La biomassa, cioè la materia organica che è il prodotto finale del processo di fotosintesi naturale, può essere usata per soddisfare tre bisogni fondamentali dell’uomo: cibo, energia e materiali.
La biomassa sotto forma di legna da ardere fornisce ancora oggi gran parte della energia termica per usi domestici nelle nazioni meno sviluppate.
Ma sono biomassa anche i residui di attività agricole e forestali, gli scarti delle industrie alimentari, i liquidi reflui derivanti dagli allevamenti, i rifiuti organici urbani e anche colture specificamente coltivate per la produzione di energia. Questi materiali possono essere riutilizzati per la fabbricazione di materiali di vario tipo (bioplastiche, biofibre, farmaci), per la generazione di energia elettrica e termica (biopower) e per la produzione di combustibili gassosi o liquidi (biocombustibili).
Nel 2014 i biocombusibili su scala globale hanno fornito lo 0,8% dell’energia di uso finale. Nel 2015 hanno generato elettricità per 464 TWh, con un aumento soltanto dello 0,9 % rispetto al 2014. Nel decennio precedente invece il tasso medio di aumento annuo era stato notevole (14,3%).
Il biogas si ottiene per fermentazione anaerobica di residui organici di varia origine (liquami zootecnici, fanghi di depurazione, scarti agro-industriali); è costituito prevalentemente da metano (50–80%) e, dopo opportuno trattamento, può essere immesso nella rete di distribuzione del gas naturale e usato come tale. La produzione di biometano è un ottimo modo per utilizzare rifiuti. In alcuni Paesi europei il biometano costituisce una parte importante dell’energia utilizzata per i trasporti.
Per la produzione di biocombustibili liquidi, in particolare bioetanolo e biodiesel, attualmente si usano colture dedicate come granoturco, barbabietole, colza, girasoli. Queste attività mettono la produzione di energia in diretta competizione con la produzione di cibo, in un mondo dove centinaia di milioni di persone soffrono ancora la fame e dove nei prossimi quarant’anni andranno aggiunti altri 2 miliardi di posti a tavola. Si è calcolato che per riempire con bioetanolo il serbatoio di un suv si utilizza una quantità di mais sufficiente a nutrire una persona per un anno; per rimpiazzare i combustibili fossili con biocombustibili servirebbe una superficie di terreno doppia di quella attualmente usata per l’agricoltura in tutto il mondo.
Ma non è questo il solo problema dei biocombustibili: per rappresentare un’alternativa credibile ai combustibili fossili, essi devono fornire un guadagno energetico e offrire benefici dal punto di vista ambientale.
Alcuni studi autorevoli indicano invece che l’energia fossile necessaria per far crescere le colture e convertirle in biocombustibili (aratura, semina, irrigazione, fertilizzazione, trasporto, trattamento industriale) è spesso superiore a quella poi ottenuta dall’uso del biocombustibile stesso. Soltanto la produzione di etanolo derivato dalla canna da zucchero in Brasile risulta energeticamente sostenibile.
Secondo alcuni scienziati anche il bilancio ambientale è negativo. Infatti, anche se in teoria i biocombustibili sono CO2-neutri, nel senso che la CO2 prodotta dal loro uso è quella che hanno assorbito dall’ambiente per crescere, nella pratica non lo sono, a causa dell’energia che si deve fornire per la coltivazione. Se anche si trattasse di biomassa spontanea, occorre pur sempre raccoglierla, trasportarla e convertirla.
Un altro fattore ambientale negativo è che l’estensione di monocolture dedicate alla produzione di biocombustibili in certi Paesi causa deforestazioni e più generalmente distruzione di ecosistemi preziosi per l’equilibrio della biosfera.
Per tutte queste ragioni gli incentivi per la produzione di biocombustibili non vanno considerati stimoli per lo sviluppo di energie rinnovabili, ma piuttosto sussidi agli agricoltori.
Anche in Italia un sistema di incentivi errato sta trasformando l’agricoltura alimentare in agricoltura energetica; nel 2015 sono stati censiti 1.300 impianti, corrispondenti a una potenza installata di 1000 MWe . Nella Valle Padana decine di migliaia di ettari di terreno fertilissimo sono coltivati a mais per alimentare impianti a biogas, che dovrebbero invece funzionare impiegando soltanto scarti agricoli.
Da anni sono in corso ricerche per produrre i cosiddetti biocombustibili di seconda generazione, prodotti da biomasse ligneo-cellulosiche, che non sono in competizione con il cibo. Se queste ricerche avranno successo, i biocombustibili potranno dare un contributo non trascurabile, in particolare come carburante per il trasporto aereo, un settore in cui i combustibili liquidi sono praticamente impossibili da sostituire.