Donald Trump ha messo in discussione la strategia dei "due Stati" che è stata condivisa da tutti i presidenti statunitensi negli ultimi 40 anni e che è l'obiettivo cui da decenni stanno lavorando le Nazioni Unite.
"Che siano due Stati o uno, a me va bene la formula che piace a entrambe le parti. Per un po' mi è sembrato che la più semplice fosse quella dei due Stati, ma sinceramente se Bibi, se Israele e i palestinesi sono contenti così, io sono contento della formula che loro preferiscono" ha detto in occasione dell'incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyah, chiudendo di fatto con la linea alla base della politica estera americana sul Medio Oriente, come l'aveva formulata negli anni '70 dall'allora consigliere per la sicurezza nazionale americano, Henry Kissinger, e ribadita dagli Accordi di Oslo fra israeliani e palestinesi nel 1993.
Reduce dagli anni 'bui' di Barack Obama, con il quale i rapporti erano sempre stati tesi, il premier israeliano ha incassato le dichiarazioni del nuovo inquilino della Casa Bianca con soddisfazione. Non è stato così sugli insediamenti in Cisgiordania, per i quali il presidente americano ha auspicato "uno stop per un po'". Ma Trump ha poi citato: la minaccia iraniana, l'incitamento all'odio insegnato nelle scuole palestinesi, la necessità che ci sia un riconoscimento palestinese di Israele come Stato ebraico: musica per le orecchie di Netanyahu che su Twitter ha segnalato la svolta, parlando di "un incontro eccellente con Trump, un grande giorno per Israele".