Il processo fotovoltaico consiste nella conversione diretta dell’energia luminosa del Sole in energia elettrica. Questa conversione avviene nelle celle fotovoltaiche, dove l’assorbimento di luce da parte di un materiale semiconduttore provoca una corrente di elettroni.
Singole celle fotovoltaiche collegate tra loro formano moduli che sono assemblati in dispositivi più ampi, chiamati pannelli fotovoltaici.
Nei pannelli più di usi l’elemento fotoattivo è silicio cristallino drogato con piccolissime quantità di elementi chimici come boro o fosforo, che converte l’energia solare in energia elettrica con una efficienza del 15–20%.
Il fotovoltaico un tempo era usato soltanto nei satelliti artificiali, in luoghi isolati come i rifugi di alta montagna o in apparecchi che necessitano di piccole quantità di energia, come le calcolatrici portatili. Negli ultimi 15 anni si è di uso invece su larga scala.
Il grande vantaggio del fotovoltaico è quello di generare energia là dove serve, in qualsiasi luogo illuminato dal Sole. Perciò si va rapidamente diffondendo nei Paesi in via di sviluppo, rendendo possibile un grande salto di civiltà per 1,4 miliardi di persone che non hanno accesso alla rete elettrica.
Con un piccolo pannello fotovoltaico appeso fuori dalla capanna ed equipaggiato con batterie ricaricabili una famiglia ottiene due risultati prima impensabili: si libera dalla schiavitù del buio notturno e può utilizzare un telefono per avere contatti sociali, consultare le previsioni del tempo, scegliere il giorno migliore per recarsi al mercato.
Allo stesso tempo il fotovoltaico è sempre più usato anche nei Paesi sviluppati per fornire elettricità ad abitazioni e industrie che possono scambiare energia con la rete in base ad accordi tari ari con le aziende elettriche, prelevando energia quando l’autoproduzione è insufficiente e immettendo in rete l’eventuale eccesso di energia prodotta.
Contrariamente a quanto si crede, il fotovoltaico, grazie alla sua alta efficienza, non richiede super ci troppo grandi. Per soddisfare il fabbisogno di elettricità di una famiglia media alle latitudini italiane basta un’area di circa 20 m2 di pannelli fotovoltaici, che possono essere connessi a sistemi di accumulo oppure collegati alla rete di distribuzione elettrica.
Si è calcolato che, utilizzando pannelli con una efficienza di conversione del 10% (ma oggi siamo già al 15–20%), si potrebbe soddisfare l’intero fabbisogno elettrico europeo con pannelli fotovoltaici ricoprendo in media lo 0,6% della superficie dei vari Stati. Per l’Italia servirebbero 2400 km2, un’area estesa quanto la provincia di Piacenza.
Il grande vantaggio del fotovoltaico è che può essere installato su super ci non altrimenti utilizzate: i 700000 capannoni industriali presenti nel nostro Paese, i tetti dei centri commerciali e delle abitazioni, i parcheggi, le pareti antirumore delle autostrade e i terreni aridi. Si tratta di energia che il Sole ci invia in ogni caso: se non la utilizziamo, va semplicemente perduta.
La tecnologia degli impianti fotovoltaici è ormai ben collaudata: i pannelli hanno una durata di almeno 25–30 anni, con una piccola riduzione di efficienza (< 1% l’anno), e a fine vita sono riciclabili al 95%. In 1–2 anni generano l’energia spesa per produrli (eroi, energy return on investment, di cui parleremo nel capitolo 9).
La diffusione dei sistemi fotovoltaici è stata promossa da incentivi statali in molti Paesi, compresa l’Italia, ma ormai è in grado di svilupparsi senza alcun aiuto finanziario.
Con 295 GW di potenza globale installata, alla ne del 2016 il fotovoltaico generava già una quantità di energia paragonabile a quella prodotta da circa 50 centrali nucleari o a carbone da 1000 MW. La produzione è relativamente modesta ma sta crescendo al ritmo del 30% l’anno. Grandi impianti fotovoltaici sono in costruzione anche nei Paesi del Medio Oriente, ricchi di petrolio.
L’85% del fotovoltaico installato nel mondo usa pannelli in cui il materiale fotoattivo è una sottilissima lamina di silicio. Negli ultimi 10 anni la quantità di celle fabbricabili con un lingotto di si- licio puro è aumentata del 50%, grazie al progresso tecnologico che ha permesso di ridurre lo spessore della lamina da 320 a 180 micrometri; e tra breve si raggiungeranno spessori di 150 micrometri, usando il taglio con fili diamantati.
Nel frattempo continua ad aumentare anche l’efficienza nella manifattura e nel funzionamento dei moduli, con un’ulteriore riduzione del 25% circa nell’uso di energia in fase di fabbricazione, a parità di potenza prodotta. Nei prossimi 10 anni si dovrebbe affermare il sistema di raffinazione del silicio tramite letto fluido, oggi ancora poco diffuso, che richiede soltanto il 10–20% dell’energia necessaria con il procedimento tradizionale.
I leader mondiali del settore fotovoltaico sono Cina, Germania e Giappone, che raccolgono i frutti di una lungimirante scelta industriale di innovazione compiuta più di vent’anni fa. Gli Stati Uniti stanno cercando di recuperare il terreno perduto, lanciandosi nella corsa al fotovoltaico di seconda generazione basato su celle solari a lm sottile, che utilizzano materiali anche diversi dal silicio.
L’Italia gode di un’ottima insolazione, particolarmente nelle regioni del Sud. Nel nostro Paese il fotovoltaico ha conosciuto un rapido sviluppo dal 2010 al 2013, anche grazie agli incentivi economici statali. Finiti gli incentivi c’è stata una brusca frenata, ma poi il fotovoltaico è tornato a crescere, anche se ostacolato da norme burocratiche talvolta vessatorie. Ormai ha raggiunto la grid parity (cioè la competitività economica) con i combustibili fossili, anche senza calcolare le esternalità, ossia i danni risparmiati alla collettività in termini di salute e ambiente.
Nel 2015, con 18,9 gigawatt di potenza fotovoltaica installata, capace di coprire quasi l’8% dei nostri consumi elettrici, eravamo il quinto Paese al mondo dietro a Cina, Germania, Giappone e Stati Uniti.
Nel giugno 2016 in Italia si è toccato un impor- tante traguardo simbolico: la produzione di elettricità è stata coperta per il 50,5% da fonti di energia rinnovabile. Era dagli anni Sessanta che non accadeva, ma rispetto ad allora il quadro è radicalmente cambiato: all’epoca era l’idroelettrico a farla da padrone e la produzione annua di energia elettrica era circa un terzo di quella attuale.
Nei primi sei mesi del 2016 l’idroelettrico ha rappresentato invece soltanto il 39% della produzione rinnovabile; il resto è venuto da fotovoltaico (21%), eolico (19%), biomasse (16%) e geotermico (5%).