Di Adolfo Tamburello
Napoli, 03 feb. - Storie di uomini e di fiumi. Lungo le rive del Fiume Azzurro cercando la Cina di ieri e di oggi (Bologna, Il Mulino, 2016) è il recente libro di Stefano Cammelli. Il frontespizio reca: "Prefazione di Romano Prodi"; in realtà la "Prefazione" è dell'autore, di Prodi è l'autorevole saggio che precede il testo e si intitola: "Osservando la Cina da Occidente: integrazione e cooperazione". L'insigne economista non entra nel merito della Cina, la guarda nell'auspicio di una sua crescente cooperatività a livello mondiale e ne raccoglie il timore da essa sentito del riflusso di una sua subalternità, mentre l'autore l'esamina al suo interno fra popolo, burocrazia, politica, e questa fra Enti locali e vertice, fra partito e Consiglio di Stato, fra la sua attualità e quella che alcuni leggono la "premodernità" della Cina. Il mondo esterno vi figura con gli stranieri che vi viaggiano e vi soggiornano, vi operano e vi investono. E da qui le molte apprensioni di convivenza che hanno gli uni con gli altri e le pericolose connivenze fra entrambi, come già fu, è stato, è, e si teme continui a esserlo.
Ambienta il libro il tema di un viaggio, di un lungo viaggio d'un decennio per la Cina fra il 2002 e il 2012, nella "conflittuale fine degli anni dell'amministrazione Hu Jintao e Wen Jiabao", dalle aree confinarie del Tibet alla foce dello Yangzi, il Fiume Azzurro; non ha per unico sottofondo la vicenda politica, economica e sociale di quegli anni. La prima delle tre parti, "Dalle sorgenti a Chongqing", espone aspetti locali e per lo più rurali del mondo degli allevatori e di quello multiforme agrario, vissuti nel presente e nel passato che è stato restituito dall'archeologia o è testimoniato dai monumenti ancora in luce: lo Yunnan all'ombra del buddhismo tibetano; il Sichuan con le ultime scoperte archeologiche di Sanxingdui che lo indicano, dopo quelle del primo Novecento di Anyang, una secondo centro propulsivo dell'antica civiltà del Bronzo in Cina; infine l'area di Chongqing, un tempo dipendente da Chengdu e successivamente estrapolata dal Sichuan per costituire una provincia autonoma, o meglio un'immensa municipalità che sfiora oggi i 34 milioni di abitanti e soffre di un'ormai lunga crisi etnica ed economica.
Se fin dalle prime pagine l'autore entra nel tema del libro e questo ne spiega il titolo, la spiegazione culmina nella seconda parte con le "Gole, dighe e alluvioni" e il discorso si dilata alla "storia" di un fiume che non è più quello Azzurro ma quello Giallo, l'Huanghe, che un tempo era definito dai più avvertiti una ricchezza per le sue fanghiglie fertilizzanti (il limo) e ad un tempo flagello per le frequenti e tremende alluvioni. Da quando Wittfogel pubblicò il suo Dispotismo orientale e molti condivisero di leggere la Cina in chiave di "civiltà idraulica" al pari dell'Egitto faraonico del Nilo o della Mesopotamia del Tigri e dell'Eufrate, il tempo passato fa riferire oggi l'autore: "Lo storico Cao Jinqing ha osservato che 'diversamente da Nilo e Gange, il Fiume Giallo non è mai stato adorato dalle popolazioni che vivevano lungo le sue rive'. […] Il fiume non è stato mai veduto come fonte di vita, ma come pericolo costante con cui occorre fare i conti. Se c'è un'immagine che nessun contadino cinese sottoscriverebbe è proprio quella della valle del Fiume Giallo, culla della civiltà cinese. Probabilmente a questa immagine ne opporrebbe una assai più dura e veritiera: culla della civiltà cinese nonostante il Fiume Giallo".
Dopo pagine di alto interesse l'autore riprende: "Se il corso del Fiume Giallo è luogo di combattimento e di morte, piuttosto che culla amorosa, quello del Fiume Azzurro ha caratteri ancora più duri e severi. Fino alla costruzione della diga delle Tre Gole il corso del Fiume Azzurro reclamava il suo tributo di sangue, raramente inferiore alle migliaia di morti. Nel XX secolo le alluvioni del Fiume Azzurro si sono ripetute quasi ogni anno. […]. La sola alluvione del 1931 sommerse vastissime aree provocando la morte di 135.000 persone. I dati dell'alluvione del 1998 parlano di quasi 5.000 morti, 14 milioni di senza casa, oltre 200 milioni di persone danneggiate a vario titolo o mobilitate per fronteggiare l'alluvione".
E non vi sono solo alluvioni piccole e grandi, vi è anche il problema delle siccità ricorrenti con cui prende corpo la terza parte del libro intitolata "Verso il presente" e il cui capitolo d'apertura è dedicato in parte anche a "Changsha, Hunan": "I giorni della primavera 2011 furono molto difficili per le campagne cinesi. In quelle settimane la Cina centrale fu colpita da una delle più grandi siccità dell'era contemporanea, la più grande dal 1961 ricordò il 'Quotidiano del popolo' di quei giorni. Nelle province centrali andarono perdute decine di migliaia di posti di lavoro: tutto quanto era collegato all'acqua, dai campi alla pesca. I giornali riportarono le foto di terreni spaccati dalla siccità, raccolti perduti, contadini visibilmente angosciati, barche in secco, adagiate sul letto di laghi un tempo ricchi d'acqua e di pesce".
"Negli stessi giorni molti giornali cinesi si riempirono delle foto scattate nel 1958 nei pressi di un bacino posto a pochi chilometri da Pechino. I principali dirigenti del partito - terminata una riunione sul Grande balzo in avanti - avevano partecipato ai lavori di costruzione di una diga che avrebbe fornito l'acqua a Pechino. Sono immagini che ancora oggi in Cina, periodicamente ricompaiono sulla stampa come simbolo di un partito concreto, contadino, lavoratore; un partito che non esita ad affrontare i lavori più umili per il bene della collettività". Un partito impegnato per primo coi suoi massimi dirigenti del momento: da Mao Zedong a Liu Shaoqi a Zhou Enlai, da Deng Xiaoping a Jian Zimin e a seguire, nessuno che si faccia indietro a esibirsi a maneggiare la pala e indossare gli stessi abiti dei contadini alle spalle e figurare tutti più che buoni discendenti del mitico Yu il Grande che ancora il partito dà oggi per un eroe realmente vissuto...
La storia ha bisogno di miti, che in Cina non sono presentati come tali ma come storia e cronaca di ieri e di oggi.
Rimane il dubbio che l'autore miri col suo libro a illustrare quanto con queste premesse sia ancora difficile per una Cina così convivere col mondo e/o che viva tempi prematuri per farlo. Leggo nella sua citata Prefazione: "Negli stessi anni in cui procedeva la mia analisi della società cinese, Romano Prodi - per compiti di governo e per responsabilità politiche - seguì da vicino l'evolversi della politica economica, interna ed internazionale cinese, dal privilegiato punto di osservazione di presidente della Commissione europea e di primo ministro della Repubblica italiana. […] È stato naturale chiedere a Romano Prodi una sua introduzione agli anni di Hu Jintao e Wen Jiabao. […] Grazie dunque a Romano Prodi per avere accettato di introdurre questo mio lavoro con riflessioni che sono il frutto della conoscenza dei problemi e delle persone che hanno retto la Cina in quel decennio. Sono punti di osservazione diversi su una stessa realtà…".
Una realtà con la quale la Cina ha sempre convissuto e si è fatta tra l'altro maestra al mondo, non solo per gli argini e le dighe opposti alla furia delle acque ma per la rete dei suoi canali: il nostro , Canal Grande di Venezia o lo stesso Canale Cavour fanno probabilmente sorridere il turista cinese che pensa al "proprio" Grande Canale Imperiale fra lo Yangzi e l'Huanghe ...
Il libro, come si divide in parti per itinerario geografico, così si articola per argomenti nei singoli capitoli passando ora dal moderno all'antico o dall'antico al moderno e offrendo in lettura la Cina in tanti episodi culturali, letterari, artistici della sua continuità storica e attraverso tante "rivoluzioni" e una vivace dialettica su cognizioni vere o presunte per ambiti della sua storia che affondano sia nella sfera di credenze, culti e chiese (di origini locali e di tanto lontano continente come India, Asia Centrale, Iran) sia di quella di un'ideologia laica pur'essa religiosamente vissuta.
Conforta che l'autore affermi che tanto "confucianesimo cinese" possa incontrarsi in tutto il mondo, non solo in Cina, come di tutto il mondo sono miti e leggende, credenze e tradizioni popolari, festività e folclore. In quanto all'uso che se ne fa, pochi paesi "traducono" come in Cina in culti civili e laici quanto di sacrale o di "chiesa" poteva suonarvi alle origini o ancora vi suonerebbe se non vi fosse il partito a scongiurarlo continuando a fare dei miti storia e della storia dei miti grazie ai ben orchestrati mass-media.
Preoccupa molto che il destino della Cina passi ancora per il partito, le cui tante anime pare però impersonino di volta in volta quelle stesse dei vari partiti di fuori la Cina e di cui molte, protezionistiche, si guardano altrettanto bene dall'esterno, altre meno. Per quanto concerne la Cina è di pochi giorni fa la nota di AgiChina su Xi Jinping a DAVOS: "non incolpate la globalizzazione per i mali del mondo […]. Il protezionismo è 'chiudersi in una stanza buia".
Per l'antico e il moderno soccorrono il libro i dati più aggiornati della ricerca scientifica cinese e occidentale con puntuali note di riferimento a molti libri anche di autori italiani, compagni o meno del suo lungo "viaggio", i quali contribuiscono coi loro studi a darci un nuovo volto della Cina e della sua civiltà. Un unico rammarico: il libro non è corredato di un indice analitico e specialmente di nomi e luoghi; sarebbe utilissimo data la consistenza dell'opera come strumento di consultazione e non solo di piacevole e informativa lettura. Confidiamo che vi appaia in una nuova edizione.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
03 FEBBRAIO 2017
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