Durante l'ultima conferenza stampa di ritorno dal Sudamerica, Papa Francesco ha chiesto scusa di qualcosa che aveva detto solo pochi giorni prima ad altri giornalisti. Si parlava del vescovo cileno Juan Barros e il Papa ha chiesto "perdono" perché ha sbagliato a dire di esigere delle "prove". Credo che pochi sappiano che questa fallibilità pontificia così ripetuta, così non temuta, così ostentata, così distante da una certa accezione di "infallibilità pontificia", non risponda ad un generico disegno di comunicazione di Bergoglio ma abbia un ben preciso significato ecumenico.

In questi giorni - dal 18 al 25 gennaio - la Chiesa si è trovata trova nella settimana per l'unità dei cristiani e questa esigenza nasce dal fatto che il secondo millennio di vita della Chiesa è stato vissuto all'insegna della divisione: prima con la separazione dalla Chiesa di Costantinopoli del 1054, poi con la Riforma Protestante a partire dal XVI secolo: ora, nel terzo millennio, la Chiesa sogna che tali fratture vengano superate. Uno degli elementi cruciali della divisione è il ruolo del Papa: che cosa significa, da tanti punti di vista, l'espressione "primato di Pietro"? Racconta il vangelo che Gesù, dopo la Resurrezione, rivolgendosi a Pietro gli abbia detto: "Tu conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32).

Cosa significa questo "conferma"? A molti pare eccessiva una lettura per la quale il vescovo di Roma è un sovrano, un leader carismatico, che riveste il ruolo apicale di un'organizzazione gerarchica semplicemente umana. Questi interrogativi non sono propri solo delle confessioni protestanti o degli ortodossi: sono più che mai vivi anche tra i cattolici. Per raggiungere il sogno dell'unità esiste addirittura una "formula Ratzinger" enunciata da quest'ultimo quando Papa Benedetto era solo un teologo. In base ad essa Roma dovrebbe esigere dalle Chiese ortodosse e dalle altre confessioni niente più di ciò che nel primo millennio veniva stabilito e vissuto. Scorriamo l'elenco dei papi e potremo verificare da soli quanto il loro ruolo fosse ordinariamente periferico rispetto alla vita delle singole chiese nel mondo.

Per il cattolico, il primato di Pietro è essenziale nel cristianesimo ma cosa si debba intendere con tale primato è oggetto di discussioni, di riflessioni, di ripensamenti: di storia. Quando nel 1531, in Messico, la Madonna apparve all'indio Juan Diego fu il vescovo del posto, Juan de Zumarrága, a decidere che era vero e che venisse eretta una cappella e costui non sentì alcun bisogno di consultare Roma come invece deve fare oggi come oggi qualsiasi vescovo del mondo in casi simili. È solo un esempio che aiuta a comprendere come l'intento di "desacralizzare" la figura del Papa, che pare essere presente in molti dei gesti e dei comportamenti di Bergoglio, vada letto non semplicemente con la chiave della simpatia o della generica "comunicazione" ma con quella dell’ecumenismo.

Molte volte, quando in Piazza san Pietro il Papa sente gridare "viva il Papa”, fa di no con il dito e dice "viva Gesù". Io conosco un signore settantenne ai quali i genitori raccontavano di essere stato concepito dopo un Angelus di Papa Pio XII. In viaggio a Roma e non riuscendo a concepire, parteciparono ad un Angelus durante il quale, al passaggio di Papa Pacelli, la madre chiese interiormente la grazia di un figlio. Ebbene, tornò a casa gravida. Ai tempi di Giovanni Paolo II ricordo un'intervista ad una signora dell'est europeo che, pur non essendo neppure riuscita a vedere passare Wojtyla, si sentiva però trasformata dall'aver respirato la medesima aria (intendo proprio l'ossigeno) del romano pontefice. Un ateo parlerebbe di fanatismo: un cattolico è libero di vederci la fede popolare o ciò che preferisce. Rimane il fatto che sia un po' difficile racchiudere questi comportamenti dentro l'espressione "conferma i tuoi fratelli”. Desacralizzare "la figura" del Romano Pontefice non significa desacralizzare “il Papa”: significa trovare il modo di renderlo più vicino al Vangelo per come ne ha bisogno il mondo qui ed ora.