di Adolfo Tamburello*
Napoli, 5 mag. - Nel 221 a.C. quando Ying Zheng, sovrano dello stato di Qin dal 246 unificava quella che era allora la Cina e assumeva la dignità imperiale col titolo di Qin Shi Huangdi, “Primo Augusto Signore di Qin”, contava 38-39 anni, essendo nato nel 260 o 259. Regnava sullo stato di Qin non ancora impero da quando aveva 13 o 14 anni e si tramanda che appena salito al trono adolescente fosse stata una delle sue premure cominciare a far edificare il proprio mausoleo. Non meraviglia dall’uomo che cresceva che pensasse alla grande fin da bambino anche per la sua tomba, meraviglia che ci pensasse quand’era convinto d’essere immortale o, più in là negli anni, di diventarlo con giornaliere dosi di cinabro - diciamo più semplicemente mercurio - che lo avrebbero, al contrario, portato alla tomba cinquantenne nel 210 a.C. Che morisse avvelenato dal mercurio ingerito non è neppure certo, benché sussista qualche dubbio che gli ultimi medici gli somministrassero mercurio in buona fede o non.
Il sovrano usciva illeso da vari attentati, e questo potrebbe spiegare l’ordine che la sua tomba fosse inondata di mercurio a mo’ di fiumi e mare e munita di balestre e archi pronti a tirare contro i più tenaci violatori di tombe. Anche per questo sembra che il suo sarcofago sia rimasto intoccato, “sembra” perché esso non è stato ancora raggiunto e ispezionato, solo rilevato magneticamente. Il mercurio che pare inquini le profondità del tumulo è una delle tante precauzioni da prendere nel caso si continui a scavare, ma non è neanche la prima a preoccupare.
La vera apprensione degli archeologi è quella di non commettere altri danni oltre quelli involontariamente fatti nei primi scavi durati quarant’anni: uno, la perdita dei colori delle statue di terracotta dissepolte ed esposte. Non si era pensato che l’aria potesse farle questo effetto.
Ciò che più preoccupa oggi gli archeologi non è arrivare al sarcofago, è come arrivarci salvaguardando quello che si trova sopra e ai lati del cenotafio per una profondità di circa 37 metri. Oggi non si scava più come un secolo fa o poco meno per fare incetta di tesori; l’archeologia è divenuta una cosa seria con la consegna di passare correttamente alle generazioni presenti e future quello che può reperirsi del passato. La tomba di Qin Shi Huangdi si prospetta sotto questo aspetto un’impresa al di sopra delle odierne facoltà, sicché sono molti a consigliare di rimandare il tutto a una più avanzata tecnologia del domani. Sì, perché non si tratta soltanto di una tomba, ma di una vera e propria necropoli, di cui fra l’altro non si contano al momento neppure i morti che vi sono stati sepolti. Ricordiamo che Sima Qian (146-86 a.C.) scriveva in proposito nel suo Shiji (“Memorie storiche” o “di uno storico”): Il Secondo Imperatore disse “sarebbe disdicevole che le concubine senza figli del Primo Imperatore [suo padre] siano lasciate libere”. Decretò che lo accompagnassero, e in gran numero morirono. Al termine della deposizione fu fatto presente che gli artigiani che avevano costruito gli espedienti meccanici ed erano a conoscenza dei tesori della tomba potevano divulgarne il segreto, sicché, una volta concluso il cerimoniale e riposti i tesori, furono sbarrate le porte interne ed esterne, chiudendovi tutti gli operai e le maestranze. Nessuno poté uscire. Piante e alberi furono interrati sul tumulo per dargli l’aspetto di una collina.
Dovette essere un massacro. La superficie della “collina” con l’intero circondario della tomba, situata a Lintong, vicino Xi’an, nella provincia dello Shaanxi, è stata misurata in una sessantina di kmq. Sima Qian aveva pure scritto che dopo l’ascesa al trono imperiale, nel 221 a.C., Qin Shi Huangdi aveva fatto intensificare i lavori al mausoleo con “700 mila uomini inviati da ogni parte dell’impero”. Forse nel 208 a.C., quando si celebravano le esequie, le maestranze e gli operai al lavoro non erano più in quelle masse, ma certo dovevano essere rimasti in tanti. La tomba di Qin Shi Huangdi era dunque una necropoli con sale e palazzi e una vera “città di morti” con tutte le sue vittime. E non solo umane. È stata scoperta una fossa sacrificale in cui erano stati inumati cavalli, e pare sia stata individuata anche la tomba dei cosiddetti "fratelli assassinati", nella quale erano sepolti i fratelli e le sorelle del secondo imperatore Qin [Er Shi Huangdi] fatti da lui uccidere. Non era quindi solo la tomba di Qin Shi Huangdi.
Di ricerche preliminari della tomba era data notizia fin dai primi anni Sessanta del Novecento, ma solo dal 1974 uno scavo parziale cominciò a restituire generi delle arti del tempo fino ad allora del tutto ignorati: tessuti, pellami, oreficerie, oggetti di giada e d'osso, armi di bronzo e di ferro, carri, ceramiche. Spettacolare soprattutto una statuaria d'argilla di uomini e cavalli del genere di destinazione votiva dei mingqi ma ad altezza più che naturale: migliaia di guerrieri di alta statura in uniformi e armature, equipaggiati di vere armi, nello schieramento di un'intera armata composta di truppe appiedate, combattenti su carri, cavalieri, nonché figure di cortigiani, dame, intrattenitrici, in simbolica rappresentazione di un’immane parata al cospetto dell’imperatore e del suo seguito.
Intanto, a Xianyang e dintorni gli archeologi cercherebbero anche la tomba di 460 letterati sepolti vivi. Fu l’evento storico noto come il “rogo dei libri e seppellimento dei letterati” che scandì un momento della vita politica di Qin Shi Huangdi. Anche prima di lui e non solo nel suo regno, erano occorsi roghi di libri e condanne contro un mondo letterario giudicato eversivo. Si tramanda che Han Feizi (c. 280-233 a.C.) avesse affermato: "Nello Stato di un sovrano intelligente non vi sono libri, servono da insegnamento le leggi". Nel 213, Li Si, in qualità di consigliere imperiale di Qin Shi Huangdi, presentava un memoriale al trono che proponeva la distruzione di un gran numero di testi: … I Cinque Sovrani non si sono ripetuti, le Tre Dinastie non si sono modellate l’una sull’altra; ognuna ha avuto un proprio metodo di governo, non per distinguersi, ma per il mutare dei tempi. Ora, Vostra Maestà ha realizzato un’opera grandiosa che durerà diecimila generazioni, ma ciò non può essere compreso dai fatui letterati […]. I letterati trascurano il presente e studiano l’antico per denigrare l’oggi, seminano dubbi e disordini nel popolo […], tengono conciliaboli. […] Propongo che tutte le storie ufficiali, a eccezione di quella dei Qin, vengano bruciate. Tranne i letterati con cariche ufficiali, chi possiede il “Classico delle odi”, il “Classico dei documenti” e i “Dialoghi delle Cento Scuole” dovrà presentarsi alle autorità civili o militari per farli bruciare. Coloro che oseranno intrattenersi su tali libri saranno giustiziati in pubblico; coloro che si serviranno dell’antico per criticare il presente saranno condannati a morte assieme ai loro congiunti. I funzionari che si asterranno dal denunciare i contravventori saranno giudicati per lo stesso reato. Coloro che dal trentesimo giorno dall’emanazione dell’editto non avranno fatto bruciare i testi, saranno marchiati a fuoco e inviati ai lavori forzati. Non saranno proibiti i libri di medicina, farmaceutica, divinazione, agricoltura e botanica. Coloro che desidereranno studiare leggi e decreti, potranno prendere i funzionari a loro maestri.
Si ignora se un’ecatombe di uomini seguì all’editto; quello che si sa di certo è che ebbe inizio una distruzione di scritti che marchiava di vandalismo barbarico l’impero Qin, uno stato che pure aveva fino ad allora contribuito in maniera cospicua alla cultura cinese. Nei decenni precedenti il mercante e consigliere Lu Buwei (291-235 a.C.) si era circondato di letterati per redigere una grande opera enciclopedica a silloge della cultura dell’epoca. L’obiettivo era ora quello di affermare una cultura tecnocratica su una cultura umanistica, ma il fatto che i testi divinatori fossero proposti come veicoli di scienza esatta avrebbe affilato nei secoli le armi della più caustica ironia all’indirizzo del “Primo Imperatore”.
05 maggio 2014
@Riproduzione riservata