Il dissenso in India è difficile in questi tempi. La più grossa democrazia del mondo (“grande” assume anche un valore qualitativo che la democrazia indiana, piena di falle e contraddizioni, non può avere), vive da qualche anno, soprattutto da quando Narendra Modi è al potere, seri problemi. Non è raro sentire di oppositori all’ideologia dominante (di un’india di induisti), la cosiddetta hindutva, che vengono zittiti in qualsiasi modo. In molti editoriali si parla oramai della trasformazione dell’India in un Pakistan induista.
Ha fatto eco in tutta l’India ma anche nel resto del mondo la notizia della brutale uccisione della giornalista e attivista indiana Gauri Lankesh, avvenuta lo scorso 5 settembre a Bangalore, nello stato del Karnataka, nel sud del paese. La donna, 55 anni, è stata raggiunta da tre colpi di arma da fuoco, due al petto e uno alla testa, sulla soglia di casa, intorno alle 20. Ancora nessuna certezza sull’identità dei suoi carnefici e sul movente anche se le indagini sono in corso. Per ora si sa solo che gli uomini del commando che l’ha freddata sarebbero arrivati in motocicletta, fuggendo subito dopo.
Probabile, per la dinamica dell’accaduto, che la donna fosse stata seguita e osservata nei suoi movimenti nei giorni precedenti dai suoi assassini che hanno quindi accuratamente studiato il luogo e il modo migliore per colpirla.
Un delitto misterioso. Solo per la polizia
Il governatore dello Stato, all’indomani dell’omicidio ha disposto la creazione di uno speciale team di investigatori per fare luce sull’accaduto e ha anche promesso una ricompensa economica a chiunque fornirà elementi utili alle indagini. E se da un lato la polizia, almeno per ora, si tiene sul vago sul movente, l’opinione pubblica o almeno parte di essa, sembra non avere molti dubbi.
La morte di Gauri viene ricondotta alla posizione della donna contro il radicalismo induista imperante nel paese. Gauri Lankesh era molto conosciuta in India, dopo aver lavorato per il Times of India, una delle testate più conosciute, era diventata la responsabile di un giornale pubblicato in kannada, ovvero la lingua dello stato meridionale del Karnataka. I suoi articoli, i suoi interventi pubblici, erano sempre improntati alla critica dell’hindutva e dell’estremismo indù.
E non nascondeva la sua opposizione all’attuale primo ministro, Narendra Modi, e al partito attualmente al governo, il BJP (Bharatiya Janata Party, il partito del popolo indiano, nazionalista e induista). In passato per le sue convinzioni aveva avuto anche problemi con la giustizia, era stata condannata a 6 mesi per diffamazione, per avere parlato di corruzione nei confronti di membri del BJP. La sua morte ha suscitato moltissime reazioni, in diverse città indiane, a cominciare dalla capitale, New Delhi, centinaia di persone sono scese in piazza mostrando cartelli con scritto “Io sono Gauri” oppure “hanno ucciso la voce del coraggio”.
Il degrado della libertà di stampa
Vero è che la situazione relativa alla libertà di opinione nel Paese, appare decisamente peggiorata negli ultimi tempi. La destra nazionalista al potere, secondo quanto denunciano scrittori, attivisti, blogger, tenta di imporre sempre di più la propria ideologia al tempo stesso bloccando ogni voce di dissenso. Per identificare in senso dispregiativo i cronisti addirittura è stato coniato un nuovo termine, presstitute, unendo la parola “press” (stampa) e “prostitute” (prostituta).
Secondo i dati forniti da Reporter Senza Frontiere, l’India è al 136mo posto nel mondo per la libertà di opinione e di stampa. Gli analisti sottolineano che da quando al governo è salito il BJP la vita per chiunque voglia esprimere una idea diversa da quella imposta è diventata difficile. Si sono moltiplicati gli attacchi, le pressioni, le aggressioni nei confronti dei giornalisti. Nel 2015 lo scrittore MM Kalburgi, contrario al fondamentalismo indù, venne barbaramente ucciso. Anche Rahul Gandhi, vicepresidente del partito del Congresso (figlio di Sonia Gandhi), ha dichiarato pubblicamente che “chiunque parla contro l’ideologia del Bjp, il partito conservatore al governo, è sottoposto a pressioni, picchiato, ed anche ucciso”.
L’equazione BJP/governo - anti libertà è ovviamente respinta con vigore dagli esponenti politici al potere, che parlano di generalizzazioni sbagliate e non corrispondenti alla realtà e che hanno condannato fortemente l’omicidio di Gauri Lankesh. Tra gli oppositori (anche se si batte da anni in favore dei più deboli, soprattutto di coloro che sono stati rimossi con forza dai loro villaggi per fare posto alla megadiga sul Narmada), non sono pochi quelli messi in galera. Come Medha Paktar arrestata (insieme a un gruppo di suoi seguaci) dopo che per protesta aveva che fatto un lungo sciopero della fame (mettendo a serio rischio la sua vita) per manifestare prima contro i trasferimenti forzati e poi per il suo arresto, digiuno interrotto solo con il suo rilascio. Alcuni esponenti locali del Bjp, in dissenso con le autorità centrali, si sono dimessi alla notizia dell’arresto dell’attivista. Ma è ancora troppo poco e nel paese la paura del dissenso serpeggia. Modi è stato bravo a creare un clima di terrore e paura negli oppositori, non intervenendo però mai in prima persona, lasciando alle sue “squadre di nazionalisti” il lavoro sporco.