Cosa ci aspettavamo dai ragazzi del TedxYouth (e cosa abbiamo avuto)
Parlare di futuro ai giovanissimi fa subito pensare ad una possibile conversazione infinita, fatta di scene immaginifiche alla “Guerre stellari” o, nel migliore dei casi, plasmata da un’esuberanza candidamente ignara delle questioni complesse che si celano dietro alle stesse conversazioni, quando queste sono affrontate dagli adulti.
E’ sempre stato così nei passaggi storici: giovani generazioni apocalittiche e pronte a tuffarsi nel vortice del progresso e a staccarsi dagli insegnamenti pesanti del passato, sempre più giurassico e quindi presidio soltanto di chi avendolo vissuto lo custodisce con malinconia e preoccupazione.
Cosa ci aspettavamo
Questo ci si poteva aspettare dai 13 studenti delle scuole secondarie superiori italiane, più una band musicale, che dal palco del TEDxYouth@Roma lo scorso 23 Febbraio sono stati invitati a raccontare il proprio Alfabeto del futuro. Genitori e insegnanti presenti erano già pronti ad applaudire uno sforzo genuino e tenero di immaginazione e creatività che naturalmente ci avrebbe affascinato con quella freschezza e astrazione tipiche dell’età; e così per un attimo avremmo sospeso quel nostro pensiero maturo e consapevole di chi ogni giorno naviga la trasformazione in atto, senza afferrarla e comprenderla. Dunque, volevamo sentirci almeno saggi di fronte all’imprecisione della giovinezza e alle sue ambizioni.
E invece l’idea di futuro arrivata dal palco dell’Auditorium della Conciliazione ha forse disatteso le nostre aspettative lasciandoci di fronte alla presa di coscienza che questi ragazzi, con i brufoli e le voci pulite, sanno spiegarci il nostro presente molto più di quanto non immaginiamo.
Il filo conduttore delle idee che si sono succedute, infatti, non è stato quello di costruire ipotesi di vita per un nuovo libro di fantascienza, bensì è stato chiaramente basato sulla percezione e descrizione della realtà del presente e sui nessi che questo presente sta costruendo con il futuro.
Tutti i ragazzi, da speakers appassionati e serissimi, hanno affrontato le diverse tematiche partendo dalle domande di oggi, dalla ricerca di un filo per sbrogliare la matassa della complessità dei nostri giorni e dalla sofferenza, comune e individuale, che le relazioni, le incertezze, il cambiamento e la diversità non compresa conducono a sentire insieme a una comune inadeguatezza, di grandi e piccoli, nel fronteggiare l’ignoto che il futuro sottende.
Che cosa abbiamo avuto
I ragazzi - forse non è più attuale chiamarli così - ci hanno dunque voluto parlare di loro e di come vivono quei problemi e quelle questioni aperte di fronte alle quali gli stessi adulti sentono di essere impotenti. Ci hanno parlato di Profezia dell’adolescenza, svelando come questa di fatto non esista e come sia solo un’illusione creata per fini economici e di controllo delle generazioni di giovani consumatori bramosi di soddisfare bisogni indotti; ci hanno illustrato il significato della comunicazione non verbale, dell’importanza di usarla per comprendere e avvicinare le diversità, senza discriminazioni culturali. E mi riferisco all’uso dei segni, le emoji, e all’empatia, la cui mancanza è stata definita come il principale problema della nostra epoca che, sebbene sia caratterizzata da una società globale e interconnessa, manca di capacità di strumenti che consentano la comprensione e l’accettazione delle molteplici culture a confronto, e senza riserve.
E ancora abbiamo ascoltato e capito cosa significa affrontare una semplice giornata di sole se siamo dislessici, ovvero semplicemente più lenti in un mondo che non ammette riduzioni di marcia. Abbiamo capito che invece la velocità a cui aspiriamo di poter andare è spesso un rallentamento di altre capacità, ben superiori.
Un alfabeto ancora da inventare
E questo lo abbiamo capito attraverso le parole ironiche di chi nelle difficoltà del dover correre, nonostante la dislessia, ha confessato di aver imparato una disciplina sportiva tra le più affascinanti al mondo: l’arrampicata sugli specchi. Abbiamo così capito quanto piccoli siamo di fronte alla paura e all’ignoranza che usiamo nel definire inferiore un semplice stato di diversità. E ancora abbiamo ascoltato tanta musica fatta dai ragazzi, dalla beatbox alla contaminazione della band multietnica di musicisti e cantautori dai 13 ai 18 anni, figli di immigrati di seconda generazione, che ci hanno mostrato un muro altissimo e invalicabile il quale grazie alla loro musica e amicizia si è frantumato come per incanto davanti ai nostri occhi.
Il significato del colore nel design, come strumento di comunicazione; la passione per la scienza, estrema; la fisica quantistica, misteriosa; tutti questi sono stati argomenti trattati con senso critico, con curiosità e con una chiara ambizione di sfida sì, ma partendo da basi concrete e atte a costruire un progetto di futuro misurabile, e soprattutto misurato.
Perché è proprio questo ciò che viene fuori da questa giornata, piena di energia e di passione; ovvero un’idea di futuro forse ancora troppo ignoto, in cui tante lettere dell’alfabeto si dovranno ancora inventare, ma che per tutti ha una sola declinazione possibile: quella della risoluzione dei problemi del presente.
Non un futuro di rottura, ma un futuro di passaggio verso una società che voglia comprendere limiti e fallimenti del nostro presente e che possa sciogliere i nodi del cinismo e dell’apatia per iniziare a muoversi verso un modello sociale più integrato, ricco e positivo.
E’ questa l’emozione che i nostri giovani ragazzi ci hanno lasciato, è questo che ci hanno chiesto ed è questo che ci hanno promesso di costruire per il loro futuro, se noi saremo in grado di permetterglielo.