Di Adolfo Tamburello
Napoli, 19 set. - Charles Maigrot col suo Mandatum del 1693 non si era limitato a prescrivere che l'unico nome di Dio in cinese suonasse Tianzhu; includeva il veto di consentire ai cristiani cinesi di prendere parte alle cerimonie che si svolgevano in onore di Confucio e dei defunti, di condividere che la filosofia cinese fosse compatibile con quella cristiana e che il classico dell'Yijing fosse da considerare un corpus di scibile morale. Insomma, aveva premuto che i cristiani cinesi mandassero a monte gran parte della propria cultura e della loro vita sociale! L'efficacia giurisdizionale del suo intervento si circoscriveva ai cattolici del Fujian che facevano capo a lui come vicario apostolico e con l'eccezione di base della legittimità del suo vicariato agli occhi di coloro che si sentivano ancora dipendere dalle diocesi o vescovadi più 'permissivi' del patronato portoghese. Ma Maigrot non era solo: con lui era (e da lui chiamato) un altro membro delle Missioni Estere di Parigi: Artus de Lionne (1655-1713), che divenne vicario apostolico del Sichuan (senza mai mettervi piede) e impegnandosi attivamente contro le posizioni dei gesuiti a stretto fianco di Maigrot, prima per ingrossare di suo la documentazione contro i "riti cinesi" che Nicolas Charmot era stato incaricato dallo stesso Maigrot di portare a Roma e poi per partire di persona per la Santa Sede dove arrivava nel 1703. Seguiva l'anno dopo il pronunciamento del Sant'Ufficio sulla condanna dei nomi cinesi di Dio e quella dei riti contenute nel decreto del Cum Deus Optimus.
Intanto era partita per l'Asia fin dal 1703 la missione del legato papale Carlo Maillard De Tournon, domenicano di formazione, che nel 1704 condannava in India i "riti malabarici" e nell'aprile 1705 era a Macao per raggiungere Pechino il 4 dicembre. Qui la posta era più alta di quella di condannare per parte sua i soli "riti cinesi" o "di Matteo Ricci" come venivano ormai chiamati; era in gioco stabilire una nunziatura nella capitale dell'impero, e per lui subito quella di prendere con essa in pugno le missioni e non solo quelle gesuitiche. Da primo nunzio di Cina avrebbe onorato a sufficienza la nobile famiglia piemontese che lo aveva cresciuto sensibile alla Francia; lui era tutto ormai per le Missioni Estere di Parigi. Era ricevuto con insoliti onori da Kangxi in persona e i suoi rapporti con lui si prolungavano fino a rompersi definitivamente l'anno dopo.
Lascio la parola a Jonathan D. Spence nella sua più volte citata autobiografia di Kangxi: "Il confronto con questo legato - Maillard de Tournon - fu per K'ang-hsi un nuovo problema. Fin da quando era salito al trono egli aveva mostrato il suo favore ai gesuiti: li aveva ammirati per le loro tecniche meccaniche, mediche, artistiche e astronomiche, e li aveva tenuti alla sua corte impegnati in numerosi progetti. […]. Ma ora de Tournon recava il messaggio che il papa voleva nominare un suo emissario a Pechino, un uomo esperto e fidato della Curia romana sul quale si potesse contare per difendere gli interessi del papato, per garantire che elementi di 'superstizione' cinese non contaminassero la liturgia locale e per tenere sotto controllo i missionari gesuiti in Cina. La risposta di Kang-hsi fu ferma, perché nel campo della morale e della religione egli era risoluto a mantenere la tradizionale autorità del trono cinese: voleva che i gesuiti dovessero obbedienza a lui, e che fossero controllati unicamente da uno dei loro uomini che lui conoscesse e di cui si fidasse. K'ang-hsi disse ai gesuiti e agli altri missionari che sarebbero stati autorizzati a rimanere in Cina soltanto se avessero firmato un documento in cui dichiaravano di comprendere e accettare la definizione dei riti di Confucio e degli antenati formulata da K'ang-hsi. Coloro che rifiutarono di firmare furono deportati. La richiesta del Papa di avere a Pechino il proprio emissario fu respinta".
Procediamo per gradi. I rapporti di Kangxi con de Tournon non sarebbero forse precipitosamente peggiorati se questi si fosse astenuto dal coinvolgere nei colloqui Maigrot e il vicario non si fosse fatto vivo. Kangxi era stato a suo tempo messo al corrente e conservava buona memoria del Mandatum di Maigrot del 1693. Lasciamo parlare Kangxi per bocca di Spence: "Sulla questione dei riti cinesi che potevano essere officiati dai missionari occidentali, de Tournon non volle pronunciarsi [...], lo fece invece il vescovo cattolico Maigrot, che venne a Jehol per dirmi che il Cielo è una cosa materiale e non dovrebbe essere adorato, e che per mostrare l'appropriata venerazione si doveva invocare soltanto il nome 'Signore del Cielo'. Maigrot non solo ignorava la letteratura cinese, ma non sapeva neppure riconoscere i caratteri cinesi più semplici; eppure volle disquisire della falsità del sistema morale cinese. […] Maigrot con la sua conoscenza superficiale contestò ciò che è sacro per i Cinesi. Parlò per giorni e giorni, con la sua ragione perversa, la sua malcelata collera, e quando non riuscì a spuntarla fuggì dal paese, un peccatore nei riguardi della dottrina cattolica e un ribelle per la Cina".
In verità, non sembra proprio che Maigrot fuggisse dalla Cina. Con le buone memorie inedite dei contemporanei che Gaetano De Vincentiis diligentemente raccoglieva e dava in lettura fin dal 1904 scriveva documenti alla mano: "L'imperatore fu costretto a mostrarsi rigoroso col Maigrot, diventato presto la sua 'bestia nera', sbandendolo dalla Cina e dichiarandolo con due duplici editti 'ignorante, sedizioso, perturbatore'…". In quanto a de Tournon decretava il 2 agosto 1706 che "fosse scortato sino a Canton e poscia confinato nel territorio portoghese di Macao. E nondimeno, avuta la notizia della morte di lui, tacque pensoso…".
Maigrot fu espulso dall'impero Qing su decreto di Kangxi il 17 dicembre 1706 e lasciava Macao su una nave inglese l'8 marzo 1707 per rientrare l'anno dopo in Europa. Su invito di Clemente XI raggiungeva Roma ove si tratteneva fino alla morte continuando a martellare sull'incudine della Controversia dei Riti.
De Tournon ripiegava a Macao sotto scorta via Nanchino, non risparmiandosi di promulgare il 7 febbraio 1707 durante una sosta del viaggio il cosiddetto Editto di Nanchino comprensivo delle condanne dei nomi cinesi e dei riti decretati a Roma col Cum Deus optimus del 1704 che gli era frattanto arrivato.
Consegnato a Canton alle autorità portoghesi, era trattenuto a Macao in stato di arresti domiciliari; moriva l'8 giugno 1710, dopo aver ricevuto la legazione che gli portava dalla Santa Sede la berretta cardinalizia. L'ultimo atto di generosità di Kangxi alla sua memoria era di accogliere alcuni membri della missione appena arrivata che erano stati destinati alla sua corte e fra i quali non mancavano i nuovi fiduciari della Santa Sede e Propaganda Fide: erano assenti membri delle Missioni Estere di Parigi; due italiani erano Pedrini e Ripa.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
19 SETTEMBRE 2016
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