Perché i migranti non sono ancora un'emergenza, ma potrebbero diventarla

Secondo un rapporto della Bill and Melinda Gates Foundation, entro il 2050 gli under 24 saranno 945 milioni ed allora la pressione sull’Europa diventerà una vera e propria emergenza

Perché i migranti non sono ancora un'emergenza, ma potrebbero diventarla
 (Afp)
 Migranti, sbarchi

I migranti rimangono un “problema” per l’Italia e per l’intera Europa. La paura cresce, l’insicurezza pure, ma è solo una percezione amplificata. Non esiste una vera emergenza. Il periodo storico che stiamo vivendo ci consiglia prudenza e buon senso, senza sottovalutare il problema. Ma impone all’Europa nel suo complesso di affrontare ciò che non è emergenza con misure di medio e lungo termine perché, altrimenti, l’emergenza arriverà per davvero e sarà travolgente.

E i dati sono tutti lì, inesorabili, a dimostrarlo. Secondo un rapporto della Bill and Melinda Gates Foundation, nel 2017 la popolazione dell’Africa sub-sahariana superava il miliardo, nel 2050 le stime dicono che potrebbe arrivare a superare i 2 miliardi e la quota delle persone che hanno come unico orizzonte quello di vivere sotto la soglia di povertà sarà dell’86% e questo grazie alla crescita demografica. Il rapporto, poi, spiega che Paesi dove la crescita demografica sarà un vero boom sono anche quegli Stati dove vivrà la più alta percentuale di poveri al mondo, circa il 40%. Si tratta della:

  • Nigeria dove la popolazione nel 2050 è stimata in 429 milioni di persone, di cui 152 sotto la soglia di povertà,
  • Repubblica democratica del Congo il cui territorio ospiterà circa 171 milioni di persone con i poveri stimati in 70 milioni.

Ma ancora. Nel 2017 i giovani tra gli 0 e i 24 anni erano circa 628 milioni, entro il 2050 saranno 945 milioni. Giovani senza alcuna prospettiva di futuro, stante ciò che il mondo sviluppato sta facendo per loro, cioè la retorica stucchevole di aiutiamoli a casa loro. Se prendiamo per buoni questi numeri, e non c’è ragione per non farlo, tra 10 o 20 anni la pressione sull’Europa diventerà una vera e propria emergenza, niente a che vedere con la paura e l’insicurezza percepita oggi, con flussi migratori imponenti.

Investire sull'indice di sviluppo umano 

Recentemente, in un’intervista al quotidiano “La Stampa”, Bill Gates ha spiegato che il futuro dell’Africa dipende dalla crescita della classe media. Niente di più vero. Ma gli investimenti, Occidentali e soprattutto della classe dirigente africana – che fino ad ora ha dimostrato una bulimia di denaro per sé, piuttosto che un reale capacità di redistribuzione della ricchezza con impegni seri per un’economia inclusiva – dovranno essere indirizzati non solo a fare crescere il Pil, ma anche l’indice di sviluppo umano.

Solo un esempio: la Costa d’Avorio registra un Pil che cresce a ritmi dell’8% ogni anno e un indice di sviluppo umano che cresce dello 0,003 e con il 40% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. E’ un esempio per dire che questi due indici dovrebbero crescere specularmente, invece ci si chiede dove va a finire la mole di denaro generata dalla crescita del Pil.

Perché i migranti non sono ancora un'emergenza, ma potrebbero diventarla

Quindi occorre superare la retorica dell’aiutiamoli a casa loro e farlo davvero con misure che devono impegnare l’Europa, e il mondo libero in generale, in programmi di medio e lungo termine, quindi non vincolati all’interesse immediato della politica e delle opinioni pubbliche. Per dirla in breve: un piano che non guardi alla prossima scadenza elettorale. Ma sembra che non sia così. E i sovranismi crescono proprio alimentando e soffiando sul fuoco della paura del diverso che alimenta le opinioni pubbliche. E i sovranismi cosa fanno: non accolgono, respingono e rifiutano i migranti, oppure, in una situazione data come quella dell’Italia, si inventano decreti che sanno molto di propaganda e che, per quello che si conosce, non faranno altro che far crescere la clandestinità. Vedremo. Di certo non fanno nulla perché i flussi migratori che si ipotizzano per un futuro prossimo non siano devastanti come si teme.

Cina primo partner commerciale dell'Africa

L’ex presidente del consiglio italiano, Romano Prodi, ipotizza, per fermare i flussi migratori, un’alleanza strategica con la Cina che, lo si voglia o non lo si voglia ha già, da tempo, invaso l’Africa. Prodi ricorda che la “Cina ha interessi molto forti in Africa per un motivo molto semplice. Ha il 7% delle terre arate del pianeta e il 20% della popolazione mondiale. Finché le persone erano rassegnate a soffrire la fame il problema non si poneva. Quando sono aumentati i consumi e le aspettative individuali e collettive, il governo cinese è andato a cercare cibo, energia e materie prime là dove poteva trovarle: in altri paesi dell’Asia, America Latina e in Africa”.

Secondo Prodi un accordo Ue-Cina per il governo dei flussi migratori dall’Africa ci “farebbe fare un enorme salto in avanti”, anche se capisce che “può sembrare un’utopia”. Non vorremmo, però, che a rassegnarsi a soffrire la fame continuino a essere le popolazioni africane. La Cina è il primo partner commerciale dell’Africa con un volume di scambi pari a 180 miliardi di dollari annui. E nell’ultimo vertice sino-africano a Pechino, la Cina ne ha promessi altri 60 di miliardi di dollari in investimenti. Chi ha girato il continente africano, come me, si è accorto che questi investimenti hanno avuto riscontro nella crescita del Pil, non certo dell’indice di sviluppo umano.

La Francia riceve ogni anno miliardi di dollari sotto forma di "riserve moetarie"

Perché ciò che interessa sono, appunto, le materie prime. L’Africa possiede il 30% delle risorse naturali dell’intero pianeta, il suo Pil vale il 3% di quello mondiale, ma conta meno della Francia dal punto di vista economico. La risposta francese al vertice sino-africano non si è fatta attendere. Il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian, ha annunciato che nel 2019 “un budget di un miliardo di euro sarà destinato alle donazioni, contro i 300 milioni di oggi”. Il direttore dell’Agenzia francese per lo sviluppo, Remy Rioux ha spiegato che il “budget a disposizione è passato da 8 miliardi di euro nel 2015 ai 14 miliardi previsti per il 2019”. Belle cifre, ma risposte di singoli Stati a problemi complessi, non solo economici ma, soprattutto politici, che affliggono l’Africa non possono avere l’impatto desiderato.

Perché i migranti non sono ancora un'emergenza, ma potrebbero diventarla

Occorre, tuttavia, ricordare, sempre per quanto riguarda la Francia che conserva ancora una forte influenza sui paesi sue ex colonie, che il 61% dei 67 colpi di Stato avvenuti negli ultimi 50 anni in 26 paesi africani ha avuto luogo in ex colonie francesi, come scrive Lorenzo Kamel sulla rivista Affarinternazinali,it, aggiungendo che “il 50% delle riserve monetarie di 14 Paesi africani sono ancora oggi sotto il pieno controllo di Parigi: nessuno di essi ha alcun controllo sulle proprie politiche monetarie e macroeconomiche”. La Francia, spiega ancora Kamel, “ottiene” ogni anno dai Paesi africani miliardi di dollari sotto forma di “riserve monetarie”, salvo poi prestare parte di quegli stessi fondi ai legittimi proprietari a tassi di mercato. Questi Paesi hanno come moneta il franco Cfa che è ha un tasso di cambio fisso con l’euro, garantito e controllato dal Tesoro francese, che decide se, come e quanto svalutare la moneta, all’occorrenza.

La Russia e gli accordi militari

Poi c’è l’attivismo di Mosca che cerca di recuperare posizioni in Africa. Ma lo fa stringendo accordi soprattutto militari. La Repubblica Centrafricana è diventata una base militare russa. Nel Paese, a fine luglio, sono stati uccisi tre giornalisti russi mentre indagavano sulle attività della controversa azienda di sicurezza Wagner, associata al Cremlino. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov è stato molto attivo: ha visitato Angola, Namibia, Mozambico, Etiopia e Zimbabwe, sottoscrivendo accordi per l’esplorazione mineraria, la cooperazione militare e per stabilire zone economiche.  L’annuncio più importante di Lavrov riguarda l’intenzione di realizzare un centro logistico in Eritrea, nell’area strategica del Corno d’Africa dove sta allungando le mani anche l’Arabia Saudita. In Eritrea si trovano i porti di Assab e Massawa, al centro di accordi con Etiopia e paesi del Golfo, mentre nella vicina Gibuti sono presenti basi militari statunitensi, di paesi europei e della Cina. La prima installazione militare di Pechino fuori da suoi confini.

Numeri e strategie che, ad oggi, hanno avuto un impatto significativo sul Pil, ma non sull’indice di sviluppo umano, anche guardano le stime e le proiezioni sui prossimi 20-30 anni. In tutto ciò l’Unione europea è poco presente. I numeri tuttavia chiariscono, più di ogni altro ragionamento, che per l’Africa è necessario un piano di sviluppo globale che non può avere l’orizzonte delle scadenze elettorali. Ma non solo. L’esercizio e lo sforzo che deve mettere in atto l’Occidente ricco è quello di limitare, sempre di più, la bulimia di denaro e potere della stragrande maggioranza di presidenti e governati africani, che assomigliano sempre di più a dinosauri ancorati al trono noncuranti del popolo.

Se non si ha il coraggio di studiare un piano Marshall per l’Africa, a pagarne le conseguenze saranno milioni di giovani africani che non si rassegneranno certo a soffrire la fame e i cambiamenti climatici, ma premeranno per trovare vie di uscita e dignità dove ora non la trovano: in Europa. 



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