di Adolfo Tamburello *
Napoli, 23 nov.- Alle piante cinesi o originarie della Cina sono dovuti molti mutamenti del nostro patrimonio botanico fin dalla preistoria.
Agli inizi dell'Olocene, l'era geologica attuale, intorno ai 15 mila anni or sono, la flora europea era rimasta falcidiata dai freddi dell'ultima era glaciale. Molte piante erano sparite, mentre le stesse o di specie affini erano sopravvissute a oriente della catena dell'Himalaya o ne erano nate di nuove, e alcune ripopolavano spontaneamente l'Europa o cominciavano a esservi portate dai luoghi d'origine o dalle regioni asiatiche ove si erano frattanto acclimatate. Dal XV secolo a.C. un contributo potevano darlo i Fenici con le loro navigazioni. Molte altre specie arrivavano in epoca greco-romana.
Non sappiamo se o quanto fosse fatto ricorso per il loro transfert al bonsai, come oggi conosciamo con nome giapponese il sistema di miniaturizzazione delle piante. Il pen-cai (letteralmente «piante in vaso»), da cui il Giappone lo ereditava, era antico in Cina e alleviava il trasporto di arbusti ingombranti o grossi tronchi. Una volta che la pianta era rimessa nel terreno, cresceva riprendendo le sue dimensioni. Era una tecnica praticata in Egitto e nei grandi imperi orientali, da cui forse la Cina la conosceva.
Fra gli alberi da frutto originari forse della Cina, se non dell'India, come alcuni botanici presumono, gli agrumi si affacciavano nel Mediterraneo almeno dagli ultimi secoli a.C. Il cedro (Citrus medica, dal nome della "Media") lo menzionava già Teofrasto sia pure come pianta ancora esotica conosciuta da Babilonia e dalla Palestina. Alberi ne crescevano in Italia al tempo di Virgilio (70-19 a.C.), ma il loro allignamento risaliva forse al secolo dopo quando Dioscoride e Plinio li descrivevano. È dibattuto se dalla fine del I secolo a.C. anche l'arancio amaro (Citrus aurantium) e il limone (Citrus limon) provenissero attraverso il Mar Rosso e fossero coltivati nel Mediterraneo almeno dal secolo IV d.C.
Fra le piante orticole, originario della Cina era il romolaccio o ravanello (Raphanus raphanistrum o sativus), conosciuto e coltivato nel Mediterraneo antico insieme col cetriolo (Cucumis sativus) di origini himalayane e cinesi. Fra le piante da semi, il sesamo (Sesamum orientale o indicum) risulta coltivato già in età romana.
Altre specie di piante da frutto provenienti sia pure alla lontana dalla Cina erano quelle del giuggiolo (Zizyphus sativa e jujuba), dell'albicocco e del pesco, portate nel Mediterraneo forse già dai tempi di Alessandro Magno e quindi forse pure conosciute da Greci e Romani. L'albicocco (Prunus armeniaca o Armeniaca vulgaris) era successivamente diffuso dagli Arabi, come ne suggerisce il nome italiano con l'al iniziale; il pesco (Prunus persica vulgaris) manteneva nel nome la sua ultima provenienza persiana, ma si vuole fosse anch'esso originario della Cina, come del resto gran parte, se non la totalità del genere Prunus, cui appartengono il susino (Prunus cerasifera, Prunus spinosa), il ciliegio (Prunus avium, Prunus cerasus), il mandorlo (Prunus amygdalus o Amygdalus communis) e il Prunus ornamentalis, quest'ultimo comprensivo a sua volta delle Rosaceae e della Rosa, conosciuta e coltivata già dagli Egizi e dai Greci e apprezzatissima dai Romani per le sue essenze e i suoi olî, usati per profumi e unguenti.
Controversa è l'acclimatazione del gelso, che i Romani chiamavano Morus e degustavano come frutto. Dela pianta esistono due specie di alberi o arbusti, la nigra e l'alba, sotto varietà sia selvatiche sia coltivate. Si ritiene, ma mancano dati certi, che la prima specie acclimatata nel Mediterraneo fosse la nigra, la quale precedette l'alba anche per la bachicoltura. Il gelso bianco è quello tradizionalmente usato dai Cinesi e si dà trapiantato in Occidente proprio con l'inizio o lo sviluppo della produzione della seta, quando cominciarono a essere operati anche innesti della specie alba sulla nigra. Un'enigmatica testimonianza proveniente da Pescia identifica in un viaggiatore di ritorno dall'Oriente nel 1434, Francesco Bonvicino, colui che «primum exoticam mori plantam in suam patriam advexit».
Il gelso bianco, originario della Cina o dell'India, a differenza del moro, provenuto direttamente forse dalla Persia, trovava le coltivazioni più sistematiche per i bachi in Sicilia e Campania.
Contestualmente con la sericoltura si completava nel Mediterraneo una sorta di "ciclo agrario cinese" con la coltivazione del riso in campi allagati. Del riso aveva già parlato Teofrasto (372-287 a.C.), e si sa che era apprezzato come prelibatezza esotica, forse dell'Africa (con la specie dell'Oryza amylata), ma senza coltivarlo e senza forse conoscersi ancora la più pregiata Oryza sativa, originaria dell'Asia orientale.
Nel Reame di Napoli, furono gli Aragonesi (1282-1516) a patrocinare la risi¬coltura, probabilmente dopo che gli Arabi l'avevano con successo collaudata nella penisola iberica. Sappiamo pure che «il riso della Sicilia, in piccole partite, raggiunge nel Quattrocento Napoli per il consumo della corte».
Il riso prodotto in Italia è l'Oryza sativa japonica, una varietà così chiamata molti secoli dopo e niente affatto nipponica. Fu solo originariamente scoperta in Giappone e così chiamata come tanta altra flora japonica. Diventò un cereale importante per la vita economica della penisola dal XV secolo. La prima data che ne registra la coltivazione è quella del 1468. In merito a un reperto d'epoca anteriore, leggiamo che «L'unico ritrovamento archeobotanico più antico, del XII secolo a Pavia, sembra essere relativo a scarti di materiale importato» (Castelletti, 1978).
Col Medioevo, Arabi o Bizantini, o tutti e due insieme, accasavano nuove specie di agrumi, compreso eventualmente il menzionato limone. In Cina era conosciuto un limeng o limung. Sembra comunque che fosse ora la volta del pompelmo (Citrus grandis o Citrus maxima). In Sicilia estesi agrumeti di aranci amari, cedri e limoni, magari con pompelmi, erano impiantati almeno dal secolo X. Nel secolo XII ne riferiva Ugo Falcando, normanno di Sicilia, nella sua Historia Regni Siciliae.
Un vuoto di notizie riguarda le piante che poterono essere portate direttamente dalla Cina in Europa dai viaggiatori medievali, Marco Polo compreso. Il Milione diffondeva prime informazioni di fonte diretta sulla ricchezza della vegetazione cinese e faceva in ogni caso conoscere specie floristiche che prima o dopo sarebbero state oggetto di coltivazione in Italia ed Europa anche come piante officinali. Emil Vasilevich Bretschneider ne dava un ragguaglio alla fine dell'Ottocento sulla scorta del commento di Henry Yule all'opera di Marco Polo.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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