di Lionello Lanciotti
Roma, 03 mag. - Nella sua introduzione al primo volume della serie CINA (1956), di cui mi affidava la redazione scientifica e che ne vedrà uscire trenta numeri, scriveva "dell'interesse puro, semplice, di curiosità umanistica, stimolata e fecondata dal desiderio di conoscere sempre più a fondo nelle sue creazioni e nei suoi sviluppi un popolo al quale, come all'India, all'Egitto, alla Grecia e all'Italia il mondo deve molta parte di quella saggezza o scienza o fantasia o creazione che rallegra la vita dell'uomo".
In queste frasi si può intuire come Tucci fin da studente si sia accostato alla civiltà della Cina; inizio' con lo studio del pensiero antico con gli Scritti di Mencio (1921), seguito dalla Storia della filosofia cinese antica (1922), dall'Apologia del taoismo (1924) e quella del Confucianesimo (1925).
Nel 1930 ottiene la cattedra di Cinese all'Istituto universitario orientale di Napoli e due anni dopo sarà a Roma a insegnare alla Sapienza Religioni e Filosofia dell'India e dell'Estremo Oriente. Dallo studio delle relazioni di viaggio nei paesi del Medio Oriente dei pellegrini buddhisti cinesi identificherà i luoghi dove dirigerà gli scavi degli archeologi dell'IsMEO nella Valle dello Swat (Pakistan).
Le sue opere di indologo, di tibetanista, di esploratore e di viaggiatore sono note non solo agli specialisti, ma il filo conduttore di quasi tutte le sue ricerche sarà sempre il suo amore per la civiltà della Cina.
Lionello Lanciotti è professore emerito di Filologia cinese dell'Università di Napoli L'Orientale
© Riproduzione riservata