di Emma Lupano
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Pechino, 13 lug.- Devono possedere “maturità politica”, conoscere bene la “situazione nazionale”, non cedere mai alla tentazione del no comment e, dettaglio tutt’altro che trascurabile, devono sapere perfettamente come si stringe la mano a uno straniero. Le capacità necessarie per diventare un buon portavoce di governo (zhengfu fayanren) sono descritte da un’ampia manualistica presente ormai da anni nelle librerie cinesi, utile a formare quelle che sono ormai diventate figure cruciali nell’organigramma amministrativo del paese.
Sulla carta, i portavoce di governo sono nati per migliorare la comunicazione tra stato e cittadini, per aumentare la trasparenza delle istituzioni cinesi e per evitare la circolazione di informazioni errate, potenzialmente dannose per il pubblico. Nei fatti, invece, queste figure, apparse in Cina già dagli anni Ottanta, sono uno strumento chiave per la promozione del controllo sull’opinione pubblica.
Oggi praticamente tutti gli enti governativi cinesi, a ogni livello, contano al loro interno almeno una persona responsabile per la comunicazione ufficiale, da realizzarsi tramite conferenze stampa e altri canali, internet in primis. Secondo Tanina Zappone, assegnista di ricerca all’Università di Torino che ha studiato l’evoluzione storica di queste figure, è però solo dagli anni Novanta che si può cominciare a parlare di un vero e proprio sistema di portavoce di governo in Cina, cioè da quando, “dopo i fatti di Tian’anmen, la leadership si trova a dover riflettere sui temi della trasparenza e della comunicazione e sulla necessità di migliorare il proprio sistema di informazione”.
Secondo Zappone, che ha parlato dell’argomento nel corso del convegno “Media e politica: discorsi, culture e pratiche” organizzato dall’Università degli Studi di Milano il 27 e 28 maggio, un primo passo verso il miglioramento della comunicazione di governo si registra nel 1991, quando viene fondato l’Ufficio informazione del Consiglio di stato cinese. Ad esso spetta “il ruolo di coordinare tutte le notizie sulla Cina presso i media stranieri e nazionali” e, in questo ambito, anche quello di “coordinare il sistema dei portavoce di governo”. Un sistema che tocca inizialmente soprattutto i grandi organi dello stato, come i ministeri, con l’obiettivo dichiarato di migliorare l’immagine nazionale della Cina.
A questo stadio, rileva Zappone, “le conferenze stampa, nella maggior parte dei casi, si svolgevano come letture di testi preparati, al termine delle quali non era necessariamente previsto un momento per le domande. Il ricorso al no comment era frequente”. Sia la qualità della comunicazione che la sua credibilità erano quindi limitate, anche perché il flusso della comunicazione si svolgeva rigorosamente in una direzione.
Dal 2003 le cose cambiano: quello che la letteratura cinese considera ‘l’anno dei portavoce di governo’ è infatti segnato dalla crisi della SARS. La scarsissima informazione ufficiale sull’epidemia e il diffondersi di voci e notizie errate a danno dell’immagine internazionale della Cina e della sua sicurezza interna spingono la leadership ad avviare una fase di riforma del sistema dei portavoce di governo, con l’intento di standardizzarlo e renderlo più istituzionalizzato.
Ecco che nelle conferenze stampa “i tempi del messaggio iniziale vengono ridotti a non più di dieci minuti, diventa norma prevedere una fase dedicata alle domande dei giornalisti e anche i nuovi media vengono coinvolti nella comunicazione. Il modello – spiega Zappone - è però ancora quello di una comunicazione a senso unico, in cui il cittadino rimane un ricettore passivo che non partecipa all’elaborazione del messaggio”.
Bisogna aspettare il 2008, ed eventi di portata nazionale e internazionale come il terremoto del Sichuan e le Olimpiadi di Pechino, perché lo sviluppo del sistema viva una nuova accelerazione. L’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato diventa, nel caso del Sichuan, “la fonte principale e autorevole di informazione, con aggiornamenti ogni ora e mezza”. Mentre per le Olimpiadi il governo cinese “adotta strumenti di comunicazione pubblica per sfruttare l’occasione per promuovere l’identità culturale e i successi economici cinesi”, usando tecniche di marketing politico e arruolando perfino consulenti ed esperti stranieri.
Il 2008 è anche l’anno in cui “viene emanato il regolamento sulla pubblicità delle informazioni di governo, che definisce le conferenze stampa uno dei canali da utilizzare per una comunicazione più trasparente verso i cittadini, e che – sottolinea Zappone - fa riferimento alla figura dei cyber-portavoce”.
Si tratta di professionisti chiamati a lavorare esclusivamente su internet interagendo con i cittadini. Questi possono rivolgersi a loro per avanzare richieste di informazioni, esporre lamentele e reclami, esprimere valutazioni sul lavoro del governo locale. La novità, lanciata dalla provincia del Guangdong nel 2002 e seguita via via dagli altri enti, “inaugura modelli di comunicazione diversi tra governo e cittadini, non più a senso unico ma bidirezionale, in cui il cittadino è un attore partecipe della strutturazione del messaggio”.
Con i cyber-portavoce inizia un’era in cui sono gli stessi cittadini cinesi a poter prendere l’iniziativa nell’attivare la comunicazione di governo, segnando forse l’unico vero passo in avanti nel rapporto tra stato e popolazione in un sistema in cui, nonostante i proclami, la vera trasparenza di governo è resa impossibile dalle procedure di autorizzazione preventiva da parte del partito a cui è tuttora sottoposto ogni atto comunicativo delle strutture di governo cinesi.
“Nonostante la sua professionalizzazione e istituzionalizzazione, il sistema dei portavoce di governo continua ad avere scarsa autorevolezza”, vista la concezione dei media cinesi come strumenti per “mantenere la stabilità sociale e creare consenso intorno alle politiche di governo”.
Ecco perché, conclude Zappone, i cyber-portavoce rappresentano un elemento di vero interesse, perché, se non altro, “hanno contribuito a rendere più consapevole il cittadino cinese, stimolando la sua coscienza civica”
13 luglio 2015
Nella foto Hong Lei, portavoce del ministero degli Affari Esteri
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