Antonio Cianciullo è da 25 anni inviato di “La Repubblica”. Si occupa di temi ambientali, sui quali è oggi considerato una delle voci più autorevoli del panorama nazionale. “Ecologia del desiderio” il suo ultimo libro edito da Aboca, ci fa immergere nel contraddittorio del nostro tempo: da un lato il desiderio antico di conquista e sottomissione della natura, dall'altro la necessità moderna di rispettare gli ecosistemi per scongiurare una catastrofe annunciata. A differenza di molti, Cianciullo mira a capovolgere la classica comunicazione aggressivo-allarmista che spesso contraddistingue queste tematiche puntando invece su una spinta rigeneratrice che nasca dallo slancio ottimistico più che dalla paura. Il 2018 è un anno cruciale per la problematica ecologica ma nonostante le statistiche chiudano il 2017 con l'86 % della popolazione che si dice preoccupata dall'impatto che l'inquinamento può avere sulla propria salute, nell'ultima e confusionaria campagna elettorale la parola 'ambiente' non compare.
"Perché questo desiderio non si accende o si accende debolmente" in Italia a differenza che in altri paesi europei? Perché non riesce ad essere al centro dell'agenda politica come succede per esempio in Germania?
"Perché purtroppo abbiamo una visione riduttiva dell'ambiente, dovuta ai tanti governi che hanno trattato l'ambiente come un tema da affrontare nei momenti di 'vacche grasse' cioè in quei momenti in cui si può elargire una piccola cifra per fare una pista ciclabile in più, così la gente va la domenica in bici ed è contenta. È la stessa Europa a dirci che se vogliamo più posti di lavoro, li possiamo trovare solo in una riconversione green dell'economia. Le organizzazioni mondiali come l'OMS e l'UNEP ci dicono che oggi l'inquinamento uccide 200 volte più delle guerre e che continuando così, grazie alla desertificazione creata dal cambiamento climatico, nel 2050 ci saranno 250.000.000 migranti in più che non avranno più una terra in cui abitare. Questa è la posta in gioco eppure interessa a pochi".
Per capire meglio il suo punto di vista. Qual è il primo concetto a cui associa l'idea di ecologico?
"Coerenza. Ogni ecosistema ne ha una interna ed è proprio questa la differenza tra il sistema della natura ed il sistema artificiale, se il primo si autoregola il secondo no. La natura è un sistema che non produce rifiuti perché le sostanze di scarto di una specie vengono utilizzate da un' altra e così via. Il sistema tecnologico invece non si autoregola, producendo così inquinamento e squilibrio. Abbiamo però oggi la capacità sia tecnologica che intellettuale di poter rimediare. L'ecologia, l'ecologismo, l'ambientalismo consistono in uno sforzo di comprensione dei meccanismi che possono consentirci di recuperare il ritardo che abbiamo accumulato ma di tenerci i vantaggi".
Proprio riguardo l'autoregolazione del sistema si potrebbe affermare che fondamentalmente il pianeta sta bene e che invece siamo noi come sapiens sapiens ad essere spacciati. Il nostro pianeta in fondo è qui da 4 miliardi e mezzo di anni e noi solo da 200 mila e ha superato cose ben più gravi di noi uomini come: tempeste solari, deriva dei continenti, ere glaciali ecc. Forse più che provare a salvare il pianeta dovremmo salvare noi stessi. Come la vede?
Vero. Il pianeta è del tutto indifferente all'evoluzione di una singola specie come può essere la nostra. Va dritto per la sua strada. La specie umana più remota ha pochi milioni di anni e noi come sapiens sapiens circa 100 mila. Bisogna pensare che rispetto alla durata media della vita di una specie noi siamo circa a un decimo, perciò abbiamo ancora molto cammino da fare solo per raggiungere la durata media e direi anche tutto l' interesse per puntare a qualcosa di più, no?
Ha scritto: "Pur professando da più di trent'anni la teoria dei limiti sono affascinato dagli eccessi. Mi attirano anche se li pratico poco. A uno non sono sfuggito". Le va di parlarcene?
"Mi riferisco alla corsa e in particolare all'aneddoto della maratona alla quale mi sono preparato meticolosamente grazie alla lettura di molti testi sulla corsa e all'allenamento intensivo, ma nel momento della gara, irrazionalmente ho adottato quella che descrivo come la tattica del metti “fieno in cascina” ovvero parti più veloce, guadagni più terreno che puoi, e poi semmai rallenti nel finale. Ecco, peccato però questa tecnica venga descritta da tutti i manuali come la peggiore e peccato soprattutto che abbia dovuto interrompere la gare per una frattura tibiale. Lo sapevo che era sbagliato ma la mia parte emozionale, quella che voleva superare il limite, che pensava che l'obiettivo di fondo fosse appunto farsi largo all' interno dei limiti ha strafatto".
Il paradosso è che l'umanità è ferma ad un processo retorico per cui la crescita si raggiunge in un solo modo: indebitandosi con il capitale finanziario ma anche con la natura. È possibile rovesciare questo paradigma?
"Ovviamente sì, è come pensare altrimenti che in mare si può andare solo con la barca a motore. La strada alternativa esiste, e va utilizzata, sto parlando ovviamente della vela che attraverso l'energia rinnovabile come il vento permette al marinaio di andare dove vuole semplicemente utilizzando le risorse che il pianeta mette a disposizione, soddisfacendo così il nostro benessere ma senza far venir meno l'equilibrio delle risorse senza il quale tutto si fermerebbe. La verità è che stiamo andando verso un clima che è più favorevole alle zanzare che agli esseri umani; tutto ciò in nome del progresso".