di Adolfo Tamburello*
Napoli, 7 gen.- Relativamente da poco i cinesi hanno contribuito di persona a metterci di casa la Cina. Ancora nel primo Novecento non erano in molti a soggiornare in Europa ad eccezione dei membri della diplomazia, del clero o di qualche docente di cinese o mercante d'arte. Anche gli altri commercianti cinesi erano pochi; nelle città di mare alcuni si vedevano andare su e giù per le spiagge offrendo ai bagnanti colorate cravatte di seta a "una lilla" (come pronunciavano inevitabilmente la nostra "lira"). Erano i vu' cumprà del tempo, che le intensificate navigazioni a vapore sulle rotte dell'oceano Indiano avevano inaugurato dall'apertura del Canale di Suez per un piccolo commercio ambulante di dimensioni continentali. Imbarcati su navi stazionanti nei porti, ne scendevano per arrotondarsi le paghe di marinai con lo smercio di articoli portati da casa. Prevalevano ancora le sete in omaggio alla seta cinese ormai proverbiale nel mondo. Da noi, quasi altrettanto proverbiali delle sete erano le porcellane cinesi, ma, rispetto alle porcellane, le sete avevano l'indubbio vantaggio di pesare poco e ingombrare meno il loro bagaglio.
È certo strano che ancora fino al primo Novecento pochi cinesi raggiungessero l'Europa. Lionello Lanciotti ha dato in questi giorni notizia su AGI China 24 di due mummie cinesi riesumate nel 1805 a Ferentillo in provincia di Terni. Era stata una coppia di cinesi alla metà del Settecento in visita in Italia, ove erano pure morti e inumati.
Contrariamente al cliché che ne abbiamo, i cinesi sono stati dall'antichità un popolo di viaggiatori: viandanti per via di terra, naviganti su fiumi, laghi, mari. Soprattutto un popolo di emigranti e di profughi dalle proprie contrade e di marinai su navi di tutte le bandiere, persino grandi pirati.
I cinesi avevano popolato l'immensa Cina attraverso incrociate migrazioni interne, popolarono in parte la Mongolia, la Manciuria, la Corea, e un fenomeno già antico fu la loro diaspora nel Sud-Est Asiatico, un'emigrazione quasi sempre clandestina per tutta la loro storia almeno fino al 1894 e per alcuni decenni nel corso del Novecento. Dall'antichità i cinesi costituirono comunità in Giappone, nelle Filippine, nella penisola indocinese, in Indonesia. Oggi Singapore e la Malaysia registrano addirittura una popolazione maggioritaria cinese.
Al secondo Ottocento risale l'emigrazione cinese in America, Africa, Australia. Prima di allora erano stati pochi i cinesi in quei continenti. Alcuni vogliono che fossero loro a "scoprire" per primi l'America: lo si ripete almeno dal Settecento, ma il fatto è che, se i cinesi andavano all'avventura come gli Europei, non rimpatriavano per fare conoscere le loro scoperte. Come dire che se Colombo non fosse tornato, anche noi non avremmo saputo nulla della sua scoperta.
Non c'è alcuna testimonianza attendibile che qualche cinese raggiungesse l'Italia in epoca romana. Non erano certo cinesi i Seres, uomini di «Serica», una cui ambasceria il retore Floro registrava a Roma nel 100 d.C. Si trattava verosimilmente di mercanti (forse orientali, 'levantini'), i quali si ripromettevano più lauti profitti accreditandosi ambasciatori.
Le prime sicure presenze di cinesi in Europa risalgono al Medioevo, quando i Mongoli si erano portati fino all'Ungheria e alle coste orientali dell'Adriatico e cinesi misti a loro sembra entrassero persino al servizio di casate italiane. Di certo, si sa che due cinesi sacerdoti nestoriani, messisi in viaggio nel 1275 alla volta della Persia e di Bisanzio, proseguivano per l'Europa e arrivavano a Napoli nel 1287. Visitavano le corti reali e incontravano a Parigi il re di Francia, Filippo IV il Bello; a Bordeaux, Edoardo I d'Inghilterra; a Roma, papa Niccolò IV. Uno dei due, Rabban Sauma, nativo di Pechino, esponeva il credo nestoriano ai cardinali romani e officiava la messa al cospetto del papa celebrandovi l'eucarestia secondo il proprio rito.
Bisognò aspettare il Cinquecento perché i velieri europei in navigazione nell'oceano Indiano imbarcassero cinesi alla volta dell'Europa. Non abbiamo idea quanti ne arrivassero sia pure in numero sparuto. Giovanni Lorenzo d'Anania (c. 1545-1609), autore de L'Universale fabrica del Mondo, overo cosmografia (Napoli 1573), incontrava a Napoli un cinese nel 1572. Tre cinesi, forse mercanti, erano segnalati a Lisbona nel 1585, l'anno in cui arrivava la famosa missione al papato di giovani giapponesi.
Figurarono poi i gesuiti fra i primi mandatari e accompagnatori di cinesi in Europa. Intorno alla metà del Seicento Martino Martini e Alexandre de Rhodes ne accompagnavano qualcuno. Sembra che il primo sacerdote cinese della Compagnia di Gesù a visitare l'Europa e Roma fosse Zheng Ma-no, 1633-1673), che prendeva il nome di Manuel o Emmanuel de Siqueira. Dal 1684 viaggiò per più di mezza Europa un mandarino cinese che si fece gesuita, ricordato come Michael Shen Fuzong. Accompagnato in Europa da Philippe Couplet, moriva in Mozambico nel 1691. Dopo di lui, la Francia ospitava il cinese rimasto forse il più famoso di tutti: Arcadio Huang (Hoangji, 1679-1716). Portato a Parigi dalla Società delle Missioni Estere, fu il primo autore di un lessico francese- cinese per il quale adottava il sistema delle "chiavi" basato sui 214 radicali. Luigi XIV incaricava Etienne Fourmont (1683-1745) di collaborare con lui anche alla stampa del famoso dizionario sinico-latino del francescano Basilio Brollo (1648-1704), che voleva pubblicato per la propria biblioteca personale, ma la prematura morte del cinese interruppe i piani, mentre Fourmont rielaborava i materiali lasciati dal giovane per le Meditationes sinicae e la Linguae sinarum gramatica che pubblicava a proprio nome nel 1737 e 1742. Ai primi del Settecento arrivava in Italia da Macao Luigi Fan (1682-1753), portatovi dal gesuita Giuseppe Antonio Provana (1662-1720). Dopo avere studiato a Torino e Roma, il cinese entrava nella Società di Gesù nel 1709. Più tardi, gesuiti francesi decidevano di fondare a Parigi un seminario per alunni cinesi. Allo scopo era fatto tornare dalla Cina nel 1740 il missionario Pierre Foureau (1700-1749) con cinque giovani allievi, i quali erano alloggiati presso il Collegio Louis-le-Grand. Altra analoga iniziativa era attuata a La Flèche e fino alla soppressione della Compagnia di Gesù vari giovani cinesi erano educati in Francia, ma non era fondata alcuna istituzione specifica per ospitarli.
L'unica istituzione fu quella italiana del sacerdote secolare Matteo Ripa (1682-1746) che, per anni missionario in Cina alla corte di Pechino, al suo congedo nel 1723, ebbe l'eccezionale permesso di portarsi cinque cinesi a Napoli per dar vita al suo Collegio dei Cinesi.
Quando Sir George Leonard Staunton, incaricato dell'allestimento dell'ambasceria in Cina di Lord Macartney del 1792-93, fu alla ricerca di qualche interprete cinese, fu per lui ben arduo trovarne qualcuno, e non ne trovò né a Londra né a Parigi. Da qui, scriveva nel diario che pubblicava nel 1798 ed era stampato in traduzione italiana a Venezia nel 1799: "Bisognò dunque, malgrado i rigori della stagione, traversare le Alpi e rendersi in Italia.
"I Cinesi letterati, che erano stati al Vaticano, non esistevano più: frattanto il viaggio di Roma non fu inutile a Sir Giorgio Staunton. Il cardinale Antonelli, prefetto della Congregazione stabilita per la propagazione della fede cattolica, gli dette delle lettere di raccomandazione pressantissime pe' missionari italiani che erano alla China, e pe' curatori del Collegio dei Chinesi a Napoli. Al suo arrivo in quella capitale, Sir Giorgio trovò nel Collegio diversi giovani Chinesi, alcuni de' quali vi erano da molti anni, e parlavano con facilità il latino e l'italiano. Insegnando loro queste lingue si era cercato che non scordassero la propria, imperciocché erano tutti destinati ad esser preti e a tornare nel loro paese […] Ve ne erano ancora alcuni che avevano finito il corso degli studi e che avendo ricevuto l'ordine sacerdotale erano pronti a imbarcarsi.
" […] grazie alla mediazione di Sir Guglielmo Hamilton, ministro d'Inghilterra, il quale aveva fatto qualche servizio al collegio, grazie egualmente a Don Gaetano d'Ancora, napoletano rispettabile e amico de' curatori, trionfò de' timori di quelli buoni preti. Sir Giorgio ritornò a Londra nel mese di maggio, con due giovani Chinesi pieni di virtù, di amenità capaci di rendere perfettamente le espressioni della loro lingua in Latino e in Italiano, che intendeva benissimo l'Ambasciatore".
In verità i sacerdoti cinesi che Staunton prelevò dal Collegio furono quattro e due di loro si trattennero a Londra ancora un po' dopo la partenza dell'ambasceria.
Fuori dell'ambito gesuitico e delle Missioni Estere di Parigi, il Collegio dei Cinesi di Napoli fu l'unica istituzione cattolica europea destinata all'accoglienza sistematica di elementi cinesi e fra il 1724 e il 1894 ne ospitò 105. La permanenza di costoro contribuì certamente – come intitola Michele Fatica alcuni suoi lavori – "alla conoscenza della lingua sinica in Europa e in Italia" e a fare di Napoli una "sede di scambio culturale tra Cina e Italia nei secoli XVIII e XIX". Non meraviglia che Napoleone vagheggiasse di trasferire il collegio in Francia. Fra l'altro, ben sapeva che i due cinesi del collegio napoletano avevano egregiamente servito all'ambasceria di Lord Macartney, come non aveva mancato Sir George di riconoscere al ritorno con grandi parole di lode sia per gli interpreti e sia per il Collegio.
Purtroppo anonimi sono rimasti almeno fino ad oggi i tanti cinesi che, imbarcati sulle navi delle Compagnie delle Indie Orientali, dal Seicento al primo Ottocento, ebbero agio di soggiornare in qualche nazione europea e forse prodigarsi per fare conoscere la loro nazione. Ad alcuni di loro – questo si sa - sono attribuiti importazioni e allevamenti di primi cani cinesi fatti conoscere da noi. Ma, per saperne forse i nomi, occorrerebbe scartabellare negli archivi delle casate nobili soprattutto olandesi e inglesi che gestivano quei primi allevamenti di razze divenute oggi famose nel mondo.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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