(AGI) - CdV - Pubblicata il 14 settembre 1991 in occasione del 90esimo anniversario della Rerum Novarum (il ritardo di alcuni mesi fu dovuto all'attentato in Piazza San Pietro), l'enciclica Laborem exercens guarda all'uomo che si trova in mezzo alle questioni e ai conflitti sociali del tempo presente e lo considera legato soprattutto al problema del lavoro, che dall'illuminismo e dalla rivoluzione industriale in poi è stato oggetto sia di esaltazioni più o meno retoriche, sia di valutazioni economicistiche e materialistiche, sia di sfruttamenti che avvilivano e quasi abbrutivano il lavoratore. L'enciclica di Giovanni Paolo II e’ quindi sul lavoro, o meglio sul valore umano del lavoro, e ancor più propriamente, sugli "uomini del lavoro".
Per Giovanni Paolo II, il problema del lavoro è la chiave della questione sociale. Lo è soprattutto per il suo carattere soggettivo e personalistico, ma anche per la sua relazione con la famiglia, la nazione, la società umana cosi com'è in questo tempo e nella sua continuità con gli altri tempi, nei quali si è costituito il patrimonio della cultura umana di cui si alimenta ed al quale i lavoratori - come gli intellettuali e tutte le categorie di cittadini - hanno dato e danno il loro apporto. Intorno al lavoro si crea cosi una solidarietà umana, che abbraccia passato e presente ed è aperta al futuro. Nell'epoca dell'industrializzazione la solidarietà si è formata in termini di classe lavoratrice e specialmente operaia, opposta ai datori di lavoro, per le condizioni in cui si trovavano generalmente i lavoratori, e ha generato quindi la lotta di classe. Il lavoro e il capitale devono invece essere associati in nuove forme di partecipazione e di cointeressamento, con la conseguente ammissione all'uso e alla proprietà dei beni della terra in misura adeguata alla dignità di ogni uomo, per il principio della destinazione universale dei beni. Con Leone XIII e i suoi successori, il Papa riafferma il diritto dei lavoratori a unirsi nei sindacati, che ritiene necessari nella struttura della società moderna. Riconosce il diritto di sciopero, ma alle debite condizioni. Parla poi dei diritti dei lavoratori all'occupazione e al giusto salario, con particolare riferimento ai lavoratori agricoli, agli emigrati, ai giovani, alle donne, ai disoccupati intellettuali, agli handicappati. Egli riconosce che il movimento operaio sotto i segni del socialismo marxista sia spiegabile in base alle reazioni contro gli abusi del capitalismo: ma condanna i nuovi abusi e le maggiori oppressioni in regimi dove viene meno il rispetto ai più fondamentali diritti della persona e ai più sacri principi della coscienza. Il Papa indica perciò una vita nuova e diversa: l'associazione del capitale e del lavoro e una sapiente pianificazione o programmazione economica, rispettosa della dignità e libertà dell'uomo.
L'uomo, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all'incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l'uomo ne è capace e solo l'uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.