di Adolfo Tamburello
Napoli, 12 lug. - Nel clima di infuocata sinofilia, fin dal 1692 lo spirito chinoiserie faceva il suo ingresso nel teatro. Gli attori della Comedie italiénne presentavano sulle scene parigine Le Chinois di Regnard e Dufresny. Arlecchino, negli abiti di 'dottore cinese', percorreva la sua felice carriera di 'pagodo e medico'. Altre opere prendevano sul serio la Cina. Era il caso dell'Orpheline de la Chine che Voltaire proponeva come un saggio teatrale della 'morale di Confucio'. C'era dietro una storia cinese presentata nella monumentale Description de l'Empire de la Chine che il gesuita di Parigi Jean-Baptiste Du Halde pubblicava nel 1735, aggiornando, a quasi un secolo di distanza dal grande storiografo delle missioni gesuitiche Daniello Bartoli, il volto della Cina che i missionari avevano continuato a ritrarre. Metastasio (1698-1782) trasformava lo stesso soggetto in una storia d'amore di gusto arcadico. Carlo Gozzi (1720-1806) firmava una fiaba di soggetto cinese, la Turandot, tradotta in tedesco da Schiller e che avrebbe poi avuto gran fortuna con la musica di Giacomo Puccini.
La sinofilia partita dalla Francia pervadeva nel Settecento gran parte d'Europa, strettamente legata com'era al fenomeno della chinoiserie.
Le languide atmosfere della più sfrenata chinoiserie finivano con l'irritare i benpensanti. Leggiamo che Federico I di Prussia (1657-1713), il quale aveva fatto costruire a Potsdam un padiglione da tè, attirava su di sé lazzi come questo: Sappiamo che i Cinesi collocavano idoli e simulacri dei loro dèi all'interno dei templi, ma almeno non li mettevano sui tetti. E non si sognavano neppure di porre davanti le loro case le proprie immagini in atto di bere il tè o di fumare la pipa con gli amici...
In merito ai giardini 'cinesi' non peccavano di buon senso le bonarie osservazioni di Horace Walpole (1717-1797), scrittore, politico e collezionista d'arte: ...in verità sono capricciosamente irregolari, come i giardini europei sono classicamente uniformi e simmetrici. Ma in quanto alla natura, la deformano proprio come la deformavano i quadrati e le linee rette ed oblique dei giardini dei nostri avi [...] Nemmeno i ponti possono avere una linea diritta, ma serpeggiante come i ruscelli, e qualche volta sono così lunghi, che vi si trova ogni tanto un luogo di ristoro, e hanno al principio e alla fine un arco di trionfo. A mio parere, un canale diritto è almeno altrettanto razionale di un ponte serpeggiante...
Negli interni delle case europee l'esotismo nutriva bizzarre abitudini. L'enciclopedico britannico Nicholas Rowe (1674-1718), che dedicava la commedia The Biter del 1705 a ridicolizzare i «malati d'Oriente», faceva dire al suo protagonista: Ordinerò immediatamente un nuovo idolo al mio corrispondente di Canton. Darò in sposa mia figlia al giovane che ho scelto per lei [...] e dopo ciò sposerò senza indugio l'amabilissima Marianna, e genererò un figlio maschio il quale non berrà che il divino liquore del tè, non mangerà che riso d'Oriente, e sarà allevato secondo gli insegnamenti dell'eccellentissimo Confucio.
La sinofobia nasceva solo in parte dalla stanchezza per una Cina proposta in tutte le salse. Come la fisiocrazia non la vinceva sul mercantilismo, il confucianesimo non la spuntava sulla morale cristiana, e i primi ad andarvi di mezzo erano i Gesuiti, descritti come i più infidi propalatori di mistificazioni e aizzatori contro l'Europa e perfino la cristianità.
Rousseau (1712-1778) arrivava a criticare che in Cina la cultura e le scienze fossero "un lasciapassare per le più alte cariche dello Stato": Se le scienze purificassero i costumi, se insegnassero agli uomini a dare il proprio sangue per la patria, se vivificassero il coraggio, i popoli della Cina dovrebbero essere saggi, liberi e invincibili. Ma se non vi è vizio che non li possieda, delitto che non sia loro abituale, se né quei luminari dei suoi ministri, né la vantata saggezza delle sue leggi, né l'enorme numero dei suoi abitanti hanno potuto salvare questo vasto impero dal giogo dei Tartari ignoranti e rozzi, a che cosa gli sono serviti tutti i suoi sapienti?
Facevano parte di entrambi gli schieramenti pro e contro la Cina i nomi più brillanti dell'illuminismo francese (compresi Fénelon, Malebranche, Condorcet, Montesquieu, per nominarne solo alcuni e non dei minori). Un grande lascito della Francia dei Lumi rimaneva comunque la sua Encyclopédie… Ma le stesse "enciclopedie" avevano avuto una lunga storia in Cina.
Nel complesso si trattava di una letteratura che più che dedicata alla Cina faceva uso di essa, prendendola a pretesto ora per una critica all'Europa e al suo ancien regime ora per attacchi a singole posizioni di parte, politiche o religiose. C'era soprattutto incorniciata e nella più viva attualità l'Europa dibattuta fra mercantilismo e antimercantilismo, fra Controriforma e libertinismo con in mezzo la "questione dei riti", in particolare cinesi. Insomma, quella che potrebbe definirsi una gran bagarre, alimentata dalle notizie sulla Cina che provenivano ormai ben più diffusamente da tutti gli Europei che la visitavano o addirittura vi vivevano.
Già nel 1742, Richard Walter, cappellano e segretario dell'ammiraglio Anson, diarista di un celebre "Viaggio intorno al mondo", esprimeva molti dubbi che la Cina fosse veramente quella descritta dai Gesuiti e cioè: una famiglia ben governata ed affettuosa dove ci si contendeva soltanto il privilegio della maggiore cortesia ed umanità. Anzi, con l'esperienza che aveva fatto, ne riportava un quadro ben fosco: Quanto abbiamo riferito sul comportamento dei magistrati, dei mercanti e degli uomini d'affari di Canton, basta a confutare le fole gesuitiche [...], perché abbiamo constatato che i magistrati sono corrotti, il popolo ladro e i tribunali venali e disonesti.
Serpeggiava un giudizio ormai negativo persino sulle merci cinesi. Valevano veramente l'enorme dispendio che comportavano? Francesco Algarotti (1712-1764) informava sui traffici della Cina con la Russia: ...quando i Cinesi credono che sia il tempo, vi portano il loro thè, qualche poco d'oro, delle sete crude, delle vecchie stoffe, delle pagode, della più vile porcellana, la più parte rifiuti e quasi immondizie de' lor fondachi, e gli mandan con Dio...
L'Italia rimaneva forse la più misurata in fatto di chinoiserie, sia pure con alcune eccezioni come poteva essere Venezia col suo carnevale e le 'biscione' sul Canal Grande ispirate alle navi-drago cinesi.
Nel 1769 saliva agli onori della cronaca l'oscura Colorno per il trattenimento che offrivano le nozze di Don Ferdinando Duca di Parma con l'Arciduchessa Maria Amalia, figlia di Maria Teresa. Un'arcadica festa campestre ospitava una 'fiera cinese' fra palloncini di carta e fanciulli e fanciulle vestiti da 'idoli' e da 'pagodi'. Bruciavano profumi, fumavano da lunghe pipe, suonavano campanelli e percuotevano triangoli. A mo' dei presepi viventi, riviveva una Cina immaginaria.
Il nostro Paolo Mattia Doria (1667-1746) era severo nel mettere in guardia da quello che gli appariva l'ultimo sconsiderato esotismo: le merci le quali i principi orientali permutano con l'oro e l'argento di Europa, sono merci le quali non hanno intrinseco valore, ma sono bagatelle fragili e che non hanno altra qualità che quella di un'apparente vaghezza. Come appunto sono li vasellamenti di terra della China e del Giappone, le tele dipinte ed altre somiglianti cose.
Doria era nel giusto, se non fosse che quelle "bagatelle fragili", porcellane e lacche, avevano dato all'Europa primi contenitori impermeabili. Fino alle soglie dell'Ottocento la Cina e il Giappone traevano grossi profitti dal mercato delle loro manifatture come e di più li avevano gli Stati europei che disponevano di Compagnie delle Indie e lucravano con gli alti profitti del loro mercantilismo. A Doria era tenacemente invisa la «politica mercantilistica», di cui fra l'altro trattava in un'opera del 1742, facendovi tutt'uno del mercantilismo e della corruzione dei costumi. Fra l'altro la situazione politica della nostra penisola vanificava ogni concreto disegno di tornare a immettere l'Italia nei commerci diretti con l'Asia, che pur si accarezzava a Genova e a Napoli coi progetti di fondare qualche locale Compagnia delle Indie.
*Adolfo Tamburello gia' professore ordinario di Storia e Civilta' dell'Estremo Oriente all'Universita' degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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