(Di Emanuela Stella)
E’ un finale con suspence quello che si prospetta al Premio Bancarella il prossimo 20 luglio. Stando alle voci della vigilia, sara’ uno scontro serrato fra “L’armata perduta” di Massimo Valerio Manfredi, celeberrimo autore della trilogia “Alexandros”, tradotta in tutto il mondo, e “La lista di carbone” di Christiana Ruggeri, giornalista al suo primo romanzo, che potrebbe rivelarsi un “dark horse”, quello che nel gergo politico americano e’ l’esordiente che potrebbe realizzare un exploit inaspettato. “La lista di carbone” ha tutte le carte in regola. E’ una storia d’amore, una storia di coraggio, una storia che e’ anche un inno alla vita, nella quale Christiana Ruggeri, giornalista del Tg2, ha ricostruito minuziosamente una pagina di storia tragica, quella della Shoah, riuscendo a far scattare una molla che non stimola l’emotivita’, ma piuttosto una emozione profonda. La lista di carbone del titolo e’ un elenco di deportati da salvare scritta col carbone sulle foglie secche che avvolgono le pannocchie di mais, a mo’ di carta.
Poteva apparire temerario avventurarsi nella “terra incognita” della Shoah raccontata di prima mano, ma Christiana e’ riuscita nell’impresa, risultando convincente e coinvolgente.
“Ho osato parlare della Shoah, sicuramente la pagine piu’ nera della storia contemporanea e non solo, usando lo schema ‘leggero’ del romanzo e un linguaggio diretto, che e’ quello dei giovani”, spiega. E giovanissima e’ la sua protagonista, Anna, che nella ricerca di un argomento per la tesi di laurea “inciampa” quasi per caso in una storia piu’ grande di lei, quella dello sterminio degli ebrei, ripercorrendo la discesa agli inferi di tante vittime innocenti. Grazie all’incontro con l’anziana Cristina, Anna scopre un segreto custodito per una vita e una storia che la rendera’ diversa e migliore.
Anche lei, come Anna, si e’ imbattuta per caso in questa storia? O forse ‘per caso’ non accade mai nulla?
“Nelle storie non ci si imbatte mai per caso. Sono loro che ci trovano. E’ l’interesse o forse la curiosita’ che ci suscitano che ce le rende ‘nostre’. I sopravvissuti alla Shoah non lasciano mai indifferenti. Il loro pudore, la tristezza tenuta a bada dal coraggio, e’ questo che a miei occhi li rende esemplari. Ci vuole molta forza a credere nella vita quando tutto intorno c’e’ solo morte e privazione. Il mio e’ un omaggio a chi crede alla vita contro tutto e tutti. E Anna ‘l’ha capito’”.
A quale lettore pensava mentre scriveva il libro? La giovane protagonista ha un piglio molto fresco e credibile, che aiuta a rendere tollerabile il viaggio nell’orrore.
“A me stessa, con uno ‘sconto’ anagrafico, per il piacere di scriverlo. Sperando di suscitare qualche emozione nei lettori: un privilegio non da poco. Volevo che fosse realistico. Per questo ho fuso e confuso la storia di due campi, accurata nel minimo dettaglio e la fantasia. E ho scelto un linguaggio veloce. Metropolitano. Un giovane d’oggi puo’ cadere nei luoghi comuni per superficialita’, non per cattiveria. Alla mia protagonista accade questo. La sua invadenza pian piano si trasforma in affetto, cura e curiosita’ propositiva: per la signora ebrea e per se stessa”.
Cosa pensa della letteratura pensata per i giovani o ‘giovanilista’?
“Senza generalizzare, bene e male. I giovani non sono una categoria. E sono molto, molto piu’ interessati e preparati di quello che noi giornalisti raccontiamo. ‘Ok’ per il ‘tvtb’, ma non fermiamoci a questo: offenderemmo la loro intelligenza. Siamo stati ‘teen’ tutti, mi pare”.
Un’opera prima e subito la sestina del Bancarella, un premio nel quale una giuria di 200 librai sceglie il libro dell’anno. Se lo aspettava?
“Quando me l’hanno comunicato, credevo fosse uno scherzo. Conoscere il mondo dei librai e’ stata un’esperienza affascinante e costruttiva. Rispetto al lavoro estenuante che alcuni di loro fanno, il ricavato e’ irriguardoso: e’ la passione che li muove, prima del profitto. Ci sono librai con
Ancora sul Bancarella: e’ una sorta di rivincita del libraio che orienta il lettore e che sa consigliare un libro, rispetto alla “anonima” grande distribuzione?
“Il libraio bravo e’ come un medico di fiducia: ti affidi e ti fidi. E’ una categoria in via di estinzione ma grazie a Dio ce ne sono ancora tanti di librai doc. Bisogna preservarne il lavoro e sceglierli bene. E allora e’ fatta!”.
Il suo impegno nell’associazione I bambini di Nassiriya l’ha resa piu’ sensibile a temi tragici come quello della Shoah?
“Non tollero la violenza. Men che meno sui bambini. I piccoli iracheni hanno suscitato tutto lo spirito materno che una donna occidentale e fortunata come me potesse avere. Il progetto e’ tuttora in atto. Pensare ai bambini in un campo di sterminio (pensiamo a quelli odierni in Tibet, i laogai) che non sono piu’ tornati, a quello che hanno visto, subito e’ raccapricciante. Ieri come oggi e domani, il rispetto verso i bambini va combattuto con maggiore energia. Chi fa il nostro lavoro ha l’obbligo di denunciare ogni forma di violenza: fisica e verbale. E’ un dovere etico. Chi non lo fa, cambiasse pure professione. Ce ne sono tante, no?”.
16 luglio 2008