Di Adolfo Tamburello
Napoli, 04 ott. - Qianlong aveva detto bene a Macartney che un ambasciatore a Pechino come supervisore agli affari di Canton (che erano quelli che a tutta apparenza interessavano di più il lord inglese) era perfettamente inutile per la distanza che separava le due città, ma non aveva colto per sé il bisogno di più stanziali permanenze al sud per rendersi conto delle nuove realtà che viveva la Cina. Gliele avrebbero suggerite anche i ripetuti viaggi se non fosse stato preso dall'incremento degli autoritratti, le collezioni e l'assillo dell'ordine pubblico. Era la vecchia economia del paese che veniva rapidamente guastandosi ed era quella la vera condizione della pace sociale. L'agricoltura di piantagione (del tè, del cotone ecc., persino dell'oppio) andava a detrimento di quella dei generi alimentari e questi o diminuivano sul mercato o erano soggetti a rialzi di prezzi se importati. Di più, le piantagioni costituivano latifondi accaparrati da piccoli poderi, i cui vecchi possidenti o fittavoli davano ora la manodopera come braccianti. Si sfaldava il tessuto sociale della Cina, che tanto fino a Yongzheng era stato salvaguardato.
La Cina, quella centrale e del sud, entrava ora di peso senza saperlo in una rete commerciale mondiale che si allargava fino all'America, e l'impero Qing, pratico di baratti o scambi di doni e ormai sensibilizzato alla tradizione cinese del tributo, era impreparato a entrarvi senza esserne irretito.
Qianlong si esibiva, intendeva mostrarsi in tutto un sovrano "cinese", ma rimaneva che da Pechino appariva un khan mancese intento all'espansione dell'impero. Come khan lo riverivano i sudditi mongoli, tibetani e turchi; come khan venivano detestandolo i cinesi e le minoranze all'interno di quella che diventava la Cina nella sua dilatazione.
I Ming erano stati accorti ai loro tempi a spostare la capitale principale a Pechino che rimaneva ancora strategica sotto i Qing e non avevano mancato di tenersi una capitale nel cuore della Cina che i Qing avevano invece distrutto come tale. Avevano giustamente fatto di Shenyang (Mukden) la loro capitale secondaria a guardia dei russi, ma avevano mal valutato superflua una sede governativa al sud confidando nell'autocrazia che i loro sovrani intendevano imporre; con Yongzheng era già venuto meno un sovrano bifronte, e gli occhi di lui erano stati ben fissi pur da Pechino più sulla Cina che non sulle dipendenze esterne; al contrario Qianlong, che trovava un impero relativamente florido e poteva investire su una capitale sussidiaria al sud, usava da Pechino la Cina per i costi di un impero sempre più esteso e da diarca con Heshen per spalmarla di abusi e dissoluzioni dell'ordine.
Il figlio Jiaqing non era più in grado di affrontare i costi di un governo di sussidio al sud e rimaneva a Pechino come Qianlong disinformato. Dava inoltre tutta l'impressione di pagare i conti per la diarchia sino-mancese realizzata a livello burocratico (civile e militare) dai suoi avi quando improvvisavano un governo della Cina. La burocrazia mista si era mantenuta ed era cresciuta dell'elemento cinese, ma rimaneva ora inadeguata all'aumento della popolazione che si era avuto per incremento demografico e assemblaggio di nuovi popoli per conquiste e annessioni. La componente cinese vi era diventata sparuta per non soverchiare quella mancese e rimaneva affiancata da questa negli alti gradi da mancesi privi in genere delle competenze di gestione di uno stato agrario-mercantile e proto-industriale.
Leggo nell'ancora recente Storia della Cina di J.A.G Roberts (della Newton Compton) che negli esami di concorso alla capitale del 1799 "a 220 aspiranti fu accordato il grado di jinshi. I più promettenti furono nominati all'Accademia Hanlin di Pechino. Il numero totale di funzionari cinesi era all'incirca di 20.000 e degli ufficiali militari di circa 7000. Dei primi più o meno la metà faceva parte della corte e l'altra metà prestava servizio nelle province". Dunque una burocrazia pletorica ai vertici e smunta alla periferia. Necessariamente Jiaqing come già Yongzheng doveva ricorrere alla vendita delle cariche pubbliche per infoltirla di ausiliari fuori dei quadri. Formavano una classe impiegatizia che si aggiungeva ad altri precari o volontari (retribuiti) di assunzione locale, parte dei quali a titolo di personale privato assorbito fra l'altro dall'interpretariato fra idioma locale e lingua di Pechino (vera o presunta) del funzionariato imperiale. Il censorato con le sue mansioni ispettive quando onestamente esercitate interveniva per le più lampanti malversazioni, e digiuno delle realtà locali, esposto al continuo raggiro. La burocrazia di carriera non lo era di meno e neppure dotata d'obbligo di competenze tecniche e amministrative reclutata com'era fra letterati, pochi dei quali con studi e doti di funzionari, e solo in genere più di quelli mancesi familiari con dighe, ponti, argini, strade, città e villaggi.
La corruzione come male cronico delle burocrazie infettava sempre più già da Qianlong entrambe le burocrazie (cinese e mancese), e tanto più quella locale composta anche di elementi di tante minoranze non han (miao, yao, tibetane ecc.). La burocrazia militare (in maggioranza mancese) era più direttamente responsabile del degrado economico e sociale delle bandiere, e i corpi militari vivevano mal nutriti e altrettanto male equipaggiati di uniformi e armi. Le armi da fuoco, che pure erano state un'invenzione cinese, erano rimaste giocattoli per bambini rispetto a quelle europee.
Jiaqing era un sovrano molto impegnato nel lavoro, molto economo ma non economista, restio a misure fiscali maggiorate per l'aumento della produttività delle industrie, dei commerci e per i redditi molto elevati delle popolazioni più abbienti. La volontaristica "riforma di Jiaqing" appare oggi per quanto riguarda il lato finanziario come il tentativo di una "restaurazione" dei tempi di Kangxi e Yongzheng, vecchia dunque di circa cent'anni, piuttosto che il progetto innovativo di ricostituzione di un tesoro della corona e di un erario rimpinguati all'oggi sulla base delle cresciute rendite imprenditoriali, commerciali e delle professioni private, settori sui quali era certo difficile anche allora mettere le mani. La mappa illuminante della vera Cina economica per scopi di politica tributaria mancava alla ragioneria centrale di Pechino. È vero che il grosso apparente dell'evasione fiscale era delle burocrazie che dai distretti alle prefetture alle province rimettevano quote molto decurtate delle entrate tributarie, ma è anche vero che il "cestino" fiscale rimaneva troppo minuscolo.
Di lettura recente, sembrerebbe che il fallimento dell'ambasceria di lord Amherst del 1816 non fosse dovuto tanto al rifiuto al kotou anticipato dal diplomatico britannico quanto alla circostanza che la Compagnia inglese delle Indie Orientali era in quell'anno impegnata in una guerra col Nepal recente tributario dell'impero Qing. Se vero questo, vuol dire che Jiaqing aveva voluto soffrire in solitudine la propria indignazione piuttosto che estrinsecarla a un "rappresentante di commercio" quale sostanzialmente doveva considerare lord Amherst emissario della Compagnia delle Indie. Perdeva però l'occasione, come Qianlong l'aveva persa con Macartney, di cominciare a mettere sul piatto e trattare del presente e dell'avvenire del proprio impero anche scambiandosi informazioni e consigli.
Moriva in circostanze misteriose nel 1820.
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