(di Rita Lofano)
Compira’ trentanove anni il prossimo 18 agosto eppure Daniele Silvestri e’ sulla cresta dell’onda da oltre un decennio. Con “La paranza”, presentata a Sanremo, ha spopolato, trascinando sulle sue calienti note fan di tutte le eta’: nonne e bambini compresi.
Ma e’ vero che hai avuto addirittura paura di vincere il Festival?
Puo’ sembrare snobismo o un po’ come la maledizione di Tutankhamon ma temevo che la vittoria potesse cannibalizzare le altre canzoni. C’era un intero disco che volevo far passare. Ero abituato a stare altrove. Stare nella parte bassa della classifica mi fa sentire piu’ a mio agio. Vincere mi pareva eccessivo. Certo sono stato io il responsabile, sono stato io ad andare a Sanremo.
Ora sei in tour. Percepisci, durante i concerti, questo nuovo tipo di successo, cosi’ trasversale tra le generazioni?
No, non ho percepito questo tipo di passaggio. Mi e’ successo piu’ con “Saliro’”. In quell’occasione ho avuto la sensazione di un successo generalizzato, non mi era parso cosi’ fino a quel momento. Mi sono sentito orgoglioso di aver messo in fila generazioni diverse. Oggi l’ho sentito meno perche’ i miei impegni musicali sono gia’ molto trasversali: mi capitano le situazioni piu’ diverse: dal concerto di Torino con 3.000 persone alla situazione piu’ raccolta come il carcere in cui abbiamo suonato. Poi il successo in se’, per me, ha un valore relativo: conta piu’ la credibilita’ .
L’altro grande successo del tuo ultimo album, “Il latitante”, e’ “Gino e l’Alfetta”, che e’ diventato l’inno del gay pride al quale hai partecipato proprio con l’Alfetta del video appenna uscito, con Mastrandrea e Liotti protagonisti insieme a te. Un modo per prendere le distanze dai luoghi comuni o qualcosa di piu’?
Parlare di impegno forse e’ troppo, anche perche’ le polemiche sui “dico” e sui “pacs” sono arrivate dopo. Era solo la voglia di smantellare luoghi comuni, smontare le ipocrisie e sfumare le definizioni, in modo gioioso, raccontando senza incasellare, anche perche’ si tende a dare spazio, sui mezzi di comunicazione, solo ad un certo tipo di omosessualita’ che e’ quella piu’ eccessiva.
Il gay pride non e’ stato proprio all’insegna della sobrieta’.
Be’ quest’anno al gay pride non ci sono stati eccessi particolari . Poi e’ chiaro che e’ come se fosse un carnevale, perche’ ha il suo centro in una sola giornata dell’anno ed e’ giusto in un carnevale sentirsi liberi di esagerare. E’ un eccesso che va capito, giustificato. Io il corteo l’ho fatto tutto e c’era un bel mondo, vario, tanti colori. Un motivo in piu’ per esserci.
Condividi il metodo di quell’insegnate che ha obbligato un suo alunno a scrivere 100 volte sono un deficiente perche’ aveva usato la parola gay per offendere un coetaneo?
L’insegnante ha usato un metodo un po’ coercitivo pero’ la motivazione era giusta e mi piacerebbe che la scuola fosse in grado di educare alla diversita’. Io cerco di educare i miei figli alla diversita’ incuriosendoli. Viaggiando, ad esempio. E poi ci vuole sempre amore nel trasmettere certi principi oltre che esperienza.
Tu ti sei preso un lungo periodo di pausa per stare con tuoi figli.
Si, mi sono preso un lungo periodo di pausa per stare con i miei figli. Per fortuna l’ho fatto e l’ho fatto anche con il timore di essere troppo presente, pensando gia’ a periodi come quello che sto attraversando con il tour e cioe’ a quando ci sarei stato poco. In realta’, ora sono io quello che sta male perche’ sta lontano da loro. Ho capito invece che i figli hanno piu’ bisogno di qualita’ che di quantita’.
Utilizzi mai i tuoi figli come “cavie d’ascolto” per le tue canzoni?
Loro sono stati, involontariamente. Ero in macchina con mia moglie Simona e i nostri figli erano seduti dietro. Stavamo sentendo il provino del “La Paranza”. Ero molto indeciso e anzi quasi pentito. Pensavo: “ma ora che sono padre non posso presentarmi con una canzone che comincia con una parolaccia”. Ho tolto la musica e mio figlio maggiore mi ha detto: “papa’ rimetti la canzone della stronza!” Li’ ho capito che probabilmente sarebbe piaciuta.
Che ne dici di Walter Veltroni come leader designato del partito democratico?
Credo sia l’unico leader possibile, l’unica arma possibile per dare un senso all’operazione . Forse mi sarei aspettato che accadesse un po’ piu’ avanti. Ma sono molto contento. Mi dispiace un po’ come cittadino di Roma perderlo.
E Luca Cordero di Montezemolo in politica come lo vedi?
Non mi sembra particolaremente utile la sua discesa in campo ma penso anche che non possa arrecare danni particolari. Quello che e’ certo e’ che non rappresenterebbe nulla di nuovo, anche anagraficamente, non e’ un nuovo punto di partenza. Veltroni, al contrario, ha dimostrato di sapere puntare sui giovani.
Quale canzone il pubblico ti impone, per cosi’ dire, di non far mancare mai nei tuoi concerti?
E’ “Cohiba”, una canzone del 1996, dedicata a Ernesto Che Guevara. E’ una canzone che si e’ guadagnata il suo successo negli anni ed e’ la canzone che non puo’ mancare nei miei concerti e che spesso li chiude.
Musicalmente non sei catalogabile in un genere, e’ un limite o un punto di forza?
Ho perso molto tempo a pensare che questo fosse il mio problema, e’ una domanda che mi fanno sempre, per questo mio approccio un po’ incosciente, perche’ non riesco a trovare in nessuno stile una dimensione che mi contenga. Tuttavia credo che non mi venga benissimo nulla ma che mi riesca molto bene saltare qua e la: come un regista sento di avere a disposizione linguaggi e ruoli diversi.
Gioco della torre. Butti giu’ Pippo Baudo o Paolo Bonolis come presentatore di Sanremo?
Butto giu’ Bonolis, per una questione affettiva. Penso di dovere qualcosa a Pippo che si e’ trasformato da gelido e spietato tessitore del festival a zio affettuoso. E’ perfino diventato uno che ha il coraggio di dire cose che altri non direbbero. e’ come se alcune esperienze della sua vita, e forse anche il fatto di non dover essere sempre e comunque il numero uno, gli abbia fatto bene.
E tra l’Alfetta o la Cinquecento?
Per le stesse ragioni affettive scelgo l’Alfetta. E’ la prima macchina che ho conosciuto perche’ ce l’aveva mio padre…certo pero’ prima ha avuto anche una Cinquecento. Dopo averla guidata al gay pride scelgo comuque l’Alfetta anche se mi piace la Cinquecento.