di Adolfo Tamburello *
Napoli, 3 dic.- Dopo che i Portoghesi si affacciavano nell'Asia Orientale e in Cina dal primo Cinquecento, seguiti nella seconda metà del secolo dagli Spagnoli che si insediavano nelle Filippine, arrivavano all'Europa in volumi crescenti pepe e spezie, piante vive e secche, frutti, tuberi, radici, semi, di cui molti destinati a erbari e vivai, che, in via di collaudo, moltiplicavano le sperimentazioni di nuove culture e incroci. Le provenienze si moltiplicavano dal primo Seicento sia attraverso il missionariato cattolico e sia soprattutto per il tramite delle Compagnie delle Indie Orientali.
Era la volta del trapianto e della diffusione dell'arancio dolce, il Citrus sinensis per eccellenza. Si vuole che le prime piante le portassero, intorno al 1470, i Genovesi che le trovavano già acclimatate e produttive nel Levante, ma non è forse un caso che le arance prendevano il nome di «portogalli». Sembra che un primo arancio dolce cinese crescesse a Lisbona dopo il 1550 nel giardino di Dom João De Castro, negli anni precedenti viceré dell'Estado da India. In Italia, aranci dolci «della Cina» erano coltivati nei Giardini Vaticani e chiamati «aranci di Lisbona»; a Firenze crescevano per le cure del botanico Matteo Caccini. Successive varietà provenivano direttamente dalla Cina ancora nei secoli XVII-XVIII e oltre. Dal Seicento, era conosciuto e piantato anche il limo (Citrus aurantifolia), mentre solo successivamente arrivava il mandarino (Citrus reticulata).
Nei Giardini Vaticani, sotto il pontificato di Leone X, nel 1513, un terreno era riservato alle piante medicinali e l'iniziativa precorreva gli orti botanici delle Università, destinati a moltiplicarsi con i campioni di piante che affluivano da tutto il mondo di nuova scoperta. Sollecitavano comprensibili interessi prioritari le piante cui si annettevano proprietà curative. Nell'Università di Padova, su delibera del Senato Veneto, era istituita nel 1533 la prima cattedra di Lectura Simplicium (come "semplici" erano conosciute le piante medicinali).
Orti botanici ed erbari si spargevano in tutta Europa anche sull'esempio di Filippo II di Spagna. Il re inaugurava nel 1555 i giardini di Aranjuez e aveva al suo servizio un medico, Juan Fragoso, che si occupava specificamente di botanica dell'Asia orientale. Fra i naturalisti che rinnovavano gli studi figuravano Andrea Navagero e Antonio (Musa) Brasavola (1500-1555). Il primo, diplomatico, coglieva l'occasione di una missione in Spagna per rifornirsi di piante rare per il proprio giardino di Murano; il secondo, di professione medico ed erborista, anche lui collezionista di piante, le coltivava nel suo giardino presso Ferrara con la consulenza del portoghese Ludovico Amato, un medico giunto a Ferrara nel 1540. Nel 1549, l'Amato comprava una radice di "china" (Smilax glabra) portata da Portoghesi. Era il primo esemplare di pianta medicinale cinese ad arrivare in Europa la cui data è sicura. L'identificazione del rabarbaro (Rheum rhaponticum) come pianta della Cina era dovuta al botanico fiammingo Charles de L'Écluse (1526-1609): si trattava forse della varietà sino-tibetana del Rheum officinale. Fra le prime piante importate, ma non esclusive della Cina, era la Fritillaria imperialis, detta anche «Corona imperiale», coltivata in Italia dal 1553.
Il Brasavola, nella sua opera Examen omnium simplicium medicamentarum, misurava la distanza che separava i nuovi tempi dalla botanica classica, quale Dioscoride l'aveva compendiata nel I sec. d.C. nell'epitome del suo De materia medica descrivendo circa 600 piante. Il Brasavola registrava negli ultimi decenni l'acquisita conoscenza di circa un 99% di piante in più.
Seguiva dalla Cina e più in generale dall'Asia orientale la documentazione fornita dai missionari, a cominciare dall'agostiniano J. Gonzales de Mendoza e dal gesuita Nicholaus Trigault, con relazioni, piante vive e semi. Si distingueva per studi sistematici il gesuita polacco Michel Boym (1612-1659), che pubblicava a Vienna nel 1656 una prima Flora sinensis in latino, lasciando manoscritta anche un'opera di medicina, farmaceutica e agopuntura con traduzioni dirette dal cinese. Esimio botanico si rivelava Joachim Bouvet (1656-1730), uno dei gesuiti "matematici" inviati ai Qing da Luigi XIV. Quindi, nel 1743 padre D'Incarville spediva da Pechino e Macao una raccolta di semi, piante vive e 4050 disegni cinesi. A Lisbona era pubblicato nel 1790 la Flora cochinchinensis del gesuita portoghese J. De Laureiro, con la descrizione di 680 specie cinesi, specialmente di Macao.
Fra le specie che non erano in Europa fino all'inoltrata Età Moderna, figurava la magnolia, estintasi, non solo nel Nord Europa, ma anche nel bacino del Mediterraneo. Era riacclimatata solo dalla fine del Settecento con esemplari, sembra, di Magnolia liliflora e Magnolia stellata, provenienti dal Giappone. Un altro albero d'origine cinese, largamente diffuso in Giappone, da cui l'Europa lo conosceva, era il Diospyros kaki. La commestibilità dei frutti ne favoriva un vasto alligna mento, ma a differenza della Cina e del Giappone, non attecchiva l'uso di essiccarne i frutti, come ne rimaneva ignorato l'impiego industriale del succo per impermeabilizzare resti da pesca, carte e legni.
La camelia era l'albero che dava forse più problemi a essere riacclimatato in Europa. Il nome gli derivava da quello del gesuita ceco G.J. Kamel, il quale era stato nelle Filippine. Linneo ne onorava la memoria legandone il nome alla pianta per la prima volta da lui descritta. Le foglie della Camellia sinensis danno il tè; gli Inglesi facevano di tutto per crescerla in Gran Bretagna e ottenerne le preziose foglie la cui domanda saliva vertiginosamente dal secondo Seicento, ma l'Europa doveva accontentarsi della Camellia japonica, che forse gli Inglesi coltivavano dal 1739. La data è però in discussione, giacché il «Giardino Inglese» della Reggia di Caserta, voluto da Maria Carolina d'Austria, rivendica la prima pianta di camelia portata in Europa. Ora, il giardino nacque a opera del botanico Giovanni Andrea Graeffer, che Carlo Vanvitelli chiamava dall'Inghilterra nel 1782. Da Caserta, la camelia faceva la sua strada trionfale in Italia, prima nelle serre del conte Leopoldo Galli a Firenze, poi nel giardino milanese dell'insigne medico Luigi Sacco, patrocinatore della vaccinazione antivaiolosa. Sacco registrava nel 1793-1794 la fioritura della prima camelia «lombarda» e negli anni seguenti la riuscita di ben quattrocento varietà. Oggi, di camelie, se ne attestano migliaia di varietà sotto la supervisione di apposite "Società della Camelia" sparse per il mondo.
A Occidente della Cina, la Camellia sinensis attecchiva in India con molte altre piante originarie della Cina. Si vuole ne avesse titolo di merito il britannico Lord Macartney, che visitava la Cina nel 1793-94 a capo di una delle più famose ambascerie. Di ritorno da Pechino a Canton, non si faceva scrupolo di fare incetta di essenze arboree e altre specie floristiche da fare acclimatare almeno in India se non in Inghilterra. Nascevano così in India le prime piantagioni di tè "anglo-indiano", anche se in Inghilterra rimangono molti a giurare che in realtà il trapianto delle piantagioni di tè dalla Cina in India avvenne più tardi e fu dovuto a Robert Fortune (1812-1880), un botanico scozzese che aveva fatto tirocinio nei giardini reali di Edimburgo e di Chiswik. Nel 1842, Fortune era inviato in Cina per un primo viaggio esplorativo, cui ne seguivano altri tre anche per conto della Compagnia delle Indie inglese fino a quando questa restava operante. Fortune visitava la Cina in lungo e in largo e si tratteneva in Taiwan, raggiungendo infine nel quarto viaggio il Giappone, la cui flora pure studiava. Corrispondente del Gardeners' Chronicle e altri giornali, era autore di una serie di scritti, comprensivi di memorie ed esperienze di viaggio, diari, studi. A lui si attribuisce l'introduzione in Inghilterra di poco meno di duecento specie o varietà botaniche, di cui circa 120 al momento ancora ignote in Europa. In Giappone faceva un'ultima scoperta in fatto di agrumi, quella del cosidetto «mandarino cinese» o «giapponese», il kumquat (Citrus japonica) o Fortunella margarita, così chiamato in suo onore.
Intanto, dal Giappone tante altre piante d'origine cinese erano arrivate in Europa. I cerusici o medici della Compagnia olandese a Deshima, nel porto di Nagasaki, agguerriti in scienze naturali, curavano il prelievo di specie floristiche ancora sconosciute che raggiungevano Amsterdam come piante vive o semi. Molte erano d'origine cinese, ma una volta scoperte e classificate in Giappone, erano classificate sotto la denominazione di specie japonica. Molti materiali tornavano utili a Linneo per il suo Species plantarum, che appariva in prima edizione nel 1753.
Fra i naturalisti più famosi al servizio della Compagnia olandese figurava il tedesco Engelbert Kaempfer (1651-1716), il quale, fra l'altro, descriveva per primo la soia che dopo di lui cominciava a coltivarsi in Europa, pur occorrendo almeno altri due secoli prima che la coltivazione se ne diffondesse. Kaempfer, di ritorno in Europa, curava le cosiddette Amoenitates Exoticae; lo svedese Carl Peter Thunberg (1743-1828), che lo seguiva, era l'autore di una Flora Japonica e con lo stesso titolo appariva poi la grande opera successiva di Philipp Franz von Siebold (1796-1866).
Fra le essenze arboree ignote in Europa agli inizi del Settecento allo stato vivente era il Gingko biloba, una gigantesca gimnosperma di oltre 250 milioni di anni alta fino a quaranta metri. I suoi resti nel terreno la facevano classificare da noi fra le piante fossili e fu una sorpresa quando venne ritrovata in Giappone e poi in Cina allo stato vivente. Portata in Europa, era recuperata in vivai e trovava successiva diffusione come pianta ornamentale, prima che la scienza ne confermasse le proprietà cosmetiche e terapeutiche. La sua sopravvivenza in Cina e Giappone sembra fosse dovuta alle cure assidue che specialmente i monaci buddhisti prodigavano all'albero da secoli. Allo stato spontaneo sembra che la pianta sparisse anche in Asia orientale. In Europa era scomparsa durante il Quaternario antico o Pleistocene.
Nel 1881 appariva il Botanicum Sinicum di Emile Vasilievich Bretschneider (1833-1901), medico della Legazione russa a Pechino fra il 1866 ed il 1883. Era il sinologo che per primo affrontava lo studio sistematico della flora dell'Asia orientale e in particolare di quella sinensis sia di coltivazione sia di vegetazione spontanea, collazionandone generi e specie con l'ausilio delle fonti letterarie cinesi ed europee. Con la sua History of European botanical Discoveries in China (San Pietroburgo 1898, ristampa: Lipsia1981) forniva anche la prima storia del contributo europeo alla conoscenza del patrimonio botanico dell'Estremo Oriente.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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