di Giovanna Di Vincenzo
Coordinatrice "Progetto Analisi della Migrazione degli Italiani in Cina"
Milano, 23 ott.- Quanti sono e cosa fanno gli italiani residenti in Cina? Secondo i dati Aire del gennaio 2013 la presenza italiana in Cina ha registrato un costante trend di crescita negli ultimi sette anni. Infatti, la popolazione italiana residente è più che triplicata rispetto al 2006 (+239%), passando da 1.989 a 6.746 iscritti nel 2013. Tuttavia, i dati Aire ci consentono di inquadrare numericamente solo gli iscritti ai registri dell'anagrafe all'estero, escludendo dalle statistiche una componente di connazionali che costituisce la cosiddetta "migrazione sommersa", ovvero quella parte di popolazione non iscritta all'anagrafe consolare all'estero o che risiede in Cina temporaneamente. Si può affermare con probabilità che il totale della collettività italiana è almeno il doppio di quello riportato dalle statistiche Aire.
Gli iscritti sono per lo più distribuiti nelle aree meridionali della Cina, prevalentemente tra Hong Kong, Guangdong e zone limitrofe (37% e 13%), la municipalità di Shanghai e le province circostanti (34%). Il restante 16% risiede invece a Pechino e nelle altre province. Gli iscritti tra i 35 e 44 anni costituiscono la componente maggioritaria (29%) assieme a quella degli individui fino ai 18 anni (28%). Dall'elevato numero di minori si evince l'esistenza di molti nuclei familiari, mentre per quanto riguarda il rapporto tra i sessi, l'incidenza femminile è del 35% sul totale. Al fine di inquadrare la composizione degli italiani in Cina nella sua interezza, l'XVIII edizione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, presentato lo scorso 3 ottobre a Roma, ha dedicato al fenomeno uno specifico studio, denominato Progetto A.M.I.C.O. (Analisi della Migrazione degli Italiani in Cina) che mira ad analizzare l'esperienza lavorativa e di vita degli italiani in Cina e gli aspetti che rendono sempre di più il paese una meta per l'emigrazione. A tal proposito, l'indagine, ancora in corso e che verrà pubblicata nel 2014, si avvale della raccolta di dati statistici, interviste agli italiani residenti in territorio cinese e dei risultati di un questionario online, (qui).
I cambiamenti politici ed economici in corso a livello globale e in Cina stanno determinando lo sviluppo di nuovi settori in cui la domanda di know-how straniero da parte cinese è in costante aumento, man mano che la loro società si articola ed esprime nuovi bisogni sia individuali che collettivi. Ciò ha determinato l'afflusso in Cina di italiani, non solo dediti agli affari e al commercio, ma in possesso di competenze in altri settori, tra cui l'arte, l'architettura, l'istruzione, la cooperazione, eccetera.
In questo quadro si sta facendo strada una categoria particolare: quella dei cinesi di "ritorno", ovvero i cittadini cinesi nati o cresciuti nel Belpaese che, grazie ai titoli di studio acquisiti in Italia e alla padronanza della lingua italiana e cinese, si lasciano alle spalle la recessione in Europa per cavalcare l'ondata di sviluppo della Cina.
Secondo il Progetto A.M.I.C.O., tra coloro che hanno fatto le valigie e lasciato il Belpaese non ci sono solo italiani, ma anche cinesi nati o cresciuti in Italia. In un contesto economico dilaniato dalla crisi, dal calo dei consumi e degli investimenti, alcuni cinesi soprattutto giovani si sono messi in spalla il bagaglio della propria esperienza in Italia e sono ritornati in patria per cogliere i vantaggi dello sviluppo cinese.
Il fenomeno appare già evidente facendo un giro nelle varie Chinatown delle città italiane, dove molti negozi di casalinghi e abbigliamento cinese hanno chiuso i battenti. Difficile finora fare una stima di quanti stanno lasciando il Belpaese, ma sembra che la tendenza si stia diffondendo anche tra gli altri immigrati. Secondo quanto riportato a gennaio dal Financial Times, gli effetti della recessione non rendono più appetibile l'Italia per gli immigrati cinesi, che preferiscono tornare in patria o addirittura spostarsi verso altre destinazioni, come l'America Latina o il Canada.D'altronde la migrazione è una costante del popolo cinese nella sua storia recente. L'atto migratorio, tuttavia, è concepito in maniera diversa dai cinesi rispetto ai migranti di altri paesi: non deriva da una condizione di indigenza nel contesto di partenza, ma si tratta spesso di una ricerca di occasioni per accrescere la propria ricchezza. Il forte spirito imprenditoriale dei cinesi residenti in Italia si manifesta, non a caso, nei settori quali l'industria manifatturiera e il commercio. La laboriosità che li contraddistingue è unita ad una cultura del lavoro non regolamentata come in Occidente: ritmi pesanti e fatica sono gli strumenti per innalzare il proprio status attraverso il profitto ottenendo così un riscatto sociale.
I ragazzi nati o cresciuti in Italia hanno esigenze e ambizioni diverse rispetto ai loro genitori, forti di una commistione culturale e di una dimestichezza linguistica, sono propensi a spendere le proprie capacità in un ambiente dinamico all'estero. In molti mettono da parte la divisa da cameriere del ristorante di famiglia e intraprendono la carriera imprenditoriale in Cina, come Franco, arrivato ad Imola negli anni Ottanta e oggi titolare di una start up che ha puntato sull'e-commerce di marchi di abbigliamento italiani per il pubblico cinese. "Io e mio cugino – racconta – volevamo fare la differenza rispetto alla generazione dei nostri genitori sfruttando l'educazione scolastica ricevuta in Italia. Crescere in un paese straniero ci ha permesso di avere una maggiore apertura mentale,di acquisire uno spirito di analisi e di comprensione della cultura italiana. Nel nostro progetto di business ha giovato anche la congiuntura economica della Cina, allo sviluppo dei nuovi media abbiamo unito l'interesse emergente della Cina per il made in Italy". Oggi Franco vive a Canton, ma gli manca la Romagna. Spera un giorno di poter tornare a vivere in Italia, magari quando i tempi saranno migliori.
Tra i giovani cinesi della "diaspora di ritorno" c'è chi ha ottenuto la cittadinanza italiana dopo anni di lungaggini burocratiche e adesso vive in Cina con un visto per stranieri. E' questa la storia di Yue, ad esempio, un giovane italo-cinese cresciuto a Roma, con alle spalle un master in Germania e uno stage alla sede di Ginevra delle Nazioni Unite vive a Pechino e lavora per un'azienda australiana. Ricordando gli anni trascorsi a Roma racconta: "Se fossi rimasto in Italia dopo la laurea in economia, non avrei avuto l'opportunità di imparare l'inglese e di confrontarmi con persone brillanti provenienti da altre parti del mondo. In Italia ho vissuto le tipiche esperienze che fanno tutti i figli di migranti: file al commissariato, documenti diversi rispetto agli altri compagni scuola. Ho sempre avuto paura di fare le bravate che gli altri ragazzini della mia età facevano perché sentivo di non essere nel mio paese, anche se poi crescendovi è diventato il mio paese". Yue è membro fondatore di Rete G2 Seconde Generazioni, un network costituito da figli di immigrati originari di Asia, Africa, Europa e America Latina, impegnati nella lotta per il diritto di cittadinanza alle seconde generazioni e nella promozione dell'integrazione culturale. "Adesso vivo a Pechino – continua Yue – con altri ragazzi stranieri figli di immigrati in Germania che lavorano per imprese tedesche. In paesi come questi gli stranieri sono una risorsa, in Italia non è così e lottiamo affinché un giorno ciò possa cambiare".
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