di Adolfo Tamburello*
Napoli, 28 lug.- L’impero Ming (1368-1644) costituiva uno stato esteso almeno formalmente ben oltre la Cina. Erede dell’imperialismo Yuan, la dinastia rivendicò fin dall’inizio le più alte sovranità, inviando ambascerie a vasto raggio per terra e per mare e riallacciando scambi sulla base dei rapporti tributari che veniva imponendo.
Dal 1407 operava un ufficio di interpretariato per le relazioni con l’estero ed erano pubblicati dizionari e lessici in varie lingue asiatiche.
Fra il 1407 e il 1418, l’imperatore Yongle (r. 1403-1424) inviava all’impero dei Timuridi l’ambasciatore Li Da. Nel 1405 era morto Timur, conosciuto in Occidente come Tamerlano, presunto discendente di Gengis Khan, proclamatosi restauratore dell’impero mongolo e vendicatore degli Yuan. La morte lo coglieva mentre predisponeva le forze per una campagna contro la Cina. Negli anni seguenti, se i Ming non avevano nulla a soffrire dai Timuridi e successivamente dall’impero ottomano che assorbiva costoro, le superstiti formazioni mongole dei Tatari e degli Oirati, dislocate ai confini della Cina, li costringevano a ripetuti interventi armati. Contro i Tatari, che stavano facendo causa comune coi Jurchen del vecchio impero Jin, già Yongle si spingeva in Manciuria fino alla foce dell’Amur e nel 1404 stabiliva un governatorato a Nurgan; contro gli Oirati guidava cinque spedizioni e ne riportava nel 1410 una gloriosa vittoria sul fiume Onon in piena Mongolia. I fronti rimanevano tuttavia aperti, e ancora nel 1422 era condotta una campagna contro i Tatari; dal 1439 contro gli Oirati, finché i Ming subivano nel 1449 la sconfitta di Tumubao in cui lo stesso imperatore Yinzhong era catturato. Dopo un periodo di relativa tregua, nuovi attacchi di tribù mongole si rinnovavano dal 1495, finché persino Pechino era assediata nel 1550. Solo dopo il 1568 una vittoria sospendeva le ostilità, tanto che dal 1570 erano ristabiliti i mercati di frontiera e nel 1571 era sottoscritto un trattato di pace. Intanto, riprendevano forza le tribù Jurchen della Manciuria che attaccavano ripetutamente il Liaoning fra il 1545 e il 1574, e solo l’invio di un generale di origini coreane, Li Chengliang (1526-1618), li fermava al momento da ulteriori irruzioni.
Al Sud, i Ming estendevano le offensive al Vietnam. Con un esercito di duecentomila uomini occupavano nel 1406 il Dai Viet, ponendo fine al regno dei Tran: era il nuovo Annan (“Sud pacificato”, vietn. Annam), per tenere il quale nel 1409 coscrivevano 47 mila uomini. Dal 1425, si rafforzava la resistenza viet¬namita e le truppe cinesi subivano una disfatta che le co¬stringeva a evacuare. Le Loi, l’eroe della resistenza, fondava nel 1427 la nuova dinastia dei Le. Tra il 1468 e il 1478 era la Cina meridionale a subìre incursioni vietnamite. Intanto, nel 1471 i Vietnamiti occupavano Vijaya, capitale del Champa e ne conquistavano il regno nel 1481. Il re in fuga si rifugiava a Pechino e nel 1487 era ricondotto in patria da un corpo di spedizione cinese che gli restituiva il trono. Dopo un’ulteriore incursione vietnamita nel 1489, nel 1536 un’ambasceria vietna-mita denunciava alla corte Ming il colpo di stato operato dai Mac e la loro intervenuta usurpazione dopo la presa del potere nel 1527. Nelle province sud-occidentali della Cina era allestita una spedi-zione in soccorso della dinastia legittima, ma nel 1541 i Ming finivano col riconoscere i Mac sul trono vietnamita.
Nel Nord del Laos, dal 1403, i Ming appoggiavano l’istituzione di capi locali che facevano atto di vassallaggio. L’assetto del paese era ancora tribale. Il Tibet, rimasto formalmente sotto sovranità cinese, era affidato a una monarchia di lama.
A loro volta, nel Siam, i Ming intervenivano a contenimento delle rivendicazioni del regno thai sulla penisola malese dopo che esso aveva stabilito la sua alta sovranità su Malacca. Questa città era stata fondata, agli inizi del XV secolo, da un principe indonesiano, Parameshvara, il quale, avuta ragione della locale pirateria, costringeva le navi di passaggio per lo stretto allo scalo e al pagamento di dazi e noli. Il territorio ritagliato intorno alla città costituiva un regno che, se il riconoscimento dei Ming proteggeva dal Siam, la conversione all’Islam gli guadagnava l’appoggio dell’India musulmana. I Ming lo annoveravano come tributario e se ne servivano da emporio di rifornimento di merci indiane e più in generale asiatiche, con la mediazione degli stessi mercanti cinesi che vi risiedevano e smistavano a loro volta proprie merci.
Per i traffici marittimi i Ming (1368-1644) aprivano le dogane dei porti fin dal 1372. Dal 1374 mettevano in opera fortificazioni delle coste a difesa dalla pirateria; nel 1383 arruolavano diecimila pescatori di perle delle coste del Guangdong per una nuova flotta navale. Alcuni cantieri assorbivano la manodopera di tremila operai per l’allestimento annuo di 500 giunche d’alto cabotaggio, e Yongle aumentava la flotta di tremila grandi giunche per il solo traffico costiero. Fra il 1405 ed il 1433, l’allestimento di una grande squadra navale fruttava prestigiose spedizioni nel Sud-Est Asiatico, Golfo Persico, Mar Rosso e lungo le coste orientali dell’Africa, con deviazioni fino alla Mecca. Un armamento di 27 mila uomini su duecento navi a dodici vele, dagli scafi lunghi 150 metri e timoni di oltre 11 metri segnava il primato mondiale della marineria cinese, della sua tecnologia e persino del suo coefficiente bellico. Le spedizioni erano guidate dall’eunuco musulmano Zheng He (1371-1434).
A Est, nei confronti della Corea i rapporti si presentavano difficili nell’eredità Yuan. Il crollo della potenza mongola aveva immediate e dirette ripercussioni. Intorno alla metà del secolo XIV la dinastia Yuan si era rivolta ai Koryo per l’invio di truppe in Cina contro i Turbanti Rossi, ma costoro avevano duramente battuto i Coreani e nel 1359 e 1361 loro bande avevano compiuto irruzioni e saccheggi nella penisola.
Dopo l’ascesa dei Ming, si consolidava in Corea un movimento anti-Yuan dopo che il re Kongmin accettava nel 1370 l’alta sovranità di Hongwu, ma le forze mongole superstiti a Nord della Grande Muraglia erano ancora troppo potenti perché i Koryo potessero ignorarle o volgere loro le spalle. La dinastia coreana e l’entourage di corte erano intimamente legati ai Mongoli anche da vincoli di parentela, sicché negli anni seguenti prevaleva la fazione fedele agli Yuan, la quale impegnava addirittura una spedizione contro i Ming. Il generale Yi Songgye, posto a capo di un’armata di 50 mila uomini che doveva portarsi nel Liaodong, raggiungeva lo Yalu, ma prevenendo una facile disfatta, tornava con le proprie truppe alla capitale e aveva ragione della fazione filo-Yuan, deponendo il re U e mettendone sul trono il figlio nel 1388.
La penisola si trascinava una paurosa crisi economica per l’estensione dei latifondi improduttivi, gli aiuti militari ai Mongoli, le uscite di una corte assoggettata a tributi ed esborsi per i monasteri. Le incursioni e i saccheggi dei pirati giapponesi avevano altresì provocato l’evacuazione delle zone costiere, lo spopolamento delle campagne dell’immediato retroterra, l’interruzione dei traffici marittimi che erano stati una voce importante dell’economia della penisola.
Impadronitosi di fatto del governo, Yi Songgye, esautorava la dinastia e la corte e, sulle linee di Hongwu dei Ming, confiscava i beni e le proprietà terriere della nobiltà, varava una riforma fondiaria ridistribuendo le terre, non più in usufrutto, ma in possesso perpetuo e inalienabile, soggetto a tassazione e sancendo l’inamovibilità dei contadini dalla terra. La riforma, nota come kwajon, o dei “campi classificati”, procedeva parallelamente con la riorganizzazione amministrativa del paese.
Nel 1392 Yi Songgye deponeva la dinastia di Koryo e trasferiva la capitale a Hanyang (o Kyongsong, oggi Seul), regnando con il riconoscimento dei Ming col nome di T’aejo (1392-1399). Alla decaduta famiglia reale e agli alti funzionari e ufficiali assegnava i suoli della circoscrizione di Kyonggi, intorno alla nuova capitale, al fine di concentrare in un unico territorio il potere delle alte gerarchie e impedire la formazione di potentati nelle province che eludessero o indebolissero il potere centrale.
La dinastia Yi sarebbe rimasta sul trono fino al 1910 e con essa il paese riprendeva l’antico nome di Choson (cin. Chaoxian). Lo stato perseguiva rigorosi princìpi laici e i rapporti con la Cina Ming favorivano le fortune del neo-confucianesimo in una lotta aperta e decisa contro la chiesa buddhista.
A rapporti tributari coi Ming accedeva pure il Giappone con lo shogun Ashikaga Yoshimitsu che se ne poneva a capo per i rapporti con l’estero e accettava nel 1402 di subordinarsi ai Ming come “re” del Giappone. L’accordo tributario, stipulato nel 1404, prevedeva una missione ogni dieci anni, secondo un sistema di scambi su contromarche identificative delle flotte regolari. Dopo una sospensione dei rapporti, voluta nel 1411 dallo shogun Yoshimochi, una liberalizzazione dei traffici seguita alla missione del monaco buddhista Doen nel 1432, faceva partire dal Giappone nel 1454 ben dieci navi. I rapporti ufficiali con Pechino erano tuttavia destinati a interrompersi dal primo Cinquecento a causa delle riprese scorrerie dei pirati lungo le coste, i quali taglieggiavano anche i traffici di Taiwan e delle Liuqiu (giapp. Ryukyu), entrambe pure tributarie dei Ming.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
28 LUGLIO 2015
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