La Costa d’Avorio è il quarto paese per provenienza dei migranti che sbarcano sulle coste del Mediterraneo, in particolare in Italia. Un paese, dunque, tenuto “sotto osservazione” dall’Unione Europea per arginare i flussi migratori. Un paese, tuttavia, che ha un alto tasso di crescita, che si avvicina alle due cifre. Dopo una contrazione del 4,7% nel 2011 (dovuta alla crisi politica e alla guerra) dal 2012 la performance economica della Costa d’Avorio ha registrato una crescita pari all’8,5%, superiore alle previsioni, confermate anche per il 2017. Un paese che, se si considerano questi numeri, fa invidia a molti paesi europei. Il 70% della popolazione ha una qualche occupazione nel settore agricolo.
La Costa d’Avorio, infatti, è il maggior produttore e esportatore mondiale di caffè, semi di cacao e olio di palma. E’ ricco, inoltre, di grandi quantità di minerali: diamanti, manganese, nichel, bauxite e oro, oltre alle recenti scoperte di giacimenti di petrolio. Il mogano è il principale legname destinato all’esportazione. Un paese destinato, dati questi elementi, a una crescita costante. Ma allora perché si fugge dalla Costa d’Avorio? Il paese è popolato da 22 milioni di abitanti e il 50% di questi ha meno di 35 anni. Le ragioni della fuga occorre andarle a cercarle proprio in questa fascia di popolazione. Di questo, e molto altro, ne abbiamo parlato con Alessandro Rabbiosi responsabile per Terre des Hommes Italia in Costa d’Avorio. L’ho incontrato nella sua casa di Grand Bassam, antica capitale coloniale, affaccia sull’Oceano Atlantico a pochi chilometri da Abidjan.
“Innanzitutto bisogna chiarire che vi è un dibattito aperto sulla questione – spiega Rabbiosi -. Le autorità ivoriane non riconoscono, anche con une certa ragione, che tutte queste persone siano ivoriani. Io penso che il nocciolo della questione sia tutto nel fatto che molti degli arrivati possono essere effettivamente partiti dalla Costa d’Avorio senza necessariamente essere ivoriani. Il problema dell’identità reale dei migranti clandestini è quindi centrale. Certo che la progressione degli arrivi di chi dice di provenire dalla Costa d’Avorio è assai impressionante. Bisogna anche riconoscere che le autorità attuali non cercano comunque di nascondersi dietro un dito e sono coscienti della problematica, come dimostrano le numerose iniziative del Ministero dell’Integrazione Africana e Ivoriani all’Estero e gli sforzi del Ministero della Promozione dei Giovani, Impiego e Servizio Civile che puntano a proporre alternative e opportunità, purtroppo non sempre colte e recepite dai destinatari”.
Diverse, dunque, le ragioni che spingono migliaia di giovani a lasciare il paese. “Una delle ragioni della fuga – dice Rabbiosi – oltre al richiamo dell’Eldorado europeo è certamente l’aspetto economico, anche se, a mio parere, non il più rilevante. Chi tenta la via dell’Europa lo fa spesso per mancanza di fiducia nel sistema paese in generale. Può sembrare anche ingratitudine ma è un po’ questo che emerge dalle discussioni e dai confronti con potenziali migranti clandestini. La gente, i giovani in particolare, non vedono prospettive concrete, hanno la percezione di vivere in un paese senza sbocchi concreti, incapace di soddisfare le loro ambizioni. Che questa percezione sia reale o meno ancora non lo posso affermare, certamente esiste ed incide”.
Dalla capitale Abidjan, per partire occorrono tra i 1200 e 1300 euro, e solo per iniziare il viaggio verso la Libia. Cifre, tuttavia, che non tutti si possono permettere. Nonostante ciò ogni anno partono tra le 15 e le 16 mila persone. Per la Costa d’Avorio, questo esodo, ha ricadute sull’immagine che il suo presidente Alassane Ouattara cerca di costruire. Anche in occasione dell’Expo del 2015 ha invitato gli ivoriani presenti in Italia a far ritorno nel paese, promettendo lavoro e prospettive concrete. Appello che, però, è caduto nel vuoto, visto il costante esodo. “Queste partenze – continua il delegato di Terre des Hommes – rappresentano un sentimento di sfiducia generalizzato verso il sistema Continente. Si parte per questo, piuttosto che per la mancanza di lavoro. In molti, anche tra quelli che partono, un lavoro lo hanno, ma qui gli sembra di vivere inutilmente. Quelli più poveri, spesso, dicono: se mi garantiscono un salario minimo più alto (attualmente è di circa 100 euro al mese) io rimango. L’ambizione è più bassa e quindi un aumento del salario minimo soddisferebbe le sue ambizioni. Chi, invece, ha investito nell’istruzione, il sistema non offre soddisfazione o prospettiva e quindi vuole tentare la sorte”.
Un nodo, non da poco, è il contenzioso tra le autorità dello stato africano e quelle dell’Unione Europea sulla provenienza. “Questo, come ho già accennato, è un problema serio – racconta Rabbiosi -. Quando arrivano in Europa dichiarano di essere ivoriani. Ed è così, anche se le loro origini sono del Burkina Faso, del Niger o del Mali. Magari sono nati in Costa d’Avorio, magari vi sono residenti da generazioni ma, spesso, non hanno documenti. Quindi, se si vuole trovare un equilibrio, la ragione sta nel mezzo. E’ vero che le loro origini, quelle familiari, non sono della Costa d’Avorio, ma loro nel paese d’origine può anche essere che non ci abbiano mai messo piede”. Va anche detto che per lo Stato ivoriano il fatto che lascino il paese non è un problema ancora urgente, vista la bassa età media della popolazione. Per l’Europa, invece, è un problema enorme. E, allora, cosa fare per arginare le partenze e diminuire la pressione sulle coste del Mediterraneo?
“Innanzitutto bisogna capire il profilo di chi cerca di partire e le vere ragioni di queste partenze – sottolinea Rabbiosi -. Questo è fondamentale per mettere in campo progetti di sviluppo che rispondano per davvero alle esigenze della popolazione. Con la consapevolezza, tuttavia, che solo programmi di lungo termine possono incidere sul fenomeno. Soldi distribuiti a pioggia potrebbero anche non servire a nulla. Non bisogna ragionare sull’emergenza ma sullo sviluppo sostenibile e di lungo periodo. Molti donors occidentali stanno riducendo l’impegno verso settori d’interesse sociale come quelli della sanità, della scuola, dell’educazione e formazione professionale in generale, anche se con alcuni distiguo. Settori fondamentali per la crescita del paese, e che potrebbero creare le condizioni per ridurre efficacemente il fenomeno della migrazione di clandestini. Per noi è più efficace, prima ancora di proporre misure sull’onda dell’emergenza, fare una diagnosi del fenomeno più approfondita”.
Ed è proprio quello che state facendo in collaborazione con il Dipartimento di scienze dell’educazione dell’Università di Firenze e con l’Università FHB di Abidjan: “Esattamente. A breve partiremo con un’indagine fatta su un campione di circa 1500 giovani, potenziali migranti, tutti residenti nella città più popolosa, Abidjan (6 milioni di abitanti). Poi si passerà alla elaborazione dei dati e quindi si capirà quali sono i profili specifici, le caratteristiche principali degli aspiranti migranti e le ragioni della voglia di andarsene, quali politiche dello Stato potrebbero essere meglio diffuse o rafforzate in maniera da ridurre la sfiducia. Questo per poter programmare un intervento mirato, concreto, vicino alla gente. Solo così possiamo capire come ridurre la tendenza alla mobilità. Sapendo le ragioni si possono elaborare risposte mirate e concrete. Questo ci consentirà di adattare la cooperazione al contesto attraverso progetti di più ampio respiro e di lungo termine. I dati, quando saranno elaborati e pronti, verranno presentati, pensiamo sia in Italia sia in Costa d’Avorio entro la fine dell’anno”.
L’importante è non alimentare una guerra tra poveri che si contendono una zolletta di zucchero, mentre c’è chi si prende tutta la scatola. Alessandro Rabbiosi sembra dirci che i risultati si vedranno sul lungo periodo e non certo nell’immediato. Lo schema proposto è questo: Europa-Ong-Costa d’Avorio. L’Ong diventa una sorta di intermediario tra i donors e lo Stato, proprio perché può presentarsi meglio come attore neutrale sia verso le popolazioni che verso le Istituzioni di entrambi i lati e, inoltre, negli anni ha appreso a conoscere il territorio e le sue problematiche e può quindi operare per far si che gli investimenti possano rafforzare le misure in corso o in via di definizione affinchè raggiungano il maggior numero possibile di persone e non finiscano dispersi nei meandri della burocrazia e della farraginosa gestione delle istituzioni.