L’apporto coreano e cinese alla cultura
Di Adolfo Tamburello
Napoli, 24 nov. - Se il Giappone dell'era Genroku (1688-1703) sfoggiava una vita urbana analoga a quella delle città del continente cinese col loro connesso demi-monde, lo era perché ormai condivideva una cultura cresciuta a più stretto contatto con Corea, Cina e fino con l'Occidente europeo. In primo luogo l'alfabetizzazione attraverso la diffusione della stampa. Marcello Muccioli scriveva quasi una cinquantina d'anni or sono: "Fino a tutto il 1500, la produzione letteraria o di altro tipo aveva circolato in copie manoscritte, e siccome coloro che ad essa avevano interesse costituivano un ambiente ristretto, non si poteva parlare di diffusione vera e propria, nel senso cioè di diffusione di massa. I sistemi di stampa usati in Cina […] erano penetrati fino in Giappone, ma solo i conventi buddhistici ne facevano uso, limitantolo alle immagini sacre e poi ai testi religiosi. Il primo testo profano stampato in Giappone con lo stesso sistema fu il Setsuyo-shu, un dizionario di termini giapponesi e cinesi in due volumi pubblicato nel 1590. Né sembra avere avuto alcuna influenza la tipografia con caratteri mobili di metallo impiantata dai Gesuiti ad Amakusa, che in questo tempo era in attività. Fu, invece, ancora una volta la Corea a far conoscere la stampa con caratteri mobili, di legno, ai figli del Sol Levante, quando, al tempo dell'invasione di quella penisola, le truppe di Hideyoshi riportarono in patria un'attrezzatura completa per la stampa con questo sistema". Muccioli proseguiva: "… uno dei primi e più celebri editori fu Suminokura Soan (1570-1630) […]. A Saga, vicino a Kyoto, Soan aveva fondato un centro, dove artisti e artigiani produssero i famosi Saga-bon o "libri di Saga", considerati i capolavori dell'antica tipografia giapponese. I caratteri mobili, dapprima adoperati a Saga e altrove, vennero poi abbandonati a favore della stampa con clichés fatti di tavolette di legno su cui venivano incise a rilievo due pagine, recto e verso; questo sistema, molto più economico, consentì una grande diffusione e rese enorme servigio all'elevazione spirituale e culturale del popolo".
Eruditi coreani e cinesi erano intanto di guida agli studi: il magistero del coreano Kang Hang, portatovi come prigioniero, molto influiva sulla formazione di una delle personalità intellettuali di spicco del primo Tokugawa, Fujiwara Seika (1561-1619); a sua volta il cinese Zhu Zhiyu (Shun-shui, 1600-1682) diventava precettore di un principe di corte ed era un'autorevole presenza del circolo di Tokugawa Mitsukuni (1628-1700), il fondatore della scuola di Mito, per il quale rivedeva le prime parti del Dai Nihonshi, la "Storia del Grande Giappone", uno dei monumenti che l'epoca Tokugawa lasciava alla posterità. Monaci chan raggiungevano l'arcipelago timorosi della sorte che il loro ordine avrebbe avuto in Cina sotto il potere mancese col prevedibile rafforzamento del lamaismo. Tra le figure eminenti si annoverava in primo luogo quella di Yinyuan Longqi (Ingen Ryûki, 1592-1673), il fondatore dell'Obaku Zen, che arrivava in Giappone nel 1654 e si stabiliva prima a Nagasaki e poi a Kyoto con un uno stuolo di monaci e discepoli, fra i quali si distinguevano Muan (1611-1684) e Jifei (1616-1671). Altri lo raggiungevano negli anni successivi.
Tutte queste e molte altre presenze aggiornavano i giapponesi sulle nuove tendenze culturali del con-tinente. Le influenze erano a prosecuzione del clima di rinnovata apertura nei confronti della Cina già instaurato dal primo monachesino zen. Le discipline filosofiche approfondivano il neo-confucianesimo, che, nella sistemazione datagli da Zhu Xi, diventava, come nel frattempo in Cina e in Corea, un'ideologia di regime. Un discepolo di Fujiwara Seika, Hayashi Razan (1583-1657), che ne stabiliva la scuola ufficiale, assimilava la rielaborazione coreana di Yi T'oegye. Fuori dell'ortodossia, attraeva il pensiero intuizionista di Lu Xiang-shan (o Juyuan, 1139-1192) e di Wang Yangming (o Shouren, 1472-1529). L'intuizionismo idealistico dell'ultimo rivelava a Nakae Toju (1608-1648) la congenialità di esso con la spiritualità indigena e la sua conciliazione coi valori marziali che precorrevano il nazionalistico bushido (la "via del guerriero"). Impulso esercitavano le prime conoscenze degli studi che convogliavano in Cina verso la "scuola Han" (Hanxue, in giapponese kogaku, la "scuola dell'antico"); lo Xinxue (shingaku, la "scuola della mente"); lo Shixue (jitsugaku, gli "studi pratici").
La letteratura narrativa viveva del respiro della novellistica cinese. La favolistica effettuava un secondo trapianto del genere prodigioso e mirabolante caro alla letteratura cinese con ambientazioni e su tempi giapponesi. Nel 1666, Asai Ryoi presentava con l'Otogi boko una serie di racconti fantastici, fra cui alcuni tradotti da opere cinesi dell'epoca Ming. Più tardi, opere cinesi stimolavano la narrativa illustrata dell'ukiyo-zoshi, con gli yomi-hon, i cosiddetti "libri di lettura", che risentivano della narrativa popolare continentale. Lo stesso si verificava nel campo della poesia, mentre l'evoluzione del teatro, sia del kabuki che di quello dei burattini o marionette (joruri, bunraku), risentiva delle conoscenze del teatro e della drammaturgia cinesi. La musica d'accompagnamento sostituiva nella strumentazione al classico biwa lo shamisen, conosciuto allora dalle Ryukyu. Chikamatsu Monzaemon (1653-1725) presentava nel 1715 il Kokusenya kassen, sulle "Battaglie di Koxinga", con le sue ambientazioni, personaggi e azioni sino-giapponesi.
In ambito geografico e tecnico-scientifico un posto a se stante occupava il corpus di opere in cinese curate dai religiosi europei in Cina e pure affluite nell'arcipelago. Il primo posto spetta per importanza al "Mappamondo" di Matteo Ricci, da cui derivavano fra l'altro carte geografiche dipinte su pannelli per paraventi e atlanti a stampa. Il primo mappamondo giapponese appariva a Nagasaki nel 1645: era seguito da almeno altri ventiquattro atlanti che attingevano al lavo¬ro cartografico di Ricci. Di Ricci e collaboratori cinesi arrivavano anche gli "Elementi" di geometria di Euclide e le traduzioni delle opere del gesuita Cristoforo Clavio, mate¬matico e astronomo tedesco (al secolo Christoph Schlüsse). Lo stesso dicasi dell'opera geografica di Giulio Aleni e di altre di gesuiti matematici e scienziati in Cina. Per le armi da fuoco, era conosciuto il trattato del gesuita Adam Schall von Bell, provetto fonditore di cannoni prima per i Ming poi per i Qing, nonché il manuale di artiglieria del Collado, che era apparso a Venezia nel 1586 e gli stessi Gesuiti avevano tradotto in cinese.
Continuando a vigere in Giappone la proscrizione del cristianesimo, rigorosi veti e una severa censura impedivano l'importazione ufficiale di testi che contenessero riferimenti o allusioni alla fede. Solo dai primi decenni del Settecento le proibizioni erano mitigate e l'importazione e la vendita di libri cominciavano a essere consentite purché non fossero opere d'argomento esplicitamente religioso. Tuttavia, nonostante il rigore con cui la censura operava, persino testi religiosi non mancavano di entrare e circolare: molti, introdotti anteriormente al bando del cristianesimo, erano stati messi in salvo da roghi e sequestri; altri entravano clandestinamente dalla metà del Seicento. Così, attraverso la Cina, il Giappone rimaneva in contatto anche col versante cattolico della cultura europea e non solo di quello protestante del canale olandese, benché questo fornisse quasi unicamente opere di carattere del tutto profano.
Accanto alle opere dei missionari in Cina e loro collaboratori cinesi, arrivavano saggi e trattati di autori che collateralmente o indipendentemente dall'attività missionaria relazionavano su aspetti della cultura e delle scienze europee o ne approfondivano gli studi. Un vero e proprio classico di astronomia diventava in Giappone il Tianjing huowen di Yu Yi, pubblicato intorno al 1675 e impor-tato nell'arcipelago poco dopo, per esservi ristampato nel 1730 in una prima edizione, cui ne seguivano altre con commenti e annotazioni. L'opera non offriva novità di rilievo in campo scientifico ed era datata rispetto alle teorie di Galilei e Newton che gli Olandesi già presentavano, ma aveva il pregio di tentare una conciliazione e una sintesi fra le teorie cosmologiche cinesi e quelle dell'astronomia europea precopernicana. Almeno fin dal primo Settecento l'opera di studiosi, come Nishikawa Joken, si concentrava nello sforzo di proporre, accanto alla tradizionale concezione cinese del Cielo come ente morale, una concezione del Cielo come entità fisica da studiare attraverso l'osservazione secondo una prospettiva di scienza naturale empirica. Con altri studi di astronomia, erano importate opere su riforme calendariali e testi di matematica e agronomia di fonte europea.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
24 NOVEMBRE 2016
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