È molto difficile che con le prossime Europee cambi tutto
Salvo clamorosi colpi di scena, Popolari e Socialisti sono destinati a conservare la leadership, seppure ridimensionati. Perché la narrazione sovranista sulla presa del palazzo d’Inverno è destinata a scontrarsi con la realtà

La fine dell’Unione europea travolta dall’onda populista, direbbe Mark Twain, è una notizia fortemente esagerata. Nei giorni dello scontro tra il governo italiano e la Commissione sulla manovra, la maggioranza Lega-M5S ha usato spesso questo artificio retorico: è inutile che la Ue si metta di traverso, perché tra pochi mesi sarà spazzata via. La narrazione è nota: le elezioni di maggio per il nuovo Parlamento europeo saranno l’Armageddon che cambierà per sempre il quadro politico, lo scontro finale tra i movimenti populisti spinti dal vento della Storia e il vecchio establishment dell’Eurocrazia imbelle, destinato ad estinguersi. Le forze ‘che vogliono un’altra Europa’ insomma, si coalizzeranno per far saltare il banco. Sulla ‘delenda Bruxelles’ non resteranno che macerie.
Ma quella che viene raccontata come una ineluttabile verità, per ora resta poco più che una suggestione.
Che in tutta Europa le forze tradizionali stiano arretrando, è innegabile. Popolari e Socialisti, da sempre centrali negli equilibri istituzionali e politici della Ue, perdono terreno ovunque. Ma salvo clamorosi e al momento imprevedibili colpi di scena, Ppe e Pse resteranno i due principali gruppi politici dell’assemblea di Strasburgo anche nel 2019. Seguiti dai liberali, che al netto della fusione con le truppe di Macron accreditate di una ventina di seggi, rimangono la terza forza.
Cosa dicono i sondaggi
Secondo la gran parte dei sondaggi indipendenti, il Ppe perderebbe una quarantina di seggi, confermandosi però primo gruppo a Strasburgo, a quota 180 deputati. I socialisti, anche se in caduta libera, porterebbero all’Europarlamento una quarantina di deputati in meno ma ottenendo pur sempre 140 seggi circa. I liberali dell’Alde dovrebbero tenere a quota 70. A questo si aggiunge l’incognita Verdi, che raccolgono il consenso progressista in uscita dal Pse e sono dati in crescita esponenziale. Gli euroscettici dell’Enf, gruppo di cui fa parte la Lega, raddoppierebbero, arrivando a oltre 60 eurodeputati. E anche l’Efdd, la casa europea del M5S, è data in lieve crescita. Ma i pentastellati sono ancora in cerca di identità a Strasburgo e nessuno per ora si spinge a considerare un’alleanza con la destra leghista-lepenista sullo stile giallo-verde di casa nostra. Di Maio ha annunciato ‘grandi novità’ per gennaio, ma per ora è tutto fermo.
Lo scenario più plausibile insomma, è che dopo le elezioni di maggio 2019, Popolari, Socialisti e Liberali mettano in piedi un’alleanza a tre per governare gli equilibri europei per i prossimi cinque anni, mentre malgrado i proclami, le forze autenticamente euroscettiche, a parte in Italia dove probabilmente si rafforzeranno anche grazie allo scontro con la Ue, continuano a rimanere minoranza.
Il piano di Salvini può funzionare?
Mentre l’orizzonte europeo dei Cinque Stelle rimane un mistero, l’obiettivo di Matteo Salvini dopo il voto di maggio è chiaro: costruire un’asse con un Ppe che guarda a destra, isolando i socialisti. Un progetto favorito dalla nomina del tedesco Manfred Weber, ‘Spitzenkandidat’ dei popolari, alla guida della Commissione, che ha già detto pubblicamente di volere un dialogo con il leader leghista. Ma si tratta di una ipotesi che a Bruxelles per ora nessuno considera realistica. E le ragioni sono molte: in primo luogo una scelta del genere spaccherebbe i popolari, il cui tratto europeista resta molto forte e che non cederebbero ad una alleanza con partiti o movimenti eurofobici come la Lega o il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Secondo, pochi credono che Weber prenderà il posto di Jean-Claude Juncker: sia perché il politico bavarese non ha lo standing del presidente (e non parla francese, dettaglio solo apparentemente secondario) sia perché lo stesso sistema del ’capolista’ è osteggiato da gran parte dei governi che vogliono tenersi mani libere sulla scelta del numero uno della Commissione. Se c’è una cosa su cui pochi hanno dubbi a Bruxelles, è che il prossimo presidente della Commissione sarà scelto dall’alleanza politica che uscirà dalle urne (popolari, socialisti e liberali, anche se qualcuno spera anche nei Verdi) e che guarda in prospettiva anche a novembre, quando sarà il momento di sostituire Mario Draghi alla guida della Bce. Il successo del negoziato su Brexit potrebbe favorire ad esempio il capo negoziatore della Ue, Michel Barnier. O potrebbe spuntare il nome della danese Margrethe Vestager, molto apprezzata nel ruolo di commissaria alla concorrenza.
Un asse sovranista non esiste
Terzo, un asse sovranista, propaganda a parte, non esiste in natura. Dalla gestione dei migranti fino al rispetto delle regole sui conti, i presunti alleati austro-ungarici dell’Italia, Viktor Orban e Sebastian Kurz, non solo in questi mesi non hanno offerto alcuna sponda al governo italiano, ma hanno reso ancora più plastica l’immagine di un esecutivo giallo-verde totalmente isolato a Bruxelles.
Non è un caso che i critici più feroci della ‘manovra del popolo’ siano stati gli austriaci di Kurz, un tempo arruolato di diritto nelle fila dell’esercito sovranista e oggi guardato con occhi amorevoli dall’establishment Popolare in quanto giovane leader emergente, filo europeista e filo occidentale (l’enfant prodige della destra europea ha perfino ospitato a Vienna l’associazione di George Soros, dopo la cacciata decisa da Budapest). Sia Orban che Kurz restano saldamente nel Ppe e non hanno nessuna intenzione di abbandonare la grande e accogliente ‘Balena bianca’ popolare per lidi ignoti e sconosciuti.
Perfino l’ex ideologo di Donald Trump, Steve Bannon, che aveva attribuito all’Italia il ruolo di avanguardia del sovranismo europeo, sembra avere abbandonato l’idea della presa del palazzo d’Inverno per mancanza di adesioni al suo progetto.
A Bruxelles insomma, l’allerta per la crescita delle forze euroscettiche e sovraniste resta alta, ma meno di qualche mese fa. Il ragionamento è che alla prova del governo e delle alleanze, il populismo sovranista non regge. La decisione del governo italiano di forzare sulla manovra per indebolire l’Unione per esempio, ha sortito esattamente l’effetto opposto, rinsaldando l’unità dei paesi dell’area euro che hanno fatto muro appoggiando senza riserve la linea dura della Commissione e lasciando in un angolo l’esecutivo Conte.
Tutto può ancora accadere e sei mesi in politica sono un tempo infinitamente più lungo di un’era geologica. Ma se i pezzi sulla scacchiera resteranno questi, se gli equilibri non muteranno, la ‘conquista dell’Impero’ auspicata dai sovranisti, è quantomeno rimandata.
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