di Adolfo Tamburello*
Napoli, 01 set. - Viene da chiedersi se Hongwu, fondatore nel 1368 della dinastia Ming, contasse trasmettere in eredità il suo stato come un impero feudale. Un dato di fatto è che mentre delegava di soli compiti esecutivi una folta burocrazia centrale e periferica, divideva l’immenso territorio in “principati” o “reami” tra figli e nipoti, mentre a erede del titolo imperiale designava il primogenito Zhu Biao e, alla morte di questi, nel 1391, il figlio di lui Zhu Yunwen (Huidi) che accedeva al trono nel 1399 dando al suo regno il nome di Jianwen (1399-1402): un impero, dunque, concepito in feudi retti da “re” sotto l’autorità di un huangdi secondo una classica nozione cinese della sovranità.
Negli anni immediatamente successivi l’assetto politico-istituzionale era però scompaginato dallo stesso Jianwen sotto la rimonta da un lato della burocrazia civile e militare, dall’altro degli eunuchi delle varie corti che istigavano una lotta senza quartiere fra imperatore e principi e fra costoro e il sovrano, finché Zhudi (1360-1424), forse quartogenito di Hongwu, detentore del principato settentrionale di Yan intorno a Pechino (al tempo Beiping), guidava le proprie armate su Nanchino e si impadroniva della capitale, proclamandosi nel 1403 imperatore col titolo di regno di Yongle (“Eterno Tripudio”).
Spogliati anche da lui principi ed eredi di ogni potere e misteriosamente sparito dalla scena Jianwen, Yongle consolidava il proprio trono sterminando l’intero parentado del nipote con tutti gli alti burocrati e capi militari che gli si erano messi al seguito: al momento un monito ma in seguito una prassi di ferocia che proseguiva durante tutto il regno con l’eliminazione fisica degli avversari anche solo potenziali o temuti o di chi comunque lo contrariasse. L’onta che forse più pesò su di lui fu la condanna a morte dello storico confuciano Fang Xiaoru (1357-1402), tutore e fedele consigliere di Jianwen, la cui esecuzione fu accompagnata dallo sterminio della sua intera stirpe per un totale di 873 vittime.
Idolatrato da vasti strati del popolo cui il governo era benevolo, Yongle inaugurò un severo dispotismo oligarchico assistito da giovani burocrati e file di eunuchi a lui votati, non più i fedeli servitori ignoranti di Hongwu, ma elementi predisposti alla guida dello stato, formati da speciali scuole da lui volute con personale prelevato dalla stessa Accademia Hanlin. Ignoriamo se la sua predilezione per gli eunuchi nascesse dal dovere la vita a uno di loro, un certo Ma Hu. Non era ancora sul trono che scampava grazie a lui a un attentato orditogli dal nipote Huidi, intento a sbarazzarsi di tutti i principi o re suoi consanguinei. Ma Hu e sarebbe passato alla storia come il grande Zhenghe, col quale Yongle, dopo avergli elargito cariche e prebende militari, avrebbe diviso l’onore di portare al culmine la talassocrazia cinese. Ma non anticipiamo troppo.
Yongle, aspirante e poi detentore di forti poteri, già ben noto per le sue qualità militari e le battaglie vincenti condotte contro i Mongoli dagli anni 80, doveva rivelarsi un grande sovrano con ambizioni di fare della Cina un impero veramente universale quale non era riuscito neppure ai Mongoli Yuan. Uomo d’armi, ma anche fine politico e accorto diplomatico, se iniziava il suo regno con un’usurpazione, passava alla storia come il secondo fondatore dell’impero Ming, l’artefice di una nuova Cina dilatata nei suoi confini nazionali a un settentrione per la prima volta stabilmente inglobato.
Fino ad allora nessun sovrano cinese aveva concepito di portare una propria capitale a nord fino a Pechino: lo faceva via via Yongle dai primi anni al 1421, quando la città, ridenominata Beijing (la “capitale del Nord”), interamente ricostruita con la sua maestosa “Città proibita”, cominciava a diventare la sede definitiva dell’amministrazione imperiale, mentre Nanchino era declassata a seconda capitale.
Uomo del Nord, formatosi in una marca ancora di frontiera e cresciuto nel mondo cosmopolitico settentrionale d’eredità Yuan, Yongle rimaneva fermo nel proposito di fare di esso il nuovo centro d’irradiazione dell’identità cinese con una riestesa Grande Muraglia e il Grande Canale allungato e allargato. Ancora dibattuto rimane il giudizio storico sulla positività della scelta: una capitale dai costi enormi per il vettovagliamento da Est e dal Sud mediante trasporti terrestri e navali; riattivazione e manutenzione continua di vie interne e d’acqua; massiccio popolamento attraverso un’emigrazione forzata dal centro e dal Sud con in più il trasferimento di una folta classe burocratica e imprenditoriale. Infine, permanente difesa militare di una zona geograficamente e storicamente esposta a irruzioni e invasioni di etnie anche solo migranti.
Condizione prima, dunque, il mantenimento di una forza militare che Yongle ricostituiva dopo le recenti e sanguinose lotte che l’avevano portato sul trono e le spedizioni che continuava a guidare personalmente contro i Mongoli: fra costoro i Tatari vinti sull’Onon nel 1410 e gli Oirat debellati nel Kerulen nel 1414: non vittorie decisive e tali da richiedere delicati equilibri e successive spedizioni fino ai primi anni Venti e nelle quali lo stesso Yongle vi lasciava la vita nel 1424.
Al Nord-Est i confini dell’impero erano portati al bacino inferiore dell’Amur e del Sungari, dove il comando di Nurgan non rappresentava al momento un’annessione della regione mancese quanto un’occhio vigile sui Jurchen, un gran numero dei quali si riarmavano entrando nei corpi militari della Corea sotto la nuova dinastia Yi (1392-1910).
Nel Sud, infine, i disegni di Yongle erano coronati dalla riannessione all’impero di gran parte della penisola indocinese come era stato ai tempi degli Han e dei Tang.
Offen¬sive al Vietnam con un eser¬cito di due¬centomila uomini fruttavano nel 1406 la sottomissione del Dai Viet e la fine del locale regno dei Tran: era il nuovo Annan (“Sud pacificato”, vietn. Annam), per tenere il quale nel 1409 erano coscritti 47 mila uomini. Non era neanche questa un’annessione durevole: già l’anno dopo la morte di Yongle, nel 1425, la resistenza viet¬namita si rafforzava e le truppe cinesi subivano una disfatta che le co¬stringeva a evacuare. Le Loi, l’e¬roe della resistenza vietnamita, fondava nel 1427 la nuova dinastia dei Le.
Non tutta l’impostazione del governo di Yongle era su basi militari e azioni di guerra. La diplomazia lo assisteva coi servizi di alti funzionari ben dotati linguisticamente, e fra di loro naturalmente molti eunuchi, i quali raggiungevano sedi lontane e stringevano accordi di tregue, di pace e di commercio. Soprattutto quest’ultimo sosteneva l’economia bellica dell’epoca col rifornimento di cavalli e truppe dal mondo nomade, di derrate e metalli da stati anche insulari. L’armamento navale frattanto ricostituito riimmetteva la Cina in vaste relazioni ed era di remora a un nuovo dilagare della pirateria.
Dotato di spirito energico e pratico anche nell’amministrazione interna dello stato, Yongle disponeva l’innesco dei cespiti economici derivanti dal suolo a un regime di alte produttività alimentari e industriali per l’interno e l’estero sostenute da manifatture imperiali o ditte su appalti, con monopoli su miniere, sale e tè e traffici sotto controllo statale.
L’enorme burocrazia centrale e periferica che richiedeva la macchina governativa era in parte reclutata per esami, e il suo accesso facilitato da una semplificazione delle prove concorsuali su programmi resi noti e prepara bili attraverso una manualistica in distribuzione a stampa. I canonici testi classici erano pubblicati nelle loro edizioni definitive nel 1417, mentre fin dal 1407 circolavano le prime copie manoscritte del monumentale enciclopedico Yongle Dadian che raccoglieva oltre 10 mila titoli di opere antiche e moderne.
Campione della civiltà cinese in tutta la sua classicità, Yongle fu sostenitore sia del confucianesimo che del taoismo e in religione del buddhismo cui lo legava una sentita fede personale. Tenne un lama tibetano alla sua corte e appoggiò il lamaismo nel Tibet, contribuendo a consolidarvi una monarchia ecclesiastica sotto la propria alta sovranità. Al contrario, condusse una spinta demongolizzazione della Cina del Nord, radiandone perfino lingua e onomastica. Cinese più di un cinese, si vuole che la madre biologica fosse una donna mongola o coreana divenuta concubina di Hongwu quando già incinta di un mongolo, addirittura di Togham Temur (Shundi), l’ultimo sovrano Yuan (r. 1333-1367). Ma della vita di Yongle c’è molto ancora di distinguere fra il leggendario e lo storico.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
01 settembre 2015
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