Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, intervistato nel corso del Premio L’Umbria del cuore del Corciano Festival, in merito all'attuale situazione politica italiana dice "il governo, di qualunque colore sia, deve nascere su un progetto non su un contratto". Sembra un gioco di parole ma è una distinzione fondamentale. Quando preparo una coppia al matrimonio ho imparato da tempo a non cominciare spiegando che il matrimonio "è un contratto", evito cioè di utilizzare le parole semplicistiche e inesatte con cui tanti anni fa mi era stata spiegata la sua dimensione di negozio giuridico: quelle che poi si cercano di esorcizzare dicendo "lo è (un contratto) ma non solo".
Lo prendo solo come esempio e non voglio addentrarmi in questioni teologico canoniche: il fatto è che quando si siedono davanti a me un ragazzo e una ragazza che vogliono sposarsi e io dico loro che il termine del percorso sarà la sottoscrizione "di un contratto", quanto meno storcono il naso. E hanno ragione perché il matrimonio non può essere considerato solo un contratto visto che il suo scopo è creare un rapporto personale non avente principalmente natura patrimoniale. Nel matrimonio i soldi c'entrano, ma non sono il senso di quanto avviene: sono al servizio dell'amore reciproco, dei figli, e di tante altre cose spirituali e fisiche che sono "la sostanza".
Se non sbaglio, il primo a parlare di contratto con gli italiani fu Berlusconi che, l'8 maggio 2001, cinque giorni prima delle elezioni si presentò a Porta a Porta da Vespa. Lui si impegnava a fare alcune cose e, se in caso di vittoria non fosse riuscito a mantenere gli impegni presi con "il contratto", non si sarebbe presentato alle elezioni successive. Le cose andarono come andarono, però l'idea del contratto come qualcosa che dà serietà e garanzie a un progetto, fu vincente, venne ripresa e divenne l'anno scorso il famoso "contratto di governo" tra Lega e Cinque Stelle, che aveva Conte come garante.
Perché noi italiani non storcemmo il naso alla proposta di allora come farebbero i miei futuri sposi? Perché la parola "contratto", seria com'è, nasconde il gioco delle tre carte che rende possibile qualcosa che possibile non è. Mi riferisco al "fare delle cose assieme" pur essendo diversi. Sappiamo benissimo che anche nella più semplice vita civile ed economica qualsiasi contratto va a buon fine se si è davvero in accordo sul merito: se io voglio comprare una casa ma tu non me la vuoi vendere, puoi aver firmato qualsiasi accordo previo, qualsiasi impegno, ma andrà a finire che la casa io non l'avrò.
Dicevano gli antichi (Aristotele, San Tommaso e anche Ezra Pound) che "operari sequitur esse": l'azione di qualcosa dipende dalla natura di quel qualcosa. Per quanti contratti si vogliano stilare, alla lunga "la natura" prevale. Per questo i miei due fidanzati ipotetici sposi, storcono il naso nel sentire "contratto". Essi vogliono essere aiutati da me a conoscere se sono fatti l'uno per l'altro, la loro natura, se hanno le stesse intenzioni, lo stesso cuore.
E anche gli stessi progetti. Sì, proprio quelli di cui parla il Presidente della Cei. La crisi che è scoppiata, dunque, era scritta nel DNA dei due partiti. Un DNA che nessun "contratto" poteva far stare assieme. Auspichiamo quindi che il prossimo governo metta da parte i contratti e vada al nocciolo: che sono le identità profonde di chi si impegna. Altrimenti ogni matrimonio è destinato, in tempi brevi, a finire in divorzio.