Il matrimonio non è mai uno scherzo. Nemmeno in tv

Cosa ci insegna il caso della coppia che si è sposata per un reality-show e non è più riuscita ad annullare il matrimonio

matrimonio prima vista annullamento causa
Claudio Beduschi / Agf 
Matrimonio, nozze

Il format italiano della piccante serie Married at first sight che aveva spopolato in Australia, Usa e Londra prevedeva (e continua a prevedere a tutt’oggi, essendo in cantiere la quarta edizione) un ‘esperimento sociale originale.

Tre coppie formate da single in cerca del compagno per la vita - o forse, più probabilmente, di un evidente tornaconto in termini di vanità (andare in tv) e di soldi - vengono abbinate da uno psicoterapeuta, un sociologo e un sessuologo e si devono sposare ‘al buio’ senza che i nubendi si siano mai visti né conosciuti prima. Dopo il matrimonio, gli sposi devono convivere per 5 settimane - debitamente ripresi dalle telecamere giorno e notte - terminate le quali devono pubblicamente dichiarare se rimanere sposati o separarsi. Se i fiori d’arancio finiscono nel cestino, nessun problema: i due coniugi, finito il periodo di registrazione del programma, possono separarsi consensualmente entro 6 mesi dal matrimonio e poi divorziare, interamente a spese della produzione televisiva.

Chi supera i provini, viene invitato a firmare un contratto con la società di produzione che prevede, tra le altre cose, l’obbligo del concorrente di non abbandonare il programma, pena il risarcimento dei danni economici e di immagine della produzione.

Ebbene, due avvenenti giovani - cantante lei, gelataio lui - parteciparono nel 2016 ai provini della seconda edizione italiana e vennero selezionati. Prima della sottoscrizione del contratto, l’uomo manifestò alla produzione alcune perplessità. Il contratto gli pareva troppo vincolante, ma la produzione lo rassicurò: totale assistenza e disponibilità in caso di difficoltà legate a ogni fase della realizzazione. Così il giovane superò la propria ritrosia e accettò. Si convinse quindi a sposarsi ‘al buio’ con la fanciulla dinnanzi ad un Sindaco, alla presenza di testimoni e ospiti, come da copione.

Senonché, al termine del periodo delle riprese, i due decisero di separarsi consensualmente e si rivolsero alla produzione affinché mettesse in atto quanto garantito. La produzione suggerì ai coniugi di separarsi facendone richiesta all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di residenza in forza della L. 55/2015.

Tuttavia la ragazza, nel seguire il consiglio, scoprì tristemente che l’atto di matrimonio riportava una data e un luogo di celebrazione diversi da quelli effettivi, il che rendeva impossibile all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di residenza della donna procedere alla separazione dei coniugi. La società di produzione, debitamente interpellata dalla coppia, non fornì alcuna soluzione.

I coniugi, indispettiti dall’inerzia della società di produzione, decisero quindi di chiedere congiuntamente l’annullamento del loro matrimonio. Invalido, a detta loro, sia perché l’atto di matrimonio era viziato (data e luogo differenti da quelli reali) sia perché viziata era anche la volontà degli sposi (pur avendo espresso  il fatidico “si” nelle forme previste dalla legge, lo avrebbero fatto con riserva mentale sapendo di dover sborsare ingenti somme a titolo di risarcimento nel caso avessero deciso di non sposarsi).

Il Tribunale di Pavia, investito della causa, si è recentemente espresso sul caso (sentenza 4.4.2019). Quanto al vizio dell’atto di matrimonio, ha affermato che la violazione di legge sussiste ma è passibile solo di sanzione amministrativa (bagatellare peraltro, da 30 a 206 euro). Quanto al vizio della volontà degli sposi, ha sostenuto che l’eventuale riserva mentale di uno sposo in ordine al matrimonio non rileva ai fini della validità del matrimonio stesso. Ciò che rileva è invece unicamente la volontà dichiarata di sposarsi.

Del resto, il contratto con la società di produzione evidenziava la consapevolezza e l’accettazione da parte dei concorrenti che il matrimonio sarebbe stato pienamente valido a tutti gli effetti e che da esso sarebbero conseguiti tutti i diritti e gli obblighi di legge.  

Nel ritenere perfettamente valide le nozze “nozze al buio”, Il Tribunale ha pertanto posto a carico dei due sposi le spese di causa.

Quanto diverse sarebbero state le cose se il matrimonio fosse stato religioso?

Per la legge della Chiesa, e cioè per un Tribunale ecclesiastico, la riserva mentale rappresenta una delle principali causa di nullità del matrimonio. Non l’unica, ma forse la più “profonda” di tutte. Molto difficile da “dimostrare”, naturalmente. Ma il punto è che anche se un nubendo in Chiesa ha assolto puntualmente tutte le “forme” volte a certificare la propria volontà di sposarsi, ma in qualche modo viene fuori che ha mentito riguardo alla propria sfera intima e personale, cioè ha “detto sì” ma in realtà “pensava no”, o anche solo “non so”, allora il matrimonio è nullo. Non è che viene annullato: è nullo, cioè è come se non fosse mai stato celebrato.

Il matrimonio è del resto, per la Chiesa, l’unico sacramento i cui ministri sono gli sposi stessi: se un uomo e una donna fossero su un’isola deserta e volessero sposarsi basterebbe che lo dicessero e per la Chiesa sarebbe un matrimonio perfettamente valido, solo da registrare il giorno in cui eventualmente arrivasse una nave a salvarli. Nel matrimonio religioso il prete è solo l’intermediario che certifica quanto è ormai avvenuto (“vi dichiaro…”), ma sono gli sposi a dire “io prendo te come mia sposa” “io prendo te come mio sposo”. Anzi, questa del “prendo” era la formula vecchia. Da diversi anni la formula dice “accolgo”. E’ nel momento in cui si dicono queste parole che si diventa marito e moglie, non quando si mette la firma.

E’ evidente che se le cose stanno così la riserva mentale conta eccome.

Come abbiamo visto, se la riserva mentale costituisce addirittura causa di nullità del matrimonio religioso, non inficia invece in alcun modo la validità di un matrimonio civile.

Pertanto, chi decide liberamente di partecipare a programmi televisivi che propongono oltre a una certa effimera notorietà e un pugno di quattrini, anche le nozze, deve mettere in conto che quel matrimonio è perfettamente valido e che comporterà l’assunzione di tutti i diritti e i doveri previsti dalla legge: fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale, collaborazione, contribuzione in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro ai bisogni della famiglia, mantenimento, educazione e istruzione dei figli.

Varrebbe dunque la pena soffermarsi a riflettere sulla opportunità di format come quello in esame, che propone con una certa disinvoltura allo sterminato pubblico televisivo italiano esperimenti sociali che “partono dalle” (anziché “arrivare alle”) nozze.

Perché il matrimonio non è una “scommessa”, come certa televisione vorrebbe far credere al pubblico meno accorto, ma un vero e proprio contratto.

 



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