“Dio ti vede, Barillari pure” e “Privacy? Per me vuol dire provaci”. Eccoli i due personali mantra con cui Rino Barillari, da ex ragazzino calabrese che scattava foto ai turisti a Fontana di Trevi è riuscito a trasformarsi nell’incontrastato “King dei paparazzi”, il re della Dolce Vita, nonché testimone dei momenti salienti della storia italica, dal rapimento di Aldo Moro in su.
“Ero un “aiuto-scattino, ho cominciato così”, ricorda Barillari “poi mi sono trasferito a via Veneto e dintorni, a caccia di star. Ma per arrotondare mi arrangiavo anche con le “flashate” i finti scatti agli aspiranti playboy. Sborsavano 50 lire per tre lampi che avrebbero fatto accorrere torme di ragazze da quei romani solo bellocci, convinte che fossero invece delle famose star braccate dai noi paparazzi”.
Ma adesso il famoso è lui. A 74 anni, ancora operativo al Messaggero, Barillari nella sua vita ha scattato oltre tre milioni di foto e ha incamerato una lunga serie di onorificenze: Cavaliere, Commendatore della Repubblica e pure docente honoris causa in fotografia alla cinese Xi'an International University.
Dopo essere stato celebrato con il progetto The King of paparazzi, composto da una mostra al Maxxi, un libro biografico e dal film di Massimo Spano e Giancarlo Scarchilli, per il quale ha vinto il Nastro d’argento doc come protagonista dell’anno, adesso il King dei paparazzi è di nuovo sotto i riflettori con la mostra “Quaranta scatti della mia Dolce vita” che dal 6 giugno alla fine di agosto, con le gigantografie delle varie Audrey Hepburn, Grace Kelly e Anna Magnani, impreziosisce i viali del Designer Outlet di Castel Romano.
La mostra è il risultato di una selezione “sentimentale” dal suo sterminato archivio. Immagini talvolta facili da incamerare, ma più spesso complicate, tant’è che racconta il “King dei paparazzi” all’AGI, nella sua vita ha collezionato “166 ricoveri al pronto soccorso, una coltellata, 11 costole rotte e 40 flash fracassati da chi non gradiva di essere ritratto”.
Tra le star che popolano questa nuova mostra da chi le ha prese?
“Da Ava Gardner. Ho rimediato un calcione che mi ha mandato all’ospedale, quella sera era ubriaca e il flash sparato in faccia l’aveva evidentemente innervosita. Ma le prime e anche più fruttuose botte della mia vita le ho prese una notte del 1964, da Peter O’ Toole. La soffiata mi arrivò dal playboy Gianfranco Piacentini. Mi telefonò dicendomi “Corri in via Veneto, c'è Peter O' Toole ubriaco con l’attrice Barbara Steele. Mi precipito, lui, che era sposato, arriva al braccio della collega, mi vede e mi sferra un cazzotto gettandomi a terra. Io finii al pronto soccorso del Policlinico dove mi suturarono l'orecchio ferito, lui al commissariato di Castro Pretorio. Ero minorenne, mio padre fece causa a O' Toole che mi ripagò con un milione di lire, il risarcimento più alto ottenuto da un paparazzo che cambiò parecchio la mia vita. E dopo tre anni ‘O Toole mi chiese pure scusa”.
Tra le dive in mostra chi sono invece quelle rimaste nel suo cuore?
“Sicuramente Anna Magnani e Sophia Loren. La Magnani era una diva ma è sempre rimasta Nannarella, donna alla mano che non si è mai negata ai fotografi. Quando vado al Circeo vado sempre a portare una rosa sulla sua tomba: le sono devoto perché mi ha fatto crescere professionalmente, creando lei stessa le situazioni fotografiche vincenti: mi vedeva ragazzino e allora mi aiutava, ad esempio addentando una mela presa su una bancarella e mettendosi in posa. Io tornavo al giornale con quelle foto meravigliose e i miei capi, stupiti, mi chiedevano: “Ma come hai fatto?”. Sophia poi è sempre stata gentilissima. Sapeva che noi paparazzi stavamo ore ad aspettarla fuori dai locali e ci mandava i camerieri con caffè e champagne. E poi oggi basta nominare il suo nome all’estero e tutti si illuminano, magari dopo averci denigrato con le parole mafia e Bunga bunga. Io credo che Sophia dovrebbe diventare senatrice a vita”.
È arrivato a Roma dalla sua Calabria ragazzino, quando ha capito di avercela fatta?
“Quando sono arrivato a Roma sognavo soltanto di sbarcare il lunario, non avevo grandi sogni di gloria. Ho capito di avercela fatta quando un giorno a metà anni Sessanta venni fermato a piazza di Spagna da Maria Angiolillo, moglie di Renato Angiolillo, il fondatore de Il Tempo. Mi chiese se non mi sarebbe sembrato più conveniente per me lavorare per un giornale e mi chiese il mio numero di telefono. Io allora condividevo un “duplex” con una vicina di casa che qualche giorno dopo mi chiamò: “Corri Rino, c’è il senatore Angiolillo che ti cerca”. Fissò un colloquio, mi inserì nel servizio fotografico, e da lì cominciai ad avere uno stipendio sicuro”.
Oggi le mancano i tempi della Dolce Vita, che effetto le fa passare a via Veneto?
“Mi manca, certo. Erano tempi felici che non torneranno più perché l’Italia non è più quella che nel dopoguerra aveva voglia di ritrovare la voglia di vivere, Roma non è più la Hollywood sul Tevere che attraeva 300 produzioni l’anno e i divi internazionali si vedono giusto a qualche festival o qualche presentazione di film o serie tv. A quei tempi non mi bastavano le pellicole dei rullini. Adesso le star vengono a Roma giusto per la Festa del cinema e per qualche presentazione. Che ci dovrebbe venire a fare oggi Leonardo Di Caprio? Quando passo in via Veneto dove una volta c’era il pieno di star e intellettuali provo “una grande umiliazione, perché non è più la cartolina di Roma, ma una strada con troppi locali chiusi e le buche nell’asfalto che di notte non pullula più di vip, ma è deserta”.
In quegli anni d’oro non c’erano smartphone e selfie a rubarle il lavoro…
“Lì dove c’erano solo gli obiettivi di noi paparazzi che ci piazzavamo a pochi metri dalle star, e per obbligarli a fermarsi, arrivavamo pure a bucargli le gomme dell’auto, adesso si materializzano inevitabilmente decine e decine di telefonini pronti a catturare l’immagine e postarla sui social. Un problema per noi ma anche per i vip che ormai hanno paura ad uscire di casa, non possono più fare una passeggiata in pace.
Come se ne esce?
“Io scatto solo quando i rompiscatole che realizzano foto senza storia non ci sono. Poche foto e vado via, è un po’ come giocare “a guardia e ladri”. E se arrivano perché, attratti dalla mia presenza, intuiscono che c’è qualche vip da immortalare, io per ingannarli punto l’obiettivo su mia moglie e loro ci cascano e cominciano a fotografarla, credendo che sia chissà chi”.
Però su Facebook c’è pure lei…
“Ma solo per giocare un po’, sui social non do una notizia neanche morto”.
Oggi chi sono i personaggi fotograficamente più appetibili?
Politici come Matteo Salvini, ma solo se cambierà ancora fidanzata. E poi gli attori italiani come Pierfrancesco Favino, un gran fico oltre che bravissimo, Stefano Accorsi e Luca Argentero.
E tra le attrici?
“Ce ne sono tante brave e belle, ma devono stare attente a non esagerare con i ritocchi estetici, qualcuna ormai la riconosco giusto dai tatuaggi. Negli anni d’oro della Dolce Vita il botox non c’era. Ed era tutta un’altra storia”.