Al Gran Premio di Formula E di Roma c'era talmente tanto silenzio che il rumore se lo sono dovuto inventare. Per l'ora e qualche minuto che è durata la gara, la prima in un circuito cittadino della Capitale, l'unico vero rumore veniva dalle casse che pompavano musica house vicino alle tribune e dalle grida entusiaste degli spettatori che guardavano sfrecciare bolidi accompagnati da un sibilo più simile a quello di un aereo ad alta quota che a una macchina da corsa. E basta.
Per una serie di coincidenze mi è capitato di trovarmi in una sola settimana in due circuiti di Gran Premi. A Monte Carlo, dove si sta allestendo quello di Formula Uno, e - appunto - all'Eur per quello di Formula E. Anche chi non ha mai visto un Gran Premio sa che uno dei segmenti più celebrati di quello di Monte Carlo è il Tunnel, dove le auto accelerano allo spasimo prima di affrontare la Nouvelle Chicane.
Il tunnel in sé non ha nulla di affascinante: è un tunnel, ma di fatto è uno straordinario amplificatore di suoni. Basta trovare una giornata di mare mosso e le onde che si infrangono pochi metri oltre i piloni che inquadrano il panorama sul Mar Ligure creano un fragore più evocativo di un romanzo di Patrick O'Brian.
Per questo chi lo imbocca al volante di una Lamborghini, di una Ferrari o di un altro di quei giocattoli che a Monte Carlo sono piuttosto diffusi, non resiste alla tentazione di abbassare il finestrino, spingere il piede sull'acceleratore e godersi il rombo di qualche centinaio di cavalli che ruggisce sulle pareti di cemento. Affascinante, vero? No, a meno che non siate quello che abbassa il finestrino e si gode lo spettacolo. Perché i pedoni che percorrono il tunnel (e ce ne sono tanti, visto che è anche pedonale e vi si affaccia - tra l'altro - l'ingresso dell'Auditorium Ranieri III) fanno regolarmente tutti un salto di paura, anche se quel rumore lo hanno sentito decine di altre volte: in quello stesso tunnel e ovunque, lungo la Corniche, ci sia la possibilità di spingere un po' sul gas.
Perché in quel momento quel poetico ruggito non è altro che questo: rumore. Un rumore fragoroso, assordante e fastidioso. Eppure sembra che, insieme con il puzzo di benzina e di olio, sia l'anima delle competizioni, come ha raccontato la pilota Michela Cerruti. Per questo al Gran Premio di Roma non hanno potuto far altro che pompare bassi dagli altoparlanti: perché, se la puzza di carburante non poteva esserci, ci fosse almeno un po' di rumore.
Io però ho provato a fare una cosa: isolare il tunz-tunz della musica house e immaginare come sarebbe una città in cui non ci fossero altro che veicoli elettrici. E la prima cosa che mancherebbe sarebbe proprio questo: il rumore. Non quel rombo da V8 che piace a molti, ma quel rumore bianco che attraversa le nostre giornate, imperituro. Cosa resterebbe? Le voci delle persone, come quelle degli spettatori del Gran Premio; quelle degli uccelli, dal canto dei pappagallini che proliferano sugli alberi alle strida dei gabbiani che pattugliano il cielo; le grida dei bambini... la vita insomma. Tutto ciò che non è meccanico e artificiale.
E in un'epoca in cui la meccanica e l'artificiale sembrano destinati a occupare spazi sempre più ampi, avere in cambio una vita piena di suoni e libera dal rumore potrebbe non essere così male.