di Adolfo Tamburello*
Napoli, 17 apr.- La storiografia tradizionale data la dinastia Yuan fra il 1279-1368, cioè dalla caduta dei Song meridionali alla proclamazione dell’impero Ming. In realtà, siccome i mongoli già conquistavano parti della Cina combattendo gli Xi Xia fra il 1209-1227 e i Jin fra il 1211-1234, il dominio mongolo sulla Cina aveva inizio fin dal primo Duecento.
A sua volta, Kubilai Khan (1215-1294) proclamava l’impero Yuan a Pechino nel 1271, ma per conto e su mandato del fratello Mongka, salito al trono dei Mongoli orientali nel 1251, era reggente fin da quella data dei territori cinesi al Sud del Gobi mentre guidava le conquiste delle regioni occidentali del Sichuan e dello Yunnan. Dal 1260, morto Mongka l’anno prima, aveva preso la successione dell’impero, trasferendone nel 1264 la capitale da Karakorum all’odierna Pechino, fatta ricostruire dal 1261 sulle rovine della Yanjing dei Jin.
Se non si può quindi stabilire una data precisa da quando i Mongoli regnarono sulla Cina, rimane il fatto che, alla caduta dei Song meridionali, non erano più i “Tartari infernali” delle prime orde apparse fino in Europa. Di più, nel decorso settantennio, avevano sottomesso il Tibet, il regno sud-occidentale di Dali e la Corea. Infine, dal 1261 si era dichiarato loro tributario il Dai Viet. Un ruolo era stato svolto pure dall’avveduta diplomazia Yuan.
Come consiglieri non mongoli molto ascoltati da Gengis Khan a Ogodai, da Mongka a Kubilai, passavano alla storia Yelu Chucai (1190-1244) e Liu Binzhong (1216-1274), il primo, di stirpe principesca kitan ed egregio letterato cinese legatosi con fedeltà ai Mongoli; il secondo, un cinese erudito dalla gioventù temprata al severo tirocinio di monaco chan. Al servizio di Kubilai pure musulmani come Abdur Raman e Mahmud Yalavac. Dotti islamici e cristiani nestoriani operavano in gran numero a incivilire i mongoli, e per la conquista finale della Cina graduata nel tempo la superiorità della potenza militare Yuan era molto cresciuta con gli apporti in risorse umane e tecnologie avanzate cinesi devoluti nel frattempo dai sudditi sottomessi, fossero Han, Kitan, Jurchen o Tanguti.
Ingegneri musulmani allestivano e manovravano le bocche da fuoco per l’assedio di Xianyang che cadeva nel 1273 dopo cinque anni d’assedio e di eroica resistenza Song: era il preludio della successiva presa della capitale Hangzhou nel 1276. L’imperatrice madre era sì deportata con l’imperatore minore a Pechino, ma con tutti gli onori del suo rango e senza né prigionieri o schiavi al seguito. Nell’occasione la mitezza degli Yuan, che tra l’altro faceva salvi dei loro averi burocrazia e grandi possidenti cinesi, unita alla disciplina e al rispetto dei militari mongoli per la popolazione, procurarono simpatie che tacitavano a lungo le opposizioni, lasciando nella cenere i focolai d’insurrezione del lealismo Song.
La dinastia consumava però rapidamente le sue fortune e già gli ultimi anni di Kubilai addensavano le prime nubi con le grandi e per lo più vane spedizioni militari nel Sud Est Asiatico che si prolungavano oltre la sua morte fino al 1300 e certo non ripagavano i costi in vite umane e beni.
Dopo Kubilai, anche il governo centrale perdeva di polso, mentre i governatori mongoli delle province trasformavano queste in satrapie indipendenti al comando di truppe che godevano più di pensioni che di soldo. Il dissesto dell’erario non tardava a dare segni allarmanti, e persino i commerci e gli scambi con l’estero soffrivano di passività a onta dell’argento e dell’oro incamerati e dei veti ripetutamente emessi a esportarli. Le attività finanziarie di vario tipo inasprivano i processi inflattivi con l’emissione incontrollata di cartamoneta.
C’è forse da sfatare che fosse l’alta quota delle praterie riservate a pascolo dai nuovi dominatori il fattore che più contribuiva a mettere in ginocchio l’economia a cominciare dall’agricoltura rimasta voce primaria delle entrate. L’intero mondo rurale, compreso quello del grande latifondo, dopo le perdite già gravi degli anni della conquista, risentiva dello spopolamento delle masse reclutate per gli eserciti e le corvè. Queste ultime salivano a quote inimmaginabili già sotto Kubilai per le inondazioni e gli straripamenti del Fiume Giallo con le sue deviazioni di corso che si ripetevano fra il 1289-1344. Fra il 1291-93 era costruito il grande canale Tonghui mirato ai rifornimenti della capitale dal mare. Altri lavori prelevavano manodopera per interventi e impianti colossali che, d’altra parte, non prevenivano le calamità. Dal 1303 disastrosi terremoti portavano a milioni le vittime; nel 1319 scoppiava l’incendio di Yangzhou; dal 1342 le carestie si estendevano a parecchie regioni aggravate da nuove inondazioni; nel 1352-53 una grave epidemia colpiva Datong e nel 1354 ne era soggetta la stessa Pechino ridotta anch’essa alla fame.
Un quadro ben diverso della Cina rispetto a quello fantasmagorico lasciatoci dai visitatori occidentali del coevo Catai.
Si aggiungevano lungo le coste e immediati entroterra i saccheggi e le razzie della pirateria cinese e giapponese, con quest’ultima che aveva una recrudescenza fra il 1351-58, mentre fra il 1352-1354 si alternavano gli attacchi del pirata Fang Guozhen e scoppiava una grande carestia a Quanzhou.
I successori di Kubilai modificavano istituzioni e prassi e allargavano gli affari civili e militari a funzionari cinesi elevati ad alti ranghi, a formazioni di flotte affidate a cinesi e fanterie di cinesi, ripristino del sistema degli esami (dal 1313), ristabilimento del culto di stato confuciano, ma il reinserimento dell’elemento cinese nell’amministrazione rimaneva poco efficace o comunque non determinante ai fini di un miglioramento delle situazioni economiche regionali. Allargate, piuttosto che diminuite, le estensioni e le immunità dei latifondi ora a favore anche di cinesi, la pressione fiscale si faceva sempre più dura sul contadinato, con la conseguenza di un ulteriore abbandono delle terre e l’aumento dei suoli lasciati incolti.
Maturavano insomma tutte le condizioni per sommosse popolari e moti insurrezionali, dalle prime del 1326 presso popolazioni non-Han del Sud-Ovest della Cina, quindi dal 1337 nella Cina centrale come movimenti anti-Yuan, e tra il 1342-47 come sollevazioni di masse rurali.
Il clima di agitazioni contro il regime dilagava dal 1351; Han Liner, capo del movimento dei Turbanti Rossi, sottraeva gran parte della Cina al controllo degli Yuan, mentre la corte era dilaniata da congiure di palazzo e lotte intestine fra la nobiltà mongola.
Han Liner si proclamava, nel 1355, imperatore di una dinastia di restaurazione Song, ma l’eredità dell’impero passava a Zhu Yuanzhang, capo degli insorti del Loto Bianco che univa le proprie truppe alle schiere dei Turbanti Rossi e, dopo la presa di Yangzhou, occupava Nanchino nel 1359. Nel 1364 si proclamava re di Wu; nel 1368, sempre a Nanchino, fondava la nuova dinastia Ming (“Luce”), proclamandosene imperatore col titolo di Taizu (“grande progenitore”). Espugnata Pechino nello stesso anno, le forze Ming incalzavano gli Yuan fino in Mongolia decimando o disperdendo i loro contingenti, mongoli e non, tranne i corpi i cui comandanti disertavano e passavano alla nuova armata imperiale. La Cina era riunificata sotto lo scettro dei Ming dal 1387.
17 aprile 2015
Nella foto un ritratto di Kubilai Khan risalente alla dinastia Yuan
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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