di Emma Lupano
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Pechino, 21 ott. - Inquinamento del cavolo. Ma anche del maiale, degli spaghetti e di tutto ciò che finisce nelle padelle dei cinesi. Con il loro vizio di cucinare in casa, infatti, i pechinesi stanno contribuendo alla continua ascesa dei livelli di PM2.5, il particolato inquinante sospeso nell’aria e gravemente dannoso per la salute di chi lo respira. Così ha affermato, provocando reazioni tra l’ilare e l’irato, Zhao Huimin, direttore dell’Ufficio affari esteri della municipalità di Pechino. Intervistato la scorsa settimana da una tv di Shanghai a proposito dei preparativi per il summit APEC del prossimo anno, nell’elencare le misure pensate per ridurre l’inquinamento in quei giorni ha detto: “Speriamo che anche la popolazione di Pechino collabori per avere un’aria più pulita”, visto che “gli stili di cucina usati dai cinesi contribuiscono non poco alla densità del PM2.5”.
Il commento è stato subito preso di mira dai microblogger, molti dei quali si sono sbizzarriti nell’ipotizzare la regola che verrà ideata dalle autorità per ridurre l’uso di pentole e fuochi. Dalle cucine utilizzabili a giorni alterni a seconda del numero civico dell’abitazione, alla lotteria per decidere chi può avere un fornello e chi no, le proposte, ovviamente polemiche, si ispirano alle norme già in vigore per ridurre il numero di auto in circolazione nella capitale.
Sul tema la stampa ha invece tenuto un profilo più basso, riportando la notizia ma risparmiando per lo più i commenti. Il 16 ottobre ci ha pensato però il Renmin Ribao, pubblicando un editoriale, proveniente dall’ortodosso Hong Wang (Rednet), che è stato poi ripreso da altre testate a livello locale. Per prima cosa l’autore, Yan Huiwen, spezza una lancia a favore di Zhao Huimin, spiegando che le sue affermazioni “non sono vuote di significato”. Infatti “recentemente alcuni test hanno dimostrato che davvero la cucina casalinga può provocare un aumento dei livelli di PM 2.5. Specialmente quando si cucinano piatti fritti o saltati, la densità delle polveri può aumentare da 8 volte tanto fino a 20 volte tanto”.
Se dunque quanto sostenuto dal funzionario di Pechino non è falso, perché tanto scandalo nell’opinione pubblica? Le ragioni, secondo Yan, sono due.
Una ha a che vedere con le abitudini culinarie della popolazione, e con la lunga tradizione contadina: “I cinesi tengono al cibo più che a ogni altra cosa, ne amano il colore, il profumo e il sapore. Anche se sono comodi, nutrienti o igienici, raramente scegliamo prodotti alimentari già pronti. Preferiamo i cibi freschi e ci piace cucinarli con le nostre mani. Perciò friggere, soffriggere, arrostire, cuocere al vapore e alla piastra – tutte azioni altamente inquinanti – sono le più comuni nelle nostre cucine”. E non solo a Pechino, puntualizza Yan: “Nelle diverse regioni della Cina cambiano i sapori, ma a livello di complessità dei piatti e di pericolosità per l’ambiente nel cucinarli la differenza è minima”.
La seconda ragione per cui le famiglie cinesi preferiscono preparare i cibi da sé sarebbe invece che “il cibo cucinato da altri è più caro e meno sicuro. Per evitare che oli di scarsa qualità e additivi di vario genere danneggino il nostro stomaco, ci teniamo a cucinare i nostri piatti quanto più è possibile”.
Così, mentre “in occidente l’industria alimentare ha convinto la società e il mercato”, in Cina “le famiglie vorrebbero invece trasformare la propria cucina in una sorta di piccola fabbrica alimentare”, incuranti degli svantaggi economici e ambientali di questa scelta.
Sicurezza alimentare, economia del cibo e industria della nutrizione sono per Yan questioni aperte e molto attuali, che però difficilmente troveranno una soluzione, almeno fino a quando “i funzionari pubblici continueranno a tirare fuori affermazioni come questa. Anche se si tratta di riflessioni ragionevoli, chi potrà mai ascoltarli?”.
Lo scalpore provocato dalle parole di Zhao Huimin “testimonia anche l’incapacità dei funzionari cinesi di fare proposte valide in un momento di cambiamento. Quello che conta, infatti, non è se le parole di Zhao siano sensate, ma se tengono in considerazione i bisogni della gente. Se propongono una soluzione praticabile, e se sanno dare un senso di direzione e di sicurezza alla popolazione”. Il senso dell’umorismo, invece, non rientra tra gli effetti desiderati.
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