire in tutta l’Unione Europea, allo scopo di favorire la creazione di tante nuove start-up e fare diversi tipi di investimenti infrastrutturali. Mazzucato si è infatti raccomandata, nel tweet dove si congratulava con Macron per la sua elezione, di governare con una visione volta alla crescita inclusiva e non al neoliberismo ormai fallito.
So happy Macron won. Sign France more mature than populist UK & USA. Must now govern w vision on inclusive growth (not failed neoliberalism)
— Mariana Mazzucato (@MazzucatoM) 7 maggio 2017
In questo senso proposte interessanti sono venute da Jeremy Corbyn.
Gli illustri ospiti del documentario
Il film contiene molti contributi importanti: il filosofo e linguista Noam Chomsky, il politico Stefano Fassina, gli economisti Paul De Grauwe e Warren Mosler, i giornalisti Federico Rampini e Paolo Barnard. Tutti sono concordi nel ritenere sbagliato il modo in cui la crisi è stata affrontata. Barnard su tutti riceve una menzione particolare da parte dei registi: fu lui infatti ad organizzare un convegno a Rimini, nel 2012, dove, con l’aiuto di economisti americani facenti parte della scuola di pensiero della Modern Monetary Theory (MMT), spiegò la crisi in maniera diversa rispetto a come lo facevano la maggior parte dei media. Ed è a questo convegno che Adriano Cutraro apprese questa versione dei fatti.
Warren Mosler è proprio uno dei principali esponenti della MMT, una teoria che si ispira anche al pensiero del grande economista John Maynard Keynes, e le cui ricerche finanzia grazie alla sua passata esperienza da giocatore di borsa. Barnard e Mosler hanno avuto in passato una stretta collaborazione, che poi si è rotta per divergenze politiche.
La programmazione del film viene decisa di settimana in settimana. Le prossime date verificatele direttamente sulla pagina Facebook del documentario.
[1] E’ stato un commento eccessivo anche dal punto di vista dell’effettiva spesa in alcol e prostituzione come avevo spiegato qui.
[2] Se interessa approfondire le politiche di austerità nel periodo post-crisi finanziaria, rimando alla mia tesi di laurea.