È stato un fervente sostenitore della collocazione occidentale del Paese. Meglio, uno sfegatato sostenitore della scelta “atlantista”, al fianco della Nato. Con gli Usa ha avuto un’interlocuzione privilegiata, al punto tale da guadagnarsi in un’epoca di “guerra fredda” - finita solo con l’89 e il crollo del Muro di Berlino, che non ebbe la fortuna di vedere perché scomparso esattamente il 26 marzo di dieci anni prima - l’epiteto spregiativo, per l’epoca, di leader del “Partito amerikano”, scritto con la kappa.
Sono trascorsi 40 anni dalla morte di Ugo La Malfa, segretario per dieci anni tra il 1965 e il 1975 del Partito Repubblicano (anche questo a volte scritto con la k), il Pri, a cui aderì nel 1946 dopo aver fondato il Partito d’Azione nel 1942. Più volte ministro, dei Trasporti, del Commercio estero, di Bilancio e Tesoro e deputato a partire dal 1946. E vicepresidente del Consiglio nel IV governo Moro (1974-1976). Dunque, un padre Costituente. O della Patria. Un fondatore della Repubblica.
La Malfa si è battuto tenacemente per l’intervento regolatore dello Stato nell’economia, per il controllo della spesa pubblica, per i tagli a quella parassitaria, per una rigorosa politica anti-inflattiva fino “a sostenere tutte le tesi più impopolari” che hanno avuto come fine quello di bloccare la corsa sfrenata delle rivendicazioni salariali di settore, nel tentativo di arrestare quella che Giovanni Spadolini, anch’egli repubblicano, già Presidente del Consiglio e poi Presidente del Senato, ebbe a definire “la Caporetto economica nel Paese” in un discorso ufficiale a due anni dalla sua scomparsa, il 6 aprile 1981.
Ed è anche stato un convinto nuclearista, in particolare all’indomani del disastro di Cernobyl, il 26 aprile 1986, attraverso la “longa manus” del suo ministro dell’Industria del tempo, Adolfo Battaglia. E poi molto legato a Enrico Cuccia, il potentissimo Presidente di Mediobanca.
Il rapimento di Moro, poi Sindona e Gelli
Di lui, il giorno del rapimento di Aldo Moro, il 16 marzo 1978, si ricorderà anche l’intervento sostenuto a caldo alla Camera dei deputati, a poche ore dall’eccidio della scorta del Presidente Dc in via Fani, un durissimo discorso – nell’ora più drammatica e buia della storia della Repubblica – in cui La Malfa fissava non solo la “linea della fermezza” sposata insieme al Pci di Berlinguer, ma proponeva allo Stato democratico di rispondere ad una “dichiarazione di guerra” con un’altrettanta dichiarazione di guerra:
“E non parlo così – come è stato detto questa mattina – perché sono stato preso dai nervi, ma perché conosco i rischi e i pericoli della vita politica. (…) Nessuno, ripeto, può proteggere i reggitori dello Stato, ma l’ultimo dei cittadini ha diritto alla nostra protezione, e questo deve essere il nostro impegno. A situazioni di emergenza debbono corrispondere provvedimenti di emergenza; altrimenti, questa emergenza finisce per diventare nient’altro che un luogo comune, e non serve che a riempirci la bocca”.
Dichiarazione che viene letta come la richiesta di introdurre la “pena di morte” in un ordinamento a carattere speciale.
Il nome di Ugo La Malfa significa anche lotta senza quartiere all’emergenza morale, simboleggia la risposta dell’Italia specchiata e onesta contro tutti i centri di potere “corrotti e inquinati, visibili e invisibili”. E qui il riferimento è alla sua ferrea opposizione alle cospirazioni affaristiche del banchiere privato Michele Sindona e alla ragnatela della P2, la Loggia segreta di Licio Gelli che ha penetrato, permeato e infestato lo Stato e tutti i suoi apparati.
È stato poi – a partire dal 1976 – anche un accanito sostenitore dell’”unità nazionale” e dell’ingresso dell’allora Partito comunista italiano nell’area di governo il sintonia con le tesi sostenute da Aldo Moro. Tanto che in quel periodo, in forza delle sue più che ottime relazioni con Oltreoceano, si spende e mette in atto un’ampia strategia per convincere la classe politica, economica e militare degli Stati Uniti ad accettare di buon grado l’esperimento della solidarietà nazionale, fors’anche nel tentativo di rassicurare l’alleato e contrastare così sul fronte interno le pulsioni delle componenti più retrive della società e della politica italiana. Spingendosi, a sostegno di questa necessita, a scrivere un importante articolo sulla prestigiosa rivista americana “Foreign Affairs”. Ma quando questo viene pubblicato nel marzo del 1978, Moro viene rapito dalle Br.
La battaglia per l'autonomia di Bankitalia
In una delle sue ultime battaglie, nelle amare giornate del marzo del ’79, poco prima di morire, si getta a capo chino a riaffermare l’autonomia della Banca d’Italia per allontanare le cospirazioni dei centri occulti già indicate nella pista che porta proprio a Michele Sindona e alla sua banca privata.
Sempre in quell’anno, a gennaio 1979, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini gli affida l’incarico di formare una nuova compagine di governo: “Eccomi qui crocefisso” dichiara subito dopo aver accettato contro voglia il nuovo ruolo. In effetti, il primo marzo il tentativo fallisce e il leader repubblicano si fa da parte per lasciare il campo ad Andreotti che però gli chiede di stilare il programma economico del nuovo esecutivo improntato ad una rigorosa quanto severa politica fiscale.
Ma prima ancora che il governo si presenti alle Camere viene colpito da un malore e il 26 marzo di quello stesso anno muore. Con la sua scomparsa, il programma di governo include solo una versione più blanda del suo progetto. Per tutta la sua esistenza ha cercato di tenere stretta l’Italia all’Europa, innalzandone il vessillo anche nel tentativo di evitare divorzi e scismi pericolosi e di resistere a quelle che all’epoca vengono definite “le tentazioni terzomondiste”.
Si dice che quella di Ugo La Malfa sia stata una “voce fuori dal coro”. Un pessimista, un uomo scomodo, una coscienza critica per un Paese inquieto. La storia di un uomo poco seguito in vita che, con la sua morte, sembra però aver lasciato un grande vuoto nella vita politica ed economica della nazione.