Pechino, 01 dic. - Gia' da qualche mese è in libreria la traduzione di un importante classico della filosofia cinese, Han Feizi (a cura di Giulia Kado, Nuova Universale Einaudi). Pur non nella sua versione integrale l'opera colma una lacuna nel già così esiguo numero di classici tradotti in lingua italiana.
Han Feizi fu un filosofo che propagandò a corte il pensiero del legismo, ereditandone le basi da altri importanti pensatori e funzionari quali il Principe di Shang. A differenza di molti altri suoi colleghi, Han Feizi era di estrazione nobile, e forse anche per tale motivo le sue teorie e analisi si focalizzano sulla centralità del potere del sovrano a scapito talvolta del comportamento etico.
Perché affrontare un volume del III secolo a.C. in uno spazio che si occupa prevalentemente di Cina e Asia contemporanea? Molto si è già scritto in maniera autorevole sull'utilizzo da parte del Presidente Xi Jinping di citazioni dotte tratte dai classici, e sulla riabilitazione del pensiero confuciano, già avviata dai suoi predecessori, in contrapposizione alla posizione netta di contrasto al pensiero del Maestro in epoca maoista, soprattutto durante la rivoluzione culturale. Meno invece si è analizzato quanto il legismo e il pensiero di Han Feizi influenzino con forza l'amministrazione di Xi dal momento in cui egli è salito al potere. Pertanto, la traduzione di quest'opera (la cui analisi critica lasciamo agli esperti di filologia) rappresenta uno strumento importantissimo per comprendere fino a che punto un testo compilato oltre duemila anni fa possa determinare le scelte della leadership cinese del XXI secolo.
Sin dal suo insediamento Xi ha voluto dare particolare enfasi al concetto di stato di diritto, che é entrato nella dialettica del Congresso del Partito ed é diventato una costante nella promulgazione delle nuove leggi. L'obiettivo finale, a differenza dell'Occidente non è tuttavia quello, come lo stesso Han Fei sostiene, di proteggere i membri della comunità, quanto di esercitare il diritto affinché si perseguano gli interessi dello stato (e del potere).
Un'altra forte analogia sta nel concetto di Han Fei della necessità di trovare un allineamento tra forme e nomi. Si tratta di una elaborazione del concetto confuciano della rettificazione dei nomi che già Xunzi, maestro di Han Fei, aveva contribuito a ordinare. Per Han Fei tuttavia il mutare dei tempi ha mutato anche le circostanze, pertanto ogni funzionario deve attenersi al compito che oggi il sovrano gli attribuisce. Agli uomini politici della Cina di Xi Jinping si chiede di lavorare per svolgere le funzioni a cui sono stati chiamati, senza distrazioni e soprattutto senza arrogarsi diritti e/o privilegi che da queste ne possano derivare. Le due leve a cui fa riferimento Han Fei, la trasposizione di carota e bastone se vogliamo utilizzare modelli occidentali, servono a evitare che coloro che sono preposti all'amministrazione dello stato cadano nelle tentazioni consentite dalla prerogativa della loro posizione. Le punizioni emblematiche risultato della lotta alla corruzione così come le promozioni per la condotta virtuosa di talune figure politiche e amministrative si avvicinano molto al modello legista.
Tra le altre similitudini vi è quella della oggettiva e giusta distanza tra colui che guida l'impero e i funzionari, così da impedire che questi possano mettere in atto strategie e comportamenti volti a ingraziarsi il sovrano e ottenere vantaggi personali in virtù della posizione di privilegio che si trovano a ricoprire. Nella Cina dell'amministrazione Xi, un gruppo di "saggi" si frappone tra il leader e il resto della nomenclatura. Esso ha il compito (sempre oggetto del rapporto tra forma e nomi) di dettagliare le politiche principali del paese senza che vi siano interferenze dal mondo politico a livello centrale e locale. Neanche i familiari possono scampare a questo precetto, e lo dimostrano le recenti azioni disciplinari anche nei confronti di personaggi estremamente vicini ai vertici del paese.
Questo esercizio del potere autoritario è lo strumento essenziale affinché si realizzi l'equilibrio e l'ordine, indipendentemente dal fatto che il sovrano sia giusto o meno. Il funzionamento della macchina governativa deve prescindere dal valore morale di chi sta al comando, e in questo si vede la determinazione di Xi Jinping che intende costruire un assetto ordinato del paese anche per la futura leadership. La legalità' deve anche servire a giustificare e a legittimare le azioni autoritarie del governo. In tali casi la comunità è chiamata a subire il peso del rigore e la posizione di forza per il fine ultimo della stabilità del paese.
La grandezza dell'opera di Han Feizi, rispetto agli altri testi della dottrina legista è che l'autore tenta di comporre un'opera organica che si fondi anche su basi filosofiche oltre che materiali. Questo implica anche soluzioni contraddittorie all'interno dello stesso testo. Le stesse contraddizioni che accompagnano la vita quotidiana di chi deve amministrare un paese complicato ed eterogeneo.
Han Fei sarà costretto al suicidio da un suo collega nello stato di Qin, quello che darà la nascita alla prima dinastia imperiale della Cina. La sua fine è forse frutto della sua stessa dottrina che incoraggia il ricorso alla delazione e alimenta il sentimento del sospetto. Questi strumenti, utilizzati troppo frequentemente, hanno isolato il Primo Imperatore e lo hanno portato velocemente alla sua caduta.
Un motivo in più per l'attuale leadership per abbracciare con cautela una sola dottrina e invece fare proprie tutte le diverse istanze filosofiche dell'antica Cina.
di Davide Cucino
01 DICEMBRE 2016
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