Così in tre giorni riusciamo a insegnare ai giovani contadini l'innovazione che serve alla terra
Api certificartici, un bosco aumentato, kit di orto biologico fatto in casa e progetti di economia circolare e design sostenibile sono i progetti vincitori della seconda fase di AgriAcademy. Di cosa si tratta

Agriacademy è il programma di alta formazione su innovazione, internazionalizzazione e marketing promosso da ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo rivolto a 200 giovani imprenditori agricoli vincitori del bando "Promuovere lo spirito e la cultura d'impresa".
Il programma prevede due sessioni, una estiva e una autunnale, in tre sedi: Roma, Bologna e Bari. La prima sessione si è svolta tra giugno e luglio e ha visto i ragazzi impegnati in lezioni di approfondimento con docenti esperti di innovazione e internazionalizzazione nel settore agrifood provenienti dall'Università di Brescia, il Politecnico di Milano, la Sapienza di Roma, l'Università del Sannio.
L’obiettivo di questi incontri era quello di stimolare la produzione di concept di innovazione a partire dalle loro aziende e dal loro contesto di provenienza. Per la sessione autunnale, invece, mi è stato chiesto di curare la direzione dei lavori con l’obiettivo di trasmettere un metodo di lavoro e di il lavoro di gruppo accompagnando il passaggio di 4 idee dalla fase di concept a progetto.
Devo dirvi che come sempre ero preoccupato ma anche questa volta con tutto il team di RuralHack abbiamo deciso di optare per i nostri approcci ispirati al “learning by doing” (dalle parti mie si dice “vedendo facendo”), esponendo i ragazzi ad una lunga maratona non stop, una sorta di bootcamp creativo, in cui i giovani imprenditori agricoli partecipanti, con l’aiuto di una task force di Rural Hacker Designer, hanno sviluppato i loro progetti di impresa cercando di guardarli dal punto di vista degli utenti ed arrivando a proporre anche dei prototipi dell’idea progettuale.
E devo dire che abbiamo fatto bene. Come al solito abbiamo imparato un sacco di cose e, soprattutto, stiamo avendo conferma che saranno proprio le nuove generazioni a mostrarci come l’innovazione e le tecnologie possano essere “addomesticate” per mettere in pratica un mondo sostenibile.
Infatti, benchè i temi fossero tarati sulle 4 aree di internazionalizzazione, agricoltura 4.0, marketing ed export, è stato bello vedere come fosse naturale ormai per i ragazzi pensare a progetti che contemporaneamente tengono insieme la necessità di fare reddito per riuscire a far stare in piedi la loro azienda agricola, in modo autonomo e non assistenziale, con l’esigenza e la consapevolezza di generare impatti positivi sull’ambiente, sulle comunità, sulla salute delle persone. E tutto questo aldilà di ogni ideologia e di ogni precetto morale. Devo dire che è stata una tre giorni intensa che ha caricato tutti di entusiasmo e speranza che le cose possano davvero cambiare. ù
Agriacademy è stata una sorta di zona temporaneamente autonoma rispetto alla narrazione mediatica (e non solo) di questo Paese. Una boccata di ossigeno, credetemi.
Quella di Roma, che ha avuto luogo dal 18 al 20 ottobre, è la prima delle tre tappe autunnali dell’ AgriAcademy che approderà nei prossimi giorni anche a Bologna e Bari, con lo stesso identico format basato sull'approccio del Rural Design Sprint© codificato da RuralHack adattando metodi e strumenti del design thinking e della progettazione user-centrica alle esigenze dell’azienda agrifood di qualità.

L’idea di fondo non era tanto quella di fare una competizione agonistica quanto, invece, quella di spingere i giovani ad elaborare un metodo di lavoro cooperando insieme. Allora abbiamo stravolto il normale ordine di un “premio” rivolto alle startup o a progetti di innovazione ed abbiamo diviso tutti i progetti partecipanti in 4 cluster che avrebbero rappresentato i 4 tavoli di lavoro.
Abbiamo fatto esporre tutti i progetti ed abbiamo lasciato che i ragazzi dibattessero sui possibili pro/contro di ciascuno. Dopodiché abbiamo fatto votare agli stessi ragazzi le 4 idee principali sulle quali valeva la pena di mettersi a lavorare. Non che non sia emerso qualche conflitto ma, contrariamente a quello che accade di solito, abbiamo spinto affinchè emergesse e, insieme, siamo riusciti a negoziare il suo dissolvimento. E ne abbiamo tratto tutti vantaggio, portando ulteriori elementi di valore ai progetti che erano stati scelti e che alla fine della giornata, credetemi, hanno tutti avuto una notevole trasformazione grazie alla capacità di lavorare insieme facilitata da un team di coach bravissime come Eleonora Musca, Chhavi Jatwani, Chiara Riva, Afi Soedarsono capitanate da Claudia Busetto e con l’apporto di mentori d’eccezione come Andrea Bacchetti (direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood), Pietro Pezzolla (ricercatore Università di Brescia -RISE – Research & Innovation for Smart Enterprises) e Fulvio Pellegrini (docente di economia e management dell’Università la Sapienza di Roma).
È stato interessante vedere come dai tavoli venissero fuori discussioni di livello alto che andavano davvero aldilà delle solite fascinazioni da jackpot economy. Quelle che si delineavano sui tavoli non erano unicorni alla ricerca di una exit vantaggiosa, ma veri e propri progetti di vita che ci suggerivano il senso da dare al futuro dell’innovazione tecnologica.
L'agrifood passa dall'economia circolare
E dai progetti abbiamo imparato che una via mediterranea al 4.0 ha senso solo se passa da considerazioni legate all’economia circolare ; abbiamo capito che per i giovani non ha ormai più senso il dualismo reale/virtuale e che c’è piena coscienza che viviamo in un ecosistema aumentato dove il digitale non deve distrarre dall’autentico, ma può “aumentare” le esperienze contribuendo a conferire altro valore aggiunto; e poi, finalmente, il tema dei dati sta diventando parte di una nuova ontologia che vede la reale reificazione delle possibiltà offerte dalla disintermediazione.
Proprio nella capacità di fare sistema, rete, di saper progettare in comunità è stato il premio più grande che portiamo a casa tutti. Alla fine la giuria, composta da Andrea Bacchetti direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood, Fulvio Pellegrini dell’Università la Sapienza di Roma, Roberto Milletti di Ismea, ha decretato come progetto vincitore dell’edizione romana di Agriacademy ComBEEnazioni che sarà seguito passo dopo passo dai tutor dalle Università partner del progetto nella sua realizzazione. L’atmosfera è stata di festa per tutti.
Una certificazione approvata dalle api
ComBEEnazioni va incontro a tutti quelli che cercano un prodotto biologico garantito aldilà delle certificazioni e lo fa proponendo una certificazione “approvata dalle api”, una sorta di “bandiera blu” dei territori decretata proprio dalle api che sono le sentinelle della qualità ambientale per eccellenza. Il sistema prevede un monitoraggio dell’ambiente attraverso tecnologie che analizzano le api, i loro prodotti e l’alveare. Un soggetto territoriale collettivo (GAL, Gac, Flag…) può dotarsi di questo sistema e se il suo territorio risulta pulito può beneficiare del bollino “approvato dalle api” con la licenza di poterlo trasferire a tutte la aziende produttrici che insistono nella sua area. Il miele prodotto dalle “api certificartici” finisce in vasetti parlanti che mediante un QRCode danno accesso ad una interfaccia dove è possibile monitorare i dati dei territori in tempo reale.

ComBEEnazioni è partito da un concept iniziale di Milena Zarbà di Bergamo e poi con l’aiuto di coach e mentor ha messo in moto l’energia collettiva di tutti i membri del tavolo di lavoro composto da Sergio Fronteddu, Antonello Garra, Giuseppina Solinas, Rocco Vallorani, Luca Rando, Michele Alita ed è arrivato a generare questo progetto che supera la crescente diffidenza dei pubblici verso certificazioni bio ed affini.
Un orto miracoloso da tenere sotto controllo a distanza
L'orto dei miracoli, invece, è un progetto partito da Marco Calcaprina di Pisa e Federico Falzarano di Pistoia che prevede un kit pronto «made in Tuscany», composto di piante e semi certificati biologici, terriccio e concimi autoprodotti dagli scarti organici aziendali, e finalizzato a diffondere le piante da orto biologiche tra hobbisti e appassionati con la possibilità di poter tenere sotto controllo a distanza l’irrigazione ed altri parametri grazie a sensoristica di qualità ormai a buon mercato. È un prodotto che risponde principalmente all’esigenza di naturalità dei pubblici metropolitani e offre qualità in ogni componente del kit. Il progetto non finisce con l’acquisto ma prosegue con la nascita di una comunità sostenibile tra i clienti, attraverso social e app dedicata.
La piattaforma che consente a chi viaggia di portarsi con sé pezzi di tradizioni
La distilleria italiana parte già come progetto collettivo di Alberto Di Florio di Chieti, Giulia Maggini di Viterbo, Caterina Barbaro di Reggio Calabria ed Efisiangelo Curreli di Cagliari. È una piattaformache consente ai viaggiatori (non ai turisti) di portarsi a casa pezzi di nuove tradizioni, attraverso distillati delle principali biodiversità territoriali, insieme all’attitudine italiana all’artigianato. Le bottiglie, infatti, sono predisposte in un kit che consente di trasformarle in lampade e/o in altri oggetti duraturi nel tempo.
Una “Nuova tradizione” di distillati di fico d’india, melograno, frutta e carciofi, mirto, fiori e piante aromatiche destinati a un mercato di nicchia soprattutto estero. Un progetto di marketing territoriale in ottica di design sostenibile ed economia circolare che fa si che tutto quello che normalmente buttiamo di un prodotto (bottiglia, packaging, etc..) abbia la possibilità di rinascere sotto forma di elemento di design.
L'esperienza aumentata nel bosco
progetto partito da Nunzia Cerino Conte di Salerno, Marta Giampiccolo di Perugia e Davide Minicozzi di Benevento propone un nuovo modo di utilizzo, valorizzazione e gestione del bosco che coniuga sport, agricoltura e tecnologia. L’idea è di trasformare un grosso problema per gli agricoltori, il costo della gestione della aree boschive, in una risorsa attraverso una piattaforma di esperienze aumentate nel bosco. Attraverso la creazione di percorsi che interagiscono con un kit di wereble media che consentono non solo di avere informazioni sulle piante e su tuto l’ecosistema ma anche di suggerire i percorsi più appropriati in base alle condizioni fisiche e contingenti dei partecipanti (battito cardiaco, pressione arteriosa, etc…).
Il progetto partirà dalla prototipazione di una prima area boschiva sui monti Picentini, ma l’obiettivo finale è quello di creare un format che possa mettere i boschi italiani in rete in un franchising di valorizzazione delle aree boschive.
E le belle notizie non finivano qua: il timore di dover lavorare con un team “istituzionale” un po’ ci spaventava. Pensavamo che non riuscissero ad entrare nel mood dell’esperienza da bootcamp che avevamo organizzato e che si aspettassero qualcosa di più formale,
Ma non è stato così e ce ne siamo accorti fin dal mattino: eravamo tutti, all’alba, pronti a prepararci al meglio, desiderosi di fare qualcosa di utile. Anche nelle istituzioni ci sono “hacker” che fanno le cose con amore ed è stato bello creare un unico team che ha messo insieme i referenti al progetto di Ismea come Claudio Federici responsabile ufficio comunicazione, Enrica Ruggeri relazioni esterne, Andrea Festuccia social media manager, Margherita Federico organizzazione eventi con tutta la nostra task force coordinata da Pina Caliento che, oltre le Rural Hacker Designer, ha visto la presenza di Robertone Virtuoso e Sossio Mazzarella di Social Reporter oltre che del mitico Tony Mr.Time Ponticiello che ha scandito il TEMPO dei lavori (e non solo…).
Le prossime tappe di AgriAcademy si terranno a Bari, dal 9 all'11 novembre e a Bologna, dal 16 al 18 novembre. Vi terremo aggiornati. Qui le nostre pagine per farlo da voi: la nostra GALLERY su Facebook per scaricare e guardare le foto o le nostre avventure all’ #Agriacademy da seguire su Instagram, Twitter o Facebook.
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