QIU XIAOLONG:
di Emma Lupano
Milano, 09 mag. - «Era uno dei rappresentanti del "nuovo maoismo"», dice di Bo Xilai lo scrittore Qiu Xiaolong, e fin qui tutto normale. «Si credeva il successore di Mao, e come Mao, che si credeva un imperatore con un mandato del Cielo, portava anch'egli avanti questo sogno imperiale», aggiunge però Qiu.
È aspro e netto il giudizio sull'ormai ex segretario del partito di Chongqing espresso dal giallista e poeta, già professore di letteratura cinese che vive a Saint Louis, Missouri, dal 1988. Alla figura di Mao, Qiu Xiaolong, originario di Shanghai, ha dedicato il suo ultimo libro, mettendone in luce vizi e spregiudicatezza. E collocandosi ben lontano dalle verità ufficiali post anni Settanta, per cui "l'operato di Mao è stato per il 70 per cento buono, per il 30 per cento cattivo" e per cui "il Presidente ha commesso alcuni gravi errori agendo in buona fede".
«Non sono ambivalente nei confronti della figura di Mao: la mia valutazione è negativa, e solo negativa», dice lo scrittore, senza giri di parole. C'era da aspettarselo, forse, da un intellettuale cresciuto negli anni della Rivoluzione culturale in una famiglia "nera" perseguitata dalle guardie rosse. E c'era da aspettarsi che la scelta di chiamare in causa il Grande Timoniere in un romanzo giallo non fosse casuale.
Nella "Ragazza che danzava per Mao", l'ispettore Chen Cao, della polizia di Shanghai, si trova alle prese con un caso speciale in cui le conseguenze delle azioni compiute in passato da Mao producono dolore e morte anche nel presente. Per Qiu, questo è un fenomeno che non si limita affatto alla sfera della finzione narrativa: l'ombra del Grande Timoniere, afferma l'autore, è presente anche nell'attualità politica reale. Proprio come dimostrano personaggi alla Bo Xilai.
Qiu Xiaolong, perché, oggi, un libro che chiama in causa Mao?
Ho scritto questo libro perché da almeno 15 anni il governo cinese non vuole che la gente parli di Mao o della Rivoluzione culturale. Il risultato è che qualcuno ha cominciato a sentire nostalgia per quel periodo. Per me era importante raccontare che uomo era Mao, mostrando che molti dei problemi di oggi sono dovuti a lui e che la sua ombra si allunga sul nostro presente. Mi preoccupa questo revival maoista, cominciato da persone che non sanno molto di Mao e della Rivoluzione culturale.
Da cosa nasce questa nostalgia?
Le ragioni di questo sentimento sono complicate. Dipendono dalla forbice sociale sempre più ampia che divide i ricchi e i poveri nel paese e dalla corruzione dei funzionari di partito che sta ormai diventando fuori controllo.
Bo Xilai è stato uno dei protagonisti del revival maoista. Chi è Bo Xilai?
Bo Xilai era uno dei rappresentanti del nuovo maoismo e, dopo una rapida ascesa politica, era arrivato ai vertici, si diceva fosse ormai il numero 8 o 9 del partito e ci si aspettava che raggiungesse a breve la vetta. Con i colpi di scena degli ultimi mesi e con le accuse rivolte a lui e alla moglie, il suo caso sta diventando proprio una storia da giallo: naturale che mi interessi. In realtà, io sono stato suo compagno di studi all'Accademia cinese delle scienze sociali, negli anni Ottanta. Mi ricordo di lui non tanto perché faceva parte di una famiglia politicamente importante, ma perché un giorno giocammo a ping pong. Gli prestai la mia racchetta, non me la diede mai indietro.
Cosa da ragazzi.
In realtà non sarebbe bastato l'episodio della racchetta a farmi ricordare di lui. È quanto ha fatto a Chongqing ad avere attirato la mia attenzione. Uno dei movimenti lanciati da Bo invita a "schiacciare il nero e cantare il rosso". Il "nero", a Chongqing, era il crimine organizzato, il "rosso" le canzoni rivoluzionarie del periodo di Mao. Ma un movimento del genere non può passare inosservato a chi, come me, è stato un "cucciolo nero". Durante la Rivoluzione culturale i "neri" erano i reazionari da combattere e mio padre fu etichettato come tale a causa di una piccola attività commerciale che aveva prima del 1949. Una volta era in ospedale per una operazione agli occhi e, quando era ancora tutto bendato, le guardie rosse lo visitarono esigendo che scrivesse subito un'autocritica. Dovetti andare io all'ospedale a scriverla per lui, e dovetti poi fargli da stampella umana per sorreggerlo quando, ancora debilitato, pretesero che rimanesse in piedi sotto il ritratto di Mao, mentre i suoi aguzzini intonavano delle canzoni rosse. Ecco perché diffido del revival maoista, che mi ricorda quelle esperienze umilianti, e perché non sono ambivalente sulla figura di Mao. Anche se, ironicamente, credo di aver cominciato a guadagnare una certa sicurezza nel mio stile di scrittura proprio grazie alle autocritiche di mio padre. Ne scrissi così tante e, vedendo che venivano approvate, cominciai a pensare che qualcosa dovevano pur valere.
Nel libro il partito sembra pronto a difendere l'integrità dell'immagine di Mao con ogni mezzo. E nella realtà?
Le atrocità causate alla Cina e ai cinesi da Mao, come quelle seguite al Grande balzo in avanti, che provocò più di 13 milioni di morti, sono riconosciute dalla leadership di Pechino solo in modo semi ufficiale. Il fatto è che Mao è ancora visto come il fondatore del partito comunista cinese; la sua foto campeggia ancora sulla porta della Città proibita, in piazza Tian'anmen. Se si ammettessero tutti gli errori che ha compiuto, che ne sarebbe del partito? Ecco perché i libri di storia cinesi parlano delle canzoni maoiste, delle sue grandi campagne, ma non si soffermano sulla Rivoluzione culturale, se non per ammettere rapidamente che "Mao ha fatto degli errori in buona fede". È perché molti cinesi ancora non sanno quello che davvero è successo in Cina in quegli anni che ho scritto questo libro.
La storia narrata nel suo libro prende spunto da vicende realmente accadute.
Quando esplose la Rivoluzione culturale avevo 12 anni. All'improvviso, una notte, un gruppo di guardie rosse, senza alcun tipo di mandato e senza alcun appoggio da parte della polizia, vennero a casa nostra per cercare "evidenze criminali". La loro ricerca durò tre giorni, in cui portarono via tantissime cose. Allora non capivo che cosa stesse succedendo. Comunque la mia famiglia non ha avuto il peggio. Vidi situazioni molto più tragiche, come quella che racconto nel mio libro, che prende spunto da una storia reale. Mao davvero andava a Shanghai a ballare con una donna con cui ebbe naturalmente una relazione. Durante la Rivoluzione culturale la nuova moglie di Mao, Jiang Qing, potentissima, prese a perseguita quella donna che era stata amante del presidente. Nessuno sa se alla fine la donna si suicidò gettandosi dalla finestra o se furono le guardie rosse a spingerla fuori.
Foto: copertina del nuovo romanzo di Qiu Xiaolong "La ragazza che danzava per Mao", edito da Marsilio
Emma Lupano, giornalista professionista e dottore di ricerca sui media cinesi, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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