di Adolfo Tamburello*
Napoli, 17 gen.- Col Medioevo la scoperta in crescendo dell'Asia imprimeva progressivi ampliamenti alle descrizioni del mondo dalle colonne d'Ercole all'oceano Indiano e all'inoltrato interno dell'Asia. Per le terre marittime il mondo antico aveva lasciato in eredità il tolemaico "Periplo del Mare Eritreo", mentre per l'entroterra euroasiatico la Tabula peuntingeriana restava a testimonianza di una «guida» stradale tardo-romana su itinerari battuti fra l'altro da animali esotici come i cammelli.
Le nuove mappae mundi posizionavano per un certo tempo in alto a Est il Paradiso terrestre, i regni di Sem, del Prete Gianni, di Gog e Magog, e l'Oriente diventava la terra d'incontro della leggendarietà romana con quella della cristianità medievale. La carta di Ebstorf, del secolo XII, raffigurava ancora i Seres, di memoria classica, intenti a raccogliere la seta dagli alberi accanto al Paradiso Terrestre; la carta di Hereford, della fine del secolo XIII, si limitava a segnare una Seres civitas.
Nel primo Trecento operava a Venezia il cartografo frate minorita Paolino, autore del breve trattato De mapa mundi, corredato di carta. Vi citava il "Cathay, che a Oriente ha l'oceano, a meridione le isole dell'oceano". In contatto col frate veneziano, il genovese Pietro Vesconte apponeva sul Cathay della sua carta nautica del 1320 la legenda "hic stat Magnus Canis", cioè il Gran Khan. La cosmografia viveva una prima rivoluzione, nonostante i persistenti accenni a Gog e Magog e ai Tartari 'rinchiusi'. L'Atlante catalano del 1375 rinnovava con il suo titolo di «atlante» il nome della cartografia medievale e seguiva passo passo l'itinerario indicato da Marco Polo nella delineazione dell'Asia e dell'oceano Indiano.
Quasi un secolo dopo, il camaldolese fra Mauro realizzava nel 1459 un planisfero circolare orientandolo con il Sud in alto alla maniera della cartografia araba e, fra l'altro, cinese. Compiva inoltre un superamento di metodo con la preferenza esplicitamente accordata, come il frate scriveva, non più all'autorità delle fonti classiche, ma a quella di coloro che hano visto ad ochio.
Il Milione poliano resisteva a lungo come fonte diretta dei cartografi di epoche successive. Era ancora presente a Giacomo Gastaldi (c. 1500-1566) per la sua Carta dell'Asia (Asiae nova descriptio) del 1559-61, e persino al gesuita Martino Martini (1614-1661) per il suo Novus Atlas Sinensis del 1655. Martini, da missionario a lungo in Cina, si avvaleva anche di dirette fonti cinesi. La sua era l'opera che impostava gli studi cartografici e geografici della Cina sotto il nuovo impero Qing (1644-1912), con un saggio di storia e geografia 'ecumenica' che per di più abbracciava la "Tartaria", la Corea e, fuori dell'impero sino-mancese, il Giappone.
Gesuiti predecessori di Martini in Cina interessati alla cartografia cinese erano stati in particolare Michele Ruggieri (1543-1607) e Matteo Ricci (1554-1610).
Ruggeri, fondatore in Cina della prima missione cattolica dell'età moderna insieme con Francesco Pasio (1554-1612) e il citato Ricci, fu al rientro in Italia, con i testi e gli atlanti portatisi dalla Cina, alle prese di un lavoro geografico e cartografico che lasciava incompiuto. Lo ricordava Daniello Bartoli (1608-1685), il grande storiografo della Compagnia di Gesù, che riconosceva al Ruggeri il merito di aver fatto conoscere "tutta al disteso, e minutissima la Geografia della Cina, non che delineata, ma neanche tutta scorsa e veduta da niuno fin ora tornatone in Europa: essendone colà innumerabili tavole fedelmente stampate, e delle Provincie intere, e delle parti loro suggette. Portolleci di colà il P. Michel Ruggieri, fin dall'anno 1589, e le abbiam qui tuttavia, nell'uno, e l'altro carattere, Cinese, e nostrale; quelle stampate e queste a mano: colle distanze a misura: e tutto interissimo l'ordine, la disposizione, i nomi; e le qualità de gl'innumerabili luoghi di quell'Imperio […]: fatica da lui intrapresa in ordine al comporne, e publicar colle stampe un Teatro Cinese: ma gli si finì il tempo prima che l'opera".
Ancora insieme con Ruggeri in Cina, Ricci trovava la collaborazione di insigni intellettuali cinesi per curare un mappamondo che rivelava loro per la prima volta la forma del globo e l'estensione delle terre emerse secondo le ultime scoperte europee. L'opera era intitolata nella sua ultima edizione Yudi shanhai guangtu ("Carta completa delle terre montane e marine") e naturalmente per la Cina era basata su dirette fonti cinesi. Molti esemplari dell'opera arrivavano in Europa. In italiano la pubblicava il missionario gesuita Pasquale M. D'Elia presso la Città del Vaticano nel 1938 col titolo Il mappamondo di P. Matteo Ricci, S.J. (Terza edizione, Pechino 1602).
Più tardi ancora, solo nel 1993, appariva a stampa presso il Poligrafico dello Stato L'Atlante della Cina di Michele Ruggieri. Ne era autore Eugenio Lo Sardo, che aveva felicemente recuperato negli anni Ottanta nei depositi dell'Archivio di Stato, durante lavori di inventario e catalogazione, ventotto carte disegnate a mano, una cinese a stampa e trentasette fogli di descrizioni geografiche.
Non sappiamo se Martini, rientrato dalla Cina in Italia nel 1655, nello stesso anno della pubblicazione ad Amsterdam del suo atlante cinese, avesse agio di consultare a Roma le carte e i testi lasciati da Ruggieri e ricevere da Bartoli le felicitazioni che gli lasciava poi scritte: "onde la Geografia ha fatto per lui acquisto d'una sì degna, e gran parte dell'Oriente, che le mancava". Non sappiamo neppure se avesse modo di imbattersi o di avere almeno notizia del prezioso esemplare di un atlante cinese che la corte medicea riceveva nel 1606 e che si conserva oggi presso la Biblioteca Nazionale di Firenze Di esso così scriveva Marcello Muccioli nel 1969: "L'atlante fu portato a Firenze nel 1606 dal viaggiatore e commerciante fiorentino Francesco Carletti (1574-1636), il quale, partito diciottenne dalla sua città natale il 20 di maggio del 1591, in compagnia e al servizio di Niccolò Parenti, un mercante fiorentino, vi fece ritorno il 12 luglio del 1606. Nelle sue avventurose peregrinazioni, durate ben quindici anni, egli circumnavigò il globo col padre Antonio (morto, durante il viaggio, a Macao nel 1598) e presumibilmente in Cina egli acquistò l'atlante che, al suo ritorno, doveva offrire al Granduca Ferdinando I de' Medici (1551-1609), dalle cui mani, o da quelle dei suoi successori, passò poi in possesso della Magliabecchiana e infine all'attuale Biblioteca Nazionale di cui quella costituisce il nucleo primitivo". Muccioli identificava l'atlante in un esemplare del Guang yukao, pubblicato in Cina all'epoca del soggiorno di Carletti a Macao, cioè al più tardi nel 1599 o più precisamente fra il 1595, data della postfazione [dell'opera], e il 1599.
L'atlante era naturalmente una delle fonti di Martini e avrebbe certo fatto effetto all'insigne gesuita ritrovarsene una copia in Italia. Ignoriamo pure l'eventuale importanza che ebbe l'opera come fonte per la successiva cartografia europea.
Il servizio italiano alla cartografia cinese non finiva qui. Dopo che i gesuiti francesi alla corte di Kangxi avevano effettuato ai primi del Settecento su commissione imperiale un rilevamento topografico dell'impero Qing e nel 1717 stampavano in xilografia a Pechino il loro famoso atlante, conosciuto come l'"Atlante di Kangxi", il missionario italiano, sacerdote secolare Matteo Ripa (1682-1746), futuro fondatore del Collegio dei Cinesi di Napoli, curava la stampa fra il 1713 e il 1719, sempre su commissione imperiale, di una carta generale dell'impero con matrici in rame e una toponomastica estesa al mancese. Le matrici erano ancora riutilizzate nel 1929 a Mukden (Shenyang) per una nuova edizione. Di quelle matrici si è persa traccia dal secondo dopoguerra e sembra siano state vane fino a oggi le ricerche persino estese fino al Giappone.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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