Oltre sei anni di conflitto civile, l'economia al collasso e la conseguente crisi umanitaria sono solo alcuni dei fattori che affliggono il Sud Sudan. In molti, tuttavia, sperano che si possa raggiungere l'accordo per la formazione del governo di unita' nazionale. Intanto a pesare sono le affermazioni dei protagonisti.
Riek Machar, ex leader dei ribelli, ha accettato di formare un governo di unità con il presidente Salva Kiir entro la scadenza di sabato. Questo sembra essere un passo importante e il risultato dei colloqui che si sono tenuti oggi. "Abbiamo avuto un incontro con il presidente sulle questioni in sospeso. Abbiamo deciso di formare il governo il 22 febbraio, ha affermato Machar.
Kiir, dal canto suo, ha confermato l'accordo. "Abbiamo deciso di formare il governo", ha detto dopo l'incontro, aggiungendo che nominerà Machar come primo vice presidente venerdì. "Tutti i membri dell'opposizione riceveranno protezione", ha aggiunto. "E se ci sono cose su cui non abbiamo concordato, abbiamo deciso di risolverle. Le finalizzeremo nei prossimi giorni".
Sabato, dunque, dovrebbe essere il giorno della svolta per un giovane paese in perenne stato di conflitto. Il condizionale è d'obbligo perché - nonostante gli accordi di pace siano stati siglati nel 2018 - la formazione di un governo di unità è sempre stata rimandata. Ora, però, la popolazione spera che davvero si arrivi alla formazione di un esecutivo e che si possa aprire un periodo di pace.
Da pochi giorni sono rientrati in Italia Guglielmo Micucci, direttore di Amref Health Africa-Italia, e Sara Del Debbio, operatrice Amref, e ci raccontano le loro sensazioni ed esperienze in Sud Sudan. Un nodo da risolvere è quello del numero degli Stati. La Costituzione sudsudanese parla di 10 Stati ma, nel 2015, il presidente Salva Kiir ha sancito una nuova divisione del territorio, istituendo 28 Stati, per poi farli diventare 32 nel 2017.
Tuttavia, queste decisioni non sono passate da una riforma della costituzione e, per questo motivo, nuovi conflitti stanno attualmente emergendo tra coloro che desiderano tornare alla conformazione originale, e quei neo-Stati che non intendono rinunciare alla propria autonomia. C'è chi ritiene che questa questione ancora irrisolta non sarà motivo di disfacimento del lungo processo di pace e chi, invece, non nutre più speranze.
Dati e numeri
Crisi politica, una guerra civile che in sei anni ha causato morti e una catastrofica emergenza umanitaria, affliggono il giovane Sud Sudan. Dall'inizio del conflitto, nel 2013, molte persone sono state sradicate dalle loro case, sfollate all'interno del Paese o in insediamenti di rifugiati negli Stati vicini.
Tra il 2013 e il 2017, più di mille bambini sono stati uccisi o feriti, mentre più di 75 mila hanno attraversato i confini del Sud Sudan non accompagnati (UNHCR/UNICEF, 8 maggio 2017) e sono rifugiati in Uganda, Kenya, Etiopia, Sudan e Repubblica Democratica del Congo.
L'assistenza sanitaria del Paese è tra le peggiori del mondo - fornita, per l'80%, dalle ONG, non dallo Stato - con polmoniti e bronchiti che uccidono oltre 15 mila sud sudanesi l'anno. Seguono HIV e AIDS (14.400 vittime), diarrea (8.600), malaria (5.900).
Le testimonianze di Amref Italia
"Il 22 febbraio saremo tutti lì, a sostenere un popolo che può farcela. Noi saremo al fianco della gente, come dal 1972" sostiene Gugliemo Micucci - direttore di Amref Health Africa-Italia. "Nei giorni della mia permanenza in Sud Sudan, ho visitato laboratori sanitari e ospedali pieni di pazienti, ma scarni di personale sanitario. Desolante, se non fosse che giorno dopo giorno abbiamo incontrato operatori sanitari sud sudanesi che abbiamo formato dal 1998 e che oggi occupano anche ruoli chiave del Ministero della Salute o di uffici di prevenzione delle malattie cosiddette 'neglette'. In quegli incontri abbiamo riscontrato un barlume di speranza che vogliamo continuare ad alimentare. Una speranza solida. Fatta di competenza e lavoro. Una speranza che siamo certi contribuirà alla riconciliazione di un popolo martoriato ormai da troppo tempo. La nostra non è solo una risposta sanitaria, ma per la pace, visto che da decenni sud sudanesi di etnie diverse - che spesso sono in lotta - studiano fianco a fianco negli istituti che sosteniamo, per migliorare la salute del loro Paese".
Dal 1998, Amref supporta il Maridi Health Science Institute che, ad oggi, ha formato circa l'80% dei quadri sanitari intermedi che operano in Sud Sudan. L'organizzazione è impegnata a sostenere questa area dal 1972. Nel 2013, a Maridi, Amref ha avviato la prima scuola femminile di scienze dell'intero Sud Sudan.
L'impegno continua con la formazione di promotrici dell'igiene e di operatori sanitari, costruzione di nuovi pozzi e latrine, e con l'attivazione di scuole per allevatori e coltivatori.
"Voglio pensare che, stavolta, possa vincere il volere del popolo che non ha piu' le forze di stare in una guerra che non lo sta portando da nessuna parte, se non a sofferenza e distruzione", spiega Sara Del Debbio, operatrice di Amref, in viaggio con Micucci in Sud Sudan. "Questa non è la guerra per l'indipendenza, quella l'hanno già fatta e l'hanno già faticosamente e orgogliosamente vinta".
Ora i Sud Sudanesi hanno voglia di vivere, non più di versare sangue. Più guerra, più povertà, più povertà, più guerra. Un circolo vizioso da cui il Sud Sudan non riesce a scappare. "È impressionante il ruolo vitale dei tanti attori come Amref che, cooperando tra loro, hanno tessuto negli anni una rete di servizi per garantire la sopravvivenza di questo popolo," continua la Del Debbio.
Tutte le persone coinvolte nella crisi sud sudanese meritano un domani degno di essere chiamato futuro. In molti sperano che questa sia la volta buona, che questa volta funzionerà.