AGI - In un panorama discografico che a fatica viene fuori da uno stato di quasi mortificazione per le donne, che sono molto poche e molto poco spinte sul mercato se non in maniera direttamente relativa alla loro condizione di donne ancor prima che di artiste, il che rende doppiamente mortificante la loro condizione; circa un mese fa è uscito “Mostri”, terzo album di Giorgieness. Ed è un album stupendo, così intenso, eppure così etereo, così morbosamente autentico, eppure così leggero, accessibile, pop.
Che Giorgieness fosse un fenomeno lo abbiamo scritto molte volte in passato, ma la bellezza di questo disco supera anche le aspettative più impegnative. Lei ha una voce ipnotizzante, nel disco ti porta a spasso dove le pare, tra ricordi, rimpianti, analisi di rapporti con l’altro o con se stessi, amori naturalmente, che finiscono, è ovvio, ma anche ai quali ci si arrende, dentro il quale si soffoca o si prende aria e luce.
Si passa in un lampo dal pop dal sound vagamente elettronico, minimalista, a quello che si apre per lasciare spazio al cantato più melodico e articolato, e Giorgieness se la gioca in bilico tra una barricata e l’altra del genere in souplesse. Grande il lavoro in produzione di Ramiro Lavy (che è anche chitarrista dei Selton), Marco Olivi e Davide Napoleone, che hanno architettato un piano per fare uscire sempre tutta la sensualità, gonfia, pastosa, quasi tangibile, che proprio pesa nelle mani e nel cuore, delle parole e la voce di Giorgieness. Un vero piacere, uno di quei dischi che ascolti e sei molto felice di aver ascoltato.
È un mondo pieno di “Mostri”, ma quali sono i più pericolosi?
Sono tutte manifestazioni della mente, quindi quelli tuoi, interni, non i pericoli che vengono dagli altri ma quanto possa essere falsata la percezione, sia di noi stessi che del mondo circostante. Si può entrare in un loop autodistruttivo e questo è quello che mi fa più paura.
E cantarli in qualche modo ti ha aiutato ad esorcizzarli?
Io scrivo sempre in maniera molto egoistica, se prima era più per capirle le cose, oggi scrivo dopo averle capite. Sicuramente le canzoni sono un esorcismo, così come i concerti, che sono talmente catartici…ma è un buon modo per conviverci, anche per conoscerli meglio. Poi c’è una parte della scrittura che è inconscia, non può essere pilotata, e quella è la più vera e su quella ci ragiono.
È un disco molto intimo, tu come ti sei rivista una volta ascoltato il disco?
Felice, sorridevo. Forse è una cosa egocentrica ma avevo proprio bisogno di sentirmele dire quelle cose da qualcuno e noi musicisti abbiamo il superpotere di poterlo fare: se manca una canzone che parla di te, la puoi scrivere. Quindi mi sono sentita capita da me stessa, è come un abbraccio, molto bello.
È la sensazione che arriva, come se ti perdonassi anche in qualche modo…
Mi perdono ma non mi assolvo, perché si va avanti e si cerca di non fare più certi errori.
Nel disco ci sono diversi chiari riferimenti alla figura femminile, tant’è che poi è inevitabile che l’ascolto spinga ad una riflessione seria sulla condizione delle donne oggi, è una cosa che ti preoccupa particolarmente?
Sicuramente è un tema che mi tocca da vicino e nel profondo e non ho paura a definirmi una femminista intersezionale, detto questo io penso che sto cercando di portare avanti questo discorso anche con la musica. Io non sono molto brava a scrivere canzoni politiche però io credo che “Gilda” sia un inno alle donne che stanno passando dai 20 ai 30 anni, con le loro insicurezze, le paure stupide…Nel tempo ho raggiunto certe consapevolezze e subito determinate ingiustizie, e mi sono chiesta cosa potessi fare attivamente. Le canzoni non bastano, bisogna prendere delle posizioni, non è difficile da fare per nessun artista. Io non ho vergogna nel dire che a parità di competenza preferisco scegliere una donna o una persona appartenente ad una categoria in minoranza, invece che un uomo, perché questa è una presa di posizione. Io purtroppo non sono Beyoncé, di certo non ha la stessa risonanza, però continuerò a fare questa cosa e nel tour porterò più persone appartenenti a categorie marginalizzate con me e sul palco. Poi io ho la fortuna di avere a fianco degli uomini in gamba e che posso definire femministi, ed è molto bello e molto importante. Sicuramente non voglio escludere gli uomini dal mio lavoro, non credo però di poter lavorare con qualcuno che non la pensa come la penso io. Credo sia molto importante fare delle cose concrete e non soltanto parlarne sui social, perché non basta.
Tu hai mai avuto difficoltà nella discografia in quanto donna?
Sempre. Proprio perché sono una donna e c’è posto solo per poche e questo ci mette ancora di più una contro l’altra, rende complicato farci restare coese. Siamo tante e ci sono delle ragazze incredibilmente brave, non solo cantanti ma anche produttrici, musiciste, e questa cosa qui deve uscire, dovremmo riuscire ad avere meno paura. Una paura che capisco perché so quanto è difficile arrivare ad un certo punto, quindi non può partire solo da noi ma tutta la discografia deve mettersi una mano sulla coscienza.
Chiudi l’album con “Quello che vi lascio”, ma cos’è che vorresti rimanesse della tua musica?
Quello è uno dei miei pezzi di autocritica, è una riflessione su quello che non stavo facendo in quel momento. In realtà è anche una critica ad una mia certa pigrizia, che alle volte mi blocca e non mi fa fare nulla, che è una cosa che soffro molto. In generale io spero di lasciare qualcosa, non importa se viene capito adesso come tra un milione di anni, anche se spero adesso, ma io non smetterò di fare questo perché non so fare altro.
E domani che succede?
Be, c’è una sorpresina che uscirà con il vinile, perché il disco non è proprio proprio concluso; e poi in primavera si torna live e questa è la cosa più importante per me. Girerò con una superband di due persone e sarà il più bel live che ho mai fatto.