"Il tempo è superiore allo spazio". Questo principio bergogliano divenne famoso grazie all'esortazione apostolica Evangelii Gaudium (ai nn. 222-225) ma quando venne enunciato quasi nessuno lo capì. Astrattamente considerato, infatti, questo assioma appare incomprensibile.
Cioè, se lo si analizza alla luce della fisica, della filosofia e in generale delle scienze astratte, non esiste ragione alcuna per il quale il tempo dovrebbe essere superiore allo spazio.
Se invece l'affermazione di Papa Francesco viene vista alla luce della storia - e in particolare della storia del suo pontificato - il postulato si comprende perfettamente. L'assioma "il tempo è superiore allo spazio" significa nominare a poco a poco, progressivamente lungo il tempo, persone che possano portare avanti le riforme ecclesiali che il Papa ritiene indispensabili e che sa di non essere in grado di vedere compiute nell'arco del suo pontificato.
Nell’intervista rilasciata a padre Antonio Spadaro su "La Civiltà Cattolica" del 19 settembre 2013 Francesco esponeva chiaramente la propria idea: "Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa" (p. 468).
Le nomine dei nuovi cardinali è uno dei passaggi nevralgici di tali processi. Rispetto ad esse, Bergoglio fin da subito si dimostrò libero rispetto all'idea che ci fossero "sedi cardinalizie" ovvero luoghi che meritassero per se stesse di avere a capo dei cardinali. Non si diventa cardinale per essere in una certa città ma neppure "non lo si diventa", come dimostra la nomina di Zuppi che è stato preceduto da Biffi e Caffarra, entrambi cardinali.
Diventa cardinale chi ha a cuore il desiderio di "esprimere la vocazione missionaria della Chiesa" come il Papa vuole e cioé "annunciando l’amore misericordioso di Dio a tutti gli uomini della terra”.
Non importa che operare "fisicamente" in una terra di missione: si può anche essere missionari a Bologna, ovvero in una delle zone più benestanti della nostra pur scricchiolante penisola. Così, mentre Milano e Venezia non avranno un cardinale a capo, ce l'avrà Bologna. E il motivo non sarà perché gli ultimi due fossero cardinali ma perché l'arcivescovo attuale si chiama Zuppi.
Perché Zuppi sì e altri no? Per un criterio personale che non sarà mai del tutto chiaro. In queste ore c'è stato chi si è affrettato a ricordare la prefazione di Zuppi al libro di Padre James Martin, "Building a bridge", ovvero Un ponte da costruire, in cui il gesuita prospetta una nuova relazione tra Chiesa e persone Lgbt; oppure l'essere Zuppi un paladino dell’accoglienza dei migranti, come si capì quando nel 2017 organizzò la visita di Francesco nel capoluogo emiliano, facendo poi pranzare il Papa con “le persone in difficoltà” all’interno della basilica di San Petronio.
Ma, e questo nessuno o pochi l'hanno ricordato, Zuppi è anche il vescovo della FAAC, l'azienda famosa per i cancelli e cresciuta tantissimo - da 1000 a 2500 dipendenti, in Italia - da quando era finita in mano della Diocesi di Bologna, cioè nelle mani di Zuppi.
A ricordarlo clamorosamente era stata Milena Gabanelli in un suo servizio per il Corriere della Sera nel quale, provocatoriamente, aveva proposto che la Curia di Bologna si prendesse cura anche di Alitalia.
Perché la Faac non solo va bene ma soprattutto destina ogni anno un po’ della sua ricchezza al benessere del territorio e dei suoi dipendenti con assicurazioni per tutti e vacanze per i figli dei dipendenti. Con i tempi che corrono, vorrei proprio trovare chi non ne sarebbe felice.