Ieri, sul treno che da Milano mi riportava a Torino, mi sono imbattuto in un pezzo strano pubblicato dall’Economist. Parlava di crisi dei Social Media e cattiveria digitale, di disintermediazione giornalistica, di libertà concessa dalla rete ai singoli individui. Tutto sotto la lente del pensiero e delle azioni di uno dei più grandi pensatori del Settecento: Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu. Uno di quei nomi che attraversano il nostro cervello, da orecchio a orecchio, durante il liceo o l’Università, e che raramente rimangono ancorati all’interno del nostro cervello. Eppure, come sottolinea l’autore del pezzo, Andreas Aktoudianakis dell'Open Society European Policy Institute, Montesquieu ci piò aiutare a confrontarci con la deriva causata e governata dai social.
Chi era (velocemente) Montesquieu
Monumento del pensiero umano, Montesquieu apparteneva a una famiglia di magistrati ed è stato avvocato, uomo di legge, filosofo, grande viaggiatore. Oggi lo ricordiamo soprattutto per aver elaborato la teoria della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) in politica. Nel 1716 eredita la baronia di Montesquieu e rendite varie, oltre alla carica di Presidente del Parlamento francese da uno zio. Se volete leggere qualcosa optate per Lo spirito delle leggi, scritto in 14 anni di duro lavoro a Ginevra, che contiene alcune dei principi su cui è fondata la nostra società democratica.
La collisione senza ragionamento
Aktoudianakis fa notare come, all’inizio dell’illuminismo, altro grande momento di transizione per l’umanità, venivano prodotti continuamente nuovi opuscoli e trattati. Un interrotto flusso di informazioni che ha, in qualche modo, qualche punto di raccordo con la contemporaneità, sempre alla ricerca di auto-definizioni e auto-riflessioni. Epoche di opinioni e commenti, controversie e scontri. "Non importa se gli individui ragionano bene o male. La verità nasce dalla collisione”. Montesquieu era convinto che il buono scaturisse dallo scontro dialettico, anche se frutto di un ragionamento originariamente corrotto.
Se analizziamo la rabbia e la cattiveria che oggi proliferano nella sfera digitale fatichiamo ad ammettere che, da quel tipo di comunicazione, possa scaturire una forma di verità. Ma questo discorso ci serve per fare un passo indietro. Prima di verità e collisione, termini meravigliosi, ci sarebbe da capire la natura della parola ragionamento che oggi, spesso, non è né buono né cattivo. Semplicemente viene bypassato da meccanismi che portano immediatamente alla collisione. Una collisione senza tesi da esporre che non porta ad alcuna verità. E che farebbe inorridire il pensatore francese.
La libertà politica di un cittadino
Per Montesquieu la parola libertà era al centro di tutto. Soprattutto dei discorsi politici ed economici. Ad esempio, si era chiesto più volte se l’allora nascente sistema economico, il capitalismo, fosse più una lodevole espressione della libertà umana o un sistema perverso atto a corrompere i valori del patriottismo e della pietà, creando ineguaglianza.
Se ci pensate bene, non ci siamo spostati di molto. Forse abbiamo solo cambiato terreno di battaglia visto che oggi, il capitalismo che fa paura si è fatto intangibile e virtuale, occupandosi di beni che sono meno visibili, come i nostri dati, ma altrettanto preziosi come qualsiasi altra merce.
Ma oltre a questo Montesquieu credeva che "la libertà politica di un cittadino risiedesse in quella tranquillità di spirito che deriva dall'opinione che ognuno di noi ha della sua sicurezza. E per avere questa sicurezza è necessario che il governo sviluppi un sistema per cui un cittadino non debba temere un altro cittadino”. Insomma, facciamola breve: la libertà è garantita dai fatti e dalle leggi. Per difendere la propria libertà, gli individui devono avere accesso a informazioni affidabili per riconoscere minacce e ingiustizie.
La disinformazione online dei giorni nostri, in questo senso, dovrebbe essere riconosciuta, forse, come il crimine peggiore dell’umanità. Le informazioni fuorvianti, come si legge sul pezzo dell’Economist “minano il dibattito democratico, le libertà civili e i diritti degli uomini”. Se poi questa disinformazione è alimentata dalla politica, via social network, si possono creare governi radicati dalla menzogna. Menzogna che qualcuno chiama, in maniera semplicistica e improba, propaganda.
“La libertà è il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono”
Ma la cosa interessante è che Montesquieu, anche in questo caso, non sarebbe totalmente d’accordo con questa rilettura. "Lo dico, e mi sembra di aver scritto questo lavoro solo per dimostrarlo: lo spirito di moderazione dovrebbe essere quello del legislatore; il bene politico, come il bene morale, si trova sempre tra due limiti“. Duri e puri in politica? Impossibile.
Il compromesso come chiave di una buona politica sta alla base di ogni discorso. Se trasliamo tutto ai giorni nostri, come fa Aktoudianakis, questo concetto diventa più chiaro: “Montesquieu sosterrebbe certamente che la rivoluzione digitale è un mezzo per ampliare le possibilità di dibattito democratico e di deliberazione pubblica, purché le nostre democrazie abbiano colmato il divario tra innovazione e regolamentazione”.
L’importante è tracciare il recinto delle norme, che devono essere rigide come l’inverno, e che preservino la corretta informazione e limitino le fake news. Dentro quel recinto, poi, vince chi si muove meglio e chi è in grado di usare al meglio tutte le carte che ha in mano.
La divisione dei poteri sui social
Ultima, ma non meno importante, c’è la questione dei poteri. Per Montesquieu "quando il potere legislativo e quello esecutivo sono nelle mani della stessa persona, o dello stesso ente, non può esserci libertà”. Questo è il vero dibattito che oggi riguarda i social. Come si può garantire libertà di pensiero sui social media se chi ha creato le regole di engagement e lo stesso che, in teoria, dovrebbe verificarne la legittimità? Tutto quello che scriviamo dovrebbe essere soggetto al controllo di un’autorità indipendente che garantisce o no la sua conformità alle leggi? (Come recita la Carta dei diritti dell’uomo della UE?).
Una cosa è certa: Montesquieu non avrebbe mai potuto immaginare la vasta gamma di possibilità espressive e propagandistiche a nostra disposizione. Ed è qui che Aktoudianakis dice una cosa molto vera e decisiva: “Ai nostri giorni, il prezzo della difesa delle nostre menti e delle nostre libertà dipende in larga misura dal fatto che i responsabili politici sviluppino regole per proteggere le persone sui social media”.
Ciascuno di noi, infatti, fomentato dalla rabbia e ottenebrato nella propria lucidità, sembra faticare immensamente nell’elaborare una qualunque forma di protezione dall’ingerenza dei messaggi sospinti da algoritmi e strategie estreme di comunicazione politica. Quegli stessi politici che ci ipnotizzano sui social hanno la possibilità di svegliarci da questo sonno. Almeno fino a che non saremo noi ad accorgerci di essere sotto ipnosi. “Sono le mani a salvare il corpo” diceva Montesquieu. Impariamo, noi per primi, se non vogliamo attendere i legislatori, a levarle ogni tanto dalla tastiera o dal telecomando.
Di greggi e di pastori
Dunque: come si bilancia la libertà di pensiero dell’uomo di esprimere la propria opinione, come vorrebbe Montesquieu, con la possibilità di avere continui ed esasperanti collisioni senza ragionamenti? Nel libro 19 de Lo spirito delle leggi il filosofo scrive una frase che trovo centrale in questa riflessione e che provo ad adattare alla nostra presenza social. La frase è questa: “Per godere della libertà ognuno deve poter dire cosa pensa”. Sacrosanto, no?
Oggi, però, i social ci illudono di vivere in uno spazio aperto, libero, senza confini. Ma è la propaganda politica ad averci fatto credere che sia così. Ricordatevi sempre che un politico senza social e come un pastore senza gregge. Smettiamo allora di essere pecore, iniziamo a ragionare, e forse ci sentiremo più liberi (e meglio rappresentati). Come voleva Montesquieu.