(AGI) - Roma, 28 mag. - Un bagno di sangue, una strage rimasta impunita: 30 anni dopo la strage dell'Heysel e' una ferita ancora aperta. Famiglie intere, andate a Bruxelles con la speranza di festeggiare la prima Coppa dei Campioni juventina, che hanno trovato la morte nel settore Z dello stadio, travolti dalla furia degli hooligans ubriachi.
Gli inglesi, approfittando della mancanza di forze dell'ordine - in ferie dopo la visita del Papa in Belgio, e' la denuncia di chi quel giorno era li' - caricarono i supporters bianconeri che per difendersi si ammassarono contro il parapetto del settore ospiti. La barriera cedette e a decine precipitarono nel vuoto. In 39 persero la vita. Da allora molto si e' detto e scritto, spesso perdendo di vista l'unica cosa che conta: il mantenimento della memoria e della verita', nel rispetto delle vittime e dei loro famigliari. Emilio Targlia, giornalista testimone, nel libro 'Quella notte all'Heysel' (Sperlig & Kupfer, 178 pagine, 14,90 euro) ripercorre la vicenda, raccontando quello che ha visto all'interno dello stadio,condividendo lo sgomento, l'incredulita' e la rabbia che seguirono.
D - Heysel continua a "vivere" con noi e, spesso, contro la pigrizia della nostra memoria. Qual e' la prima immagine che viene in mente riavvolgendo il nastro?
R - Un padre di famiglia. Un uomo che, preso da un attimo di follia, mi affida il figlio e tenta di raggiungere il settore Z che avevamo di fronte. E' stato un attimo, poi probabilmente si sara' reso conto che non avrebbe potuto essere d'aiuto in nessun modo, ed e' tornato indietro. Ma un'altra immagine che restera' indelebile nella memoria e' il mio ritorno allo stadio il giorno seguente. Ero andato per portare un mazzo di fiori e mi ritrovai a camminare tra sciarpe insanguinate, macerie e scarpe rimaste a terra.
D - Cosa ha scatenato il tutto?
R - Non fu una sola la causa. Piu' che altro fu una serie di eventi. Uno stadio obsoleto e fatiscente, un servizio d'ordine non all'altezza e migliaia di inglesi ubriachi pronti a "caricare" i tifosi italiani. Fu tutto sbagliato anche la vendita dei biglietti, troppi, e infine anche il mancato divieto di vendita di alcol.
D - Entrati allo stadio avevate avuto il sentore che potesse accadere qualcosa? Avevate capito la gravita' della situazione?
R - Eravamo a conoscenza delle "turbolenze" dei tifosi del Liverpool. Arrivando allo stadio avevamo incontrato inglesi ubriachi avevamo sentito parlare di risse, ma non pensavamo che la situazione potesse degenerare in questo modo. L'anno prima a Roma c'era stato l'incontro con il Liverpool, in uno stadio grande il doppio, non c'erano stati problemi e tutto era stato gestito bene. Come avremmo potuto immaginare che i belgi sarebbero potuti essere tanto disorganizzati? Qualche tempo dopo si venne a sapere che il Papa, Giovanni Paolo II, quindici giorni prima del mach era andato in visita a Bruxelles e per l'occasione erano stati impiegati i corpi d'elite specializzati nell'ordine pubblico. Il giorno dell'incontro erano tutti ferie.
D - E le forze dell'ordine presenti allo stadio, come intervennero?
R - I poliziotti sul campo erano davvero pochi, io ne contai 5 o 6. Mi dissero che molti erano impegnati fuori dallo stadio, nessuno si rese conto che il rischio e la situazione da tenere sotto controllo era all'interno. Appena inizio' lo spostamento di massa, qualche italiano riusci' a fuggire "invadendo" il campo, ma fu preso a manganellate. Il servizio di sicurezza non era stato nemmeno addestrato sui colori delle maglie delle due squadre, non riuscivano a riconoscere gli hooligans dai tifosi italiani.
D - Le autorita' calcistiche decisero comunque di far disputare la partita, e' stata una scelta giusta?
R - Assolutamente si'. Sarebbe stato un gesto folle non far disputare la gara. Sarebbero venute a contatto le curve e si sarebbe scatenato l'inferno.
D - Qual e' il modo migliore per non dimenticare i 39 morti?
R - Un buon esempio lo ha dato la curva della Juve nel corso dell'ultima partita contro il Napoli, issando uno striscione con i nomi dei 39 tifosi morti nella tragedia. Non bisognerebbe parlare solo di numeri, ma raccontare storie per far capire e non dimenticare. Mi piacerebbe che il Coni, la Uefa, la Lega insomma le autorita' calcistiche organizzassero un minuto di silenzio, anche in tutti gli stadi, domenica prossima per il trentennale.
(AGI)
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