di Adolfo Tamburello*
Napoli, 15 gen. -. Con la caduta dei Tang nel 907 la storiografia cinese registrava fino al 960 la divisione dell’impero centrale, il Zongguo, nelle “Cinque dinastie” e i “Dieci Regni” (wudai shiguo). In realtà gli Stati in cui la Cina si frantumava erano molti di più. Riconosciuto erede dello stato imperiale era ora il Nord con la regione del Fiume Giallo e la capitale Kaifeng. La prima dinastia era quella dei Liang (907-923), fondata appunto nel 907 da Zhu Wen, alias Zhu Quanzhong (852-912), il vecchio compagno disertore del ribelle Huang Zhao passato al comando militare dei Tang.
Si trattava di uno stato effimero che assumeva un potere circoscritto territorialmente con rivendicazioni imperiali più nominali che di sostanza. Da un lato, il turco shatuo Li Keyong conservava la propria autonomia territoriale nello Shanxi rifiutando di passare agli ordini dei Liang; dall’altro Zhu Wen combatteva vanamente i Kitan (cin. Qidan) e nel 923 finiva assassinato dal proprio figlio, mentre il figlio di Li Keyong riusciva a sopraffare i Liang e faceva rivivere, in quanto erede dei Li, un’ancor più effimera dinastia dei Tang (923-936).
Nel 936, il generale shatuo Shi Jingtang, genero dell’imperatore Tang, fondava con l’aiuto dei Kidan lo stato di Jin (936-946), che rimaneva però tributario dei Liao e veniva incorporato un decennio dopo da costoro, quando Jin si esimeva di osservare il tributo pattuito e subiva una disfatta.
A sua volta la dinastia Liao, che aveva le sue origini nella confederazione di tribù mongole e tunguse dei Kitan, trovava la guida e l’edificatore della propria potenza in Abaki (cin. Abaoji, 872-926). Intorno al 900, Abaoji aveva costituito fra la Manciuria e la Mongolia uno stato in via di parziale sinizzazione. Il gruppo gentilizio degli Yelu cui apparteneva era stato per secoli insediato nel Jehol, a Nord dell’attuale Pechino, tributario dei Tang. Recentemente incorporava i Cinesi stanziati sulle pianure del Liaoho, da cui l’eponimo della successiva dinastia Liao. Nel 907, Abaoji assumeva veste imperiale col titolo cinese di tianhuangdi (“Augusto signore celeste”) e imponeva la propria egemonia su vaste zone in territorio cinese. Dalla Mongolia disperdeva nel 920 i Kirghisi verso il Nord-Ovest; nel Liaodong, in Manciuria e alta Corea abbatteva nel 926 il regno di Parhae (cin. Bohai). Il successore Tezong (927-947) estendeva i domini all’interno della Cina, sopraffacendo gli eserciti cinesi fino a Kaifeng e nel 937 stabiliva la capitale a Yenjing (Pechino), attribuendo allora allo stato dinastico il nome di Liao. Dal 947 il governo era articolato in un’amministrazione distinta per i Kitan e per i Cinesi, ma nello stesso anno un generale turco recuperava i territori cinesi passati ai Liao e fondava una dinastia Han, cui ne succedeva quattro anni dopo un’altra chiamata ancora Zhou (951-960).
Tutte le citate dinastie ricevevano successivamente il nome di “Posteriori” (hou) per distinguerle dalle precedenti e più illustri casate regnanti. La dinastia Zhou riprendeva ad emanare limitazioni alla chiesa buddhista e requisizioni degli oggetti liturgici in metallo per rifonderli come monete. Nel 955, di 33 mila istituzioni religiose ne rimanevano ufficialmente in vita 2700.
Intanto, la Cina centrale e meridionale, mentre i Tang erano ancora sul trono, si era divisa in vari regni indipendenti: quelli di Wu (902-937), Shu (901-925) e Wu-Yue (902-978). Dopo la caduta dei Tang, seguivano gli stati di Min (909-946), Nan Han (909-971), Nan Bing (925-963), Chu (907-951, Hou Shu (933-965), Nan Tang (937-975). Erano questi i “Dieci Regni”, una volya inclusovi lo stato di Bei Han o Dong Han (Han Settentrionali o Orientali, 951-979), che nasceva a Nord, nello Shaanxi. I regni più stabili, come era il caso di Wu-Yue, erano quelli che, ignorando mire imperiali e accettando all’occor¬renza l’alta sovranità delle dinastie settentrionali, salvavano l’autonomia interna e godevano di una certa floridità, almeno rispetto al Nord, che continuava a essere teatro di lotte e devastazioni e alimentava un massiccio esodo di popolazioni che abbandonavano le campagne mettendosi in marcia verso il Sud.
La colonizzazione di nuove terre meridionali con grandi canali, dighe e capillari forniture idriche assorbiva l’immigrazione ed estendeva soprattutto le piantagioni del tè. Questo si diffondeva al momento come bevanda e trovava un mercato in progressiva crescita sia in Cina sia all’estero. Ingenti profitti assicurava collateralmente la fabbricazione dei servizi in ceramica, che davano nuove applicazioni a questo artigianato, per cui si moltiplicavano le fornaci, specializzate in cotture di smalti a gran fuoco, applicati anche a terrecotte e ceramiche industriali.
Le “Cinque Dinastie” e i “Dieci Regni” lasciavano in eredità alla Cina un intenso urbanesimo fra le capitali trasformate in tali da antichi centri provinciali e le città di nuova fondazione. Intorno al 1100 concentrazioni urbane come Kaifeng e Hangzhou superavano il milione di abitanti.
Nuovi combustibili specie nelle città entravano in uso col petrolio, il gas naturale, il carbon fossile. Quest’ultimo trovava applicazione nella lavo¬razione di acciai duri per armi e utensili. L’idrometallurgia metteva a punto la tecnica della precipitazione del rame dai suoi sali per mezzo del ferro. Era un’inno¬va¬zio¬ne tecnica che l’Europa conosceva secoli dopo, ignoriamo se come invenzione indipendente. Del pari erano perfezionate le tecniche per la produzione industriale dell’ottone con lo zinco in lega col rame.
Le maggiori estrazioni di metalli grazie all’aumentato impiego di esplosivi in miniera accresceva la produzione metallurgica, con fonderie e altiforni di cui Nanchino si faceva per prima un gran nome.
La polvere pirica era fabbricata almeno dalla fine dell’epoca Tang dopo esperimenti secolari e continuativi. Dal secolo III, primi alchimisti avevano ottenuto miscele esplosive di zolfo e salpetro, conosciuto questo dal I secolo a.C. Dal secolo VII erano menzionati i fuochi d’artificio, mentre tra i secoli X-XI la polvere entrava nell’uso militare col nome di feihuo, “fuoco volante” e “polvere da fuoco” (huoyao). Le qualità incendiarie e fumogene erano utilizzate per frecce e razzi; quelle esplosive per primitive bombe. Seguivano le canne di bambù prodrome di moschetti o archibugi.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
@Riproduzione riservata