Gianluca Ferraris e Antonio Talia
Singapore Connection
Caccia ai boss
del calcioscommesse globale
Edito da Informant
€ 2,99 versione ereader
€ 4,99 versione multimediale (per iPad)
Milano, 17 ott. - Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo un estratto dell'e-book "Singapore Connection - Caccia ai boss del calcioscommesse globale" in uscita oggi.
di Gianluca Ferraris e Antonio Talia
17 settembre 2013: il dipartimento anticrimine della polizia di Singapore arresta quattordici persone. Sono gli esponenti di spicco dell’organizzazione che dal Sudest asiatico ha guadagnato milioni e milioni di euro truccando le partite dei più importanti campionati di calcio del mondo, fino a provocare un terremoto anche nella Serie A italiana. Ma la cattura del boss Tan Seet Eng è davvero la fine dell’organizzazione?
L’ebook “Singapore Connection- Caccia ai boss del calcioscommesse mondiale”, edito da Informant, è un reportage investigativo frutto del lavoro di tre anni: Gianluca Ferraris e Antonio Talia conducono il lettore alla scoperta delle strade segrete della metropoli asiatica, tra allibratori clandestini, scommettitori incalliti, e signori della truffa già pronti a truccare il prossimo match. Fino al cuore del meccanismo finanziario che ha messo in ginocchio il calcio moderno.
Nella versione iPad “Singapore Connection” contiene grafici, video a telecamera nascosta, foto, mappe dei luoghi dell’indagine: un nuovo tipo di reportage, per sperimentare gli ultimi confini del giornalismo digitale.
Pubblichiamo un estratto dell’ebook, in vendita da oggi in tutti i negozi online.
I tentacoli finanziari del calcioscommesse globale
Il primo dato che fa riflettere è che quello scoperchiato dalle procure italiane è un mondo sì oscuro, ma non del tutto sconosciuto agli addetti ai lavori. Le indagini delle polizie di mezza Europa sul fenomeno del match fixing nei singoli campionati, e anche quelle dell’ESSA, hanno ormai ricostruito in maniera abbastanza chiara la stessa struttura piramidale alla quale gli indagati del filone italiano avrebbero fatto riferimento per piazzare le scommesse in Asia. L’ESSA, in particolare, ha elaborato uno schema abbastanza preciso, consegnato agli operatori e alla stessa Interpol a metà 2011. Abbiamo potuto visionarlo.
Il “giro asiatico” è fatto di quattro livelli: agenti sul territorio, “super agents”, “masters” e destinatari finali. Almeno i primi due, di solito, operano direttamente nel Paese dove viene organizzata la combine, ma curiosamente la gerarchia descritta è la stessa ovunque. È attraverso gli agenti sul territorio (equivalente europeo dei rounders e degli street punters di Cina e Malesia, incaricati di raccogliere porta a porta piccole somme da scommettere nelle campagne o nelle periferie di Paesi dove l’azzardo è molto diffuso ma formalmente vietato) che i boss del giro raggiungono i calciatori, e qualche volta anche i dirigenti delle squadre coinvolte nelle partite da aggiustare. Ed è da loro che, soprattutto nei campionati dell’Est europeo ad alto tasso di corruzione, partono le segnalazioni verso l’Asia. I “super agents” sono invece quelli che moltiplicano i soldi e fanno da tramite (a volte anche da garante) tra chi “soffia” le partite giuste, chi fornisce il capitale iniziale (mai più di duecentomila euro) e chi piazzerà materialmente la scommessa sui circuiti offshore. Hanno un buon senso dell’economia e costituiscono il primo raccordo con i piani alti della criminalità locale. Quando sono particolarmente convinti della giocata, può capitare che scommettano anche in proprio piccole somme presso le agenzie legali, presso quelle controllate dai clan del posto o direttamente sui siti stranieri. Di questa cerchia, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti cremonesi, farebbe parte il vertice degli slavi. L’inchiesta di Bari, invece, affida il ruolo di super agents direttamente ai fiancheggiatori del clan sacrista dei Parisi. Questa famiglia, fino a qualche anno fa egemone nel capoluogo pugliese, controllava alcune sale scommesse, il che le permetteva di utilizzare le informazioni privilegiate acquisite attraverso canali paralleli. Un altro segnale evidente dell’interesse delle mafie nostrane per la grande abbuffata. Ci sono infine i “masters”, protagonisti veri e propri del riciclaggio: rappresentano l’ultimo anello di congiunzione tra l’Italia e l’Asia. Ciascuno di loro ha a disposizione dai cinquanta ai cento conti di gioco, in apparenza del tutto simili a quelli che utilizza un cliente qualunque quando scommette sul circuito legale, ma in realtà cifrati e riconducibili a operatori con licenza nelle Filippine o in qualche sperduta isoletta off-shore, dove le puntate sono milionarie e spesso sulla parola, e l’anonimato è garantito. Sono questi i conti che, in cambio di una percentuale, vengono utilizzati per gestire gli ordini degli operatori più facoltosi e bisognosi di discrezione.
È soltanto al termine di questa complessa serie di passaggi - in una tranquilla settimana di campionato lunga in genere dal martedì al sabato (dall’ultima partita truccata alla vigilia della successiva)- che, finalmente, i soldi partono alla volta dei principali bookmaker asiatici. Dove le ritenute fiscali più basse e il margine di guadagno degli operatori locali – in media il due per cento, contro una trattenuta del dieci per cento effettuata dai bookies europei – incentivano le giocate “all’ingrosso”. I provider e i centri di scommesse che fanno capo alle società legali sono formalmente ignari delle combine, eppure capaci di raccogliere puntate milionarie su partite di cui in Asia si sapeva poco o nulla. Il trucco consiste nell’unire i flussi provenienti dall’Europa con il denaro raccolto dai rounders, che i broker della scommessa piazzano per loro conto sulle opzioni ritenute più attrattive. Proprio come se stessero giocando in Borsa. È esattamente questo che accade alla Singapore Pools, santuario del gioco legale dove gli ultimi tre piani sono riservati ai clienti vip, in un clima ovattato e riservato degno di una banca svizzera: l’approdo ideale per gente capace di puntare milioni su un singolo evento, costringendo se necessario i titolari a improvvisare una quota al volo anche su un combattimento tra pugili sconosciuti nel palazzetto dello sport di fianco o sull’ultima amichevole dello Zimbawe. Tante puntate e rischi folli, quindi, in caso di risultati sfavorevoli? Apparentemente sì, in realtà no, visto che i bookmakers rivendono on line le scommesse accettate ad altri operatori, riassicurando il rischio e limitando quasi totalmente il pericolo di perdite.
Flussi impalpabili, dunque, che generano iperboli irrazionali come i 23 milioni di euro puntati in Asia su Atalanta-Piacenza del 19 marzo 2011, partita divenuta uno dei simboli dell’inchiesta cremonese. La procura federale, infatti, aveva aperto un fascicolo già 24 ore prima dell’incontro, in seguito al riscontro di “flussi di puntate molto anomali e superiori alla media” sul terminale dei Monopoli di Stato, verificando anche “un’insolita concentrazione di giocate” nell’ordine di centinaia di migliaia di euro sul segno 1, sull’opzione “primo tempo 1”, sull’abbinata “primo tempo 1/finale 1” e sull’opzione “over” (partita con più di due gol). Mentre gli ispettori federali accendevano un faro sulla partita, l’agenzia specializzata Agipronews rilevava come anche sul sito di Betfair, la più nota piattaforma mondiale di scommesse peer-to-peer, la quantità di denaro piazzata su “1” e “over” avesse superato di gran lunga la media. E a poche ore dal calcio d’inizio gli stessi concessionari italiani avevano abbattuto la quota per il successo dei nerazzurri da 1,55 a 1,20, sospendendo inoltre le giocate sulle specialità che includevano il successo dell’Atalanta sin dal primo tempo. La partita si è poi svolta secondo i pronostici della maggioranza degli scommettitori: 3 a 0 per la squadra di casa con due rigori realizzati dall’indagato Cristiano Doni e una terza rete già entro i primi 45 minuti. Di sicuro, quel sabato pomeriggio, in Asia sono saltati parecchi tappi di champagne.
Resta un interrogativo: come è possibile far transitare centinaia di migliaia di euro attraverso percorsi in teoria monitorabili come quelli finanziari, sfidando misure e limiti antiriciclaggio? La risposta è che non si verifica alcun passaggio reale, visto che il denaro non esce (quasi) mai dal Paese di destinazione finale, sia esso l’Italia o un altro Stato europeo. Buona parte dei movimenti a valle vengono effettuati cash, e quelli che non lo sono, come gli assegni post-datati e le ricariche PostePay che viaggiano di mano in mano, hanno soltanto funzione di garanzia e non passano all’incasso se non quando è assolutamente necessario. Il cash viene consegnato fisicamente dai giocatori agli agenti e ai “super agents” che piazzano le scommesse utilizzando i conti cifrati a disposizione dei “masters” e poi – in caso di vincita – ripagano sempre in contanti lo scommettitore. Solo quando la cifra da riscuotere è troppo elevata l’agente si mette fisicamente in viaggio per prelevare i soldi necessari a retribuire scommettitori e calciatori corrotti, recandosi in banche compiacenti dell’Est europeo o, come accade sempre più spesso, presso fiduciarie croate, svizzere e austriache che si prestano a fare da schermo, per giunta snellendo gli oneri di viaggio. È una pratica illegale, naturalmente, perché la struttura, del tutto clandestina, finisce per violare tanto la normativa sui giochi che quella sulla circolazione di contanti. Ma funziona. Tanto più che al momento della redistribuzione delle somme vinte, chi è a monte ignora chi operi a valle, in un perfetto sistema a compartimenti stagni.
Su un punto tutti gli investigatori del mondo concordano: nessuna delle mafie locali rimane mai esclusa dalle spartizioni spicciole, né dalle soffiate, visto che contare su qualche risultato giusto consente di ripulire in tranquillità i capitali illeciti, anche sotto casa. “Le organizzazioni che gestiscono le scommesse clandestine spesso infondono anche in chi indaga la sensazione che si tratti di un meccanismo caotico e fortemente concorrenziale”, conferma la nostra fonte investigativa presso l’Interpol. “Niente di più sbagliato: ogni rapporto è dettato da codici scrupolosi e ogni operazione pianificata e finanziata da gruppi ristretti d’individui, mentre le informazioni e i benefici finali sono condivisi da molti, in modo che nessuna etnia, o nessuna mafia se parliamo di Europa, sia tagliata fuori dalla spartizione del bottino”.
Nei mesi scorsi Mario Crtvak, che sta scontando una pena a quattro anni in Germania con l’accusa di aver manipolato alcune partite di Bundesliga per conto di Tan Seet Eng e degli “zingari”, ha rivelato che in Italia il grosso delle puntate e delle riscossioni legati agli incontri combinati passa per la piazza di Napoli, dove il gioco nero è in mano ai cinesi, ma anche che altri broker della puntata concordavano spesso le quote al telefono con interlocutori partenopei. L’ennesima prova, se ancora ne avessimo bisogno, delle incredibili capacità di penetrazione della cupola singaporiana.
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