I RAPPORTI FRA CINA E GIAPPONE
Di Adolfo Tamburello
Napoli, 10 nov. - Addentrandosi nel Seicento, lo shogunato Tokugawa (1603-1867) riparava i guasti lasciati dall'aggressiva politica di Hideyoshi contro la Corea e l'impero Ming con una scaltra strategia di recupero delle relazioni internazionali. Restaurò in primo luogo all'interno con la propria supremazia militare (e le modifiche di nuove alleanze e ricompense) il vecchio regime decentrato dei daimyati regionali, e ripristinò i rapporti con l'oltremare non come Stato "nazionale", ma delegandoli a singoli daimyo.
Per la Corea li affidò agli storici So di Tsushima che riuscirono a ristabilirli fin dal 1607-1609 col governo coreano prima nella base commerciale dell'isoletta di Choriong, antistante il porto di Pusan, poi a Such'andong e infine a Ch'oriang, sotto impero ormai Qing. Lì i So tenevano di stanza i propri funzionari che continuarono a sovrintendere ai traffici di una ventina di navi giapponesi l'anno da e per Tsushima come mercato di export e import. Analoga delega la davano agli Shimazu di Satsuma del Kyushu per gestire i rapporti delle Ryukyu con la Cina e i paesi dell'Asia sud-orientale, dopo che le isole erano state poste in quegli anni sotto vassallaggio giapponese con l'intesa che i Ming poi i Qing ne rimanessero ufficialmente all'oscuro. Il giapponese "Memorandum per i viaggiatori" (Ryokonin kokoroe) imponeva ai connazionali mescolati agli equipaggi delle Ryukyu di adottare nomi e maniere di quelle isole e tacere la vera nazionalità. Una politica di rapporti "semisommersi" che si prolungava con successo fin quando l'impero Qing, nel secondo Ottocento, vedeva annesse le Ryukyu definitivamente al Giappone.
Ai traffici con le regioni settentrionali (Curili, Kamchatka, Sachalin e litorale siberiano) i Tokugawa delegavano a loro volta i daimyo di Matsumae dell'Ezo (l'odierno Hokkaido), i quali rifornivano il resto dell'arcipelago (comprese Tsushima, le Ryukyu e Nagasaki) di prodotti ittici essiccati, nonché pellami e pellicce, molti volumi dei quali in esportazione.
Solo Nagasaki rimaneva l'unico porto aperto ai traffici sotto controllo shogunale e con giurisdizione sull'agenzia "cinese" (Tojin yashiki) per le rappresentanze e le operazioni commerciali con la Cina e i paesi del Sud-Est Asiatico e con l'agenzia olandese (Oranda-yashiki) che aveva la sua base nell'isoletta artificiale di Deshima e diffondeva le merci giapponesi in Asia ed Europa importandone di asiatiche ed europee in Giappone.
Tutto ciò si accompagnava e seguiva all'espulsione degli spagnoli e dei portoghesi nel 1623-24, alla proscrizione del cristianesimo e al volontario ritiro da Hirado della Compagnia inglese delle Indie Orientali. L'unica delusione per i Tokugawa restava Taiwan (Formosa) che andava perduta ai giapponesi prima con le fallite spedizioni di conquista dell'isola del 1609 e 1616 e poi con la sua conquista da parte dei Qing nel dopo Coxinga. Coi Qing i Tokugawa si astennero dall'allacciare rapporti ufficiali nel critico sèguito avuto dal lealismo Ming nel paese e l'intensa immigrazione coreana e cinese nell'arcipelago. Per i Tokugawa fu una politica di astensione e destreggiamento che li tenne fra l'altro a lungo sul piede di guerra nel timore di una reazione Qing contro di loro.
Rimane un capitolo molto oscuro quello degli anni 1666, 1685 e ancora 1715 (e altri seguenti) in relazione all'inasprimento delle misure restrittive che i Tokugawa dovettero prendere sui commerci e perfino con la mente aperta di uno statista come Arai Hakuseki (1657-1725) che non cessava di raccomandare che fosse "posto un limite ai pagamenti annuali per le merci (di importazione) a Nagasaki, Tsushima e Satsuma", onde frenare la persistente e incontrollata fuoruscita di metalli come argento, rame e oro, dei quali rimaneva sempre alta la richiesta del mercato estero col gran numero di navi olandesi, di giunche cinesi e di altri paesi del Sud-Est Asiatico (Siam, Annam, Cambogia ecc.) che continuavano ad affluire nell'arcipelago, mentre navigli giapponesi si spingevano clandestinamente fin nella penisola coreana e nella Cina meridionale. Di argento e rame rimaneva specialmente forte la domanda cinese per il suo bimetallismo monetario e le cui provvigioni soddisfacevano in buona parte il mercato librario, l'antiquariato e i vari generi d'arti e artigianati. I primi a esportarli erano naturalmente i Tokugawa e i daimyo: era l'epoca in cui si formavano in Giappone le grandi collezioni dei Tesori Tokugawa (Tokugawa gyomotsu) e quelle degli altri daimyo che dovevano fra l'altro trasmetterci una parte cospicua e darci una documentazione essenziale delle arti cinesi quando si pensi alle mutilazioni e alle perdite che la Cina avrebbe continuato a subire. Al mercato giapponese di libri e arti cinesi ricorrevano a Nagasaki persino gli olandesi e gli altri europei al servizio della Compagnia, i quali poi importavano in Europa opere cinesi di pregio e di valore che non erano i puri prodotti "d'esportazione" da Canton in carte da parato o di riso, di cui gli inesperti acquirenti europei facevano incetta.
Severi veti Tokugawa permanevano a privati giapponesi non autorizzati a espatri e rimpatri, e il numero degli autorizzati sarà persino arduo conoscerli un domani, ma certo doveva essere alto il numero di giapponesi che mantenevano contatti con l'oltremare cinese, come pure alto quello degli stranieri che visitavano o soggiornavano a lungo nel paese o che vi si naturalizzavano, e specialmente i coreani e i cinesi (con gli altri sud-orientali) che vi formavano comunità in progressiva crescita, oltre la più folta che restava quella di Nagasaki rimasta in stretto contatto con la madrepatria e tenutaria di una rete di traffici anche in regime clandestino o semiclandestino.
10 NOVEMBRE 2016
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
02 NOVEMBRE 2016
@Riproduzione riservata