In un’intervista al Sole 24 Ore, l’ex ministro dell’Economia e delle finanze del governo Berlusconi, Giulio Tremonti afferma di essere rimasto molto colpito dalle parole usate dal premier Giuseppe Conte sull’intenzione – in materia di tasse, tassazione e fisco – di voler cambiare il costume degli italiani, perché gli richiama al tempo stesso Monti e anche Mussolini, “che poi aveva rinunciato”, perché dice Monti “è la via sbagliata”.
Ma l’ex ministro apprezza tuttavia il fatto che sta “emergendo la consapevolezza in ordine al fatto che il sistema fiscale deve essere riformato” anche se bisogna tenere ben presente che le riforme fiscali “occupano sempre archi di tempo lunghi, e sono collegate a fasi di notevole, a volte rivoluzionario, rilievo politico”.
Secondo Tremonti rispolverare vecchi slogan come “pagare meno, pagare tutti” o concentrare l’attenzione sul contrasto all’uso del contante è “un errore politico” perché “gli sconti fiscali, il cash back donato a chi paga con carta di credito favorisce i ricchi”.
“La riparazione dello stesso lavandino - spiega - costa meno a chi può dedurre la spesa, e costa relativamente di più a chi non può farlo” e alla base di quel che si sta discutendo in questi giorni “c’è un’idea della fiscalità congegnata in termini di polizia, applicata a un popolo di dichiaranti e delatori, e basata sull’idea che la tassa sia una forma di espiazione penitenziale o premiale”.
L’ex ministro contesta anche i numeri dell’evasione, affermando ad esempio che “le e statistiche millimetriche sull’evasione - perché 109 e non 108 o 111? - mi ricordano gli studi sull’estensione dei peccati mortali condotti al tempo della controriforma”. In verità “circolano numeri magici, casuali” e il solo fatto di crederci, ad avviso di Tremonti, “è indice di scarsa capacità di governo”. Ma detto questo, bisogna tuttavia considerare che l’Italia ha già una pressione fiscale elevatissima: se l’evasione fiscale è alta ed è recuperata, cresce in corrispondenza anche la pressione fiscale. Ma solo fino al punto di rottura del sistema”.
Al quotidiano confindustriale chiede se allora, in considerazione di ciò, la lotta all’evasione vada archiviata, Giulio Tremonti risponde “certo che no”, ma aggiunge anche che questa azione “non può essere pensata come mezzo di copertura, anche perché le coperture da evasione si fanno solo con la cassa”. Ovvero, seguita, “prima incassi, e poi calcoli quanto è arrivato”. Le “copertura” della spesa pubblica fatta con le entrate previste da lotta all’evasione, spiega l’ex ministro, “erano lo strumento tipico della cosiddetta Prima Repubblica” che produceva deficit e debito.
Tuttavia, aggiunge, la strada della “cosiddetta flessibilità europea è un equivoco: non ci danno soldi ma debito” e la Commissione Ue “non può chiedere a luglio un deficit all’1,6% e poi concedere a ottobre per esempio un 2,2%” perché “già a luglio la congiuntura era negativa e l’austerity non era più di moda”.
Insomma, “i giudizi non possono essere stagionali” secondo l’ex ministro che tuttavia rispolvera una delle favole fiscali di Voltaire, secondo cui “il sovrano ha disperata necessità di nuove entrate e per questo convoca il governo e chiede nuove idee. Il capo del governo promette di impegnarsi e torna con la soluzione: introduciamo una tassa sull’intelligenza, funzionerà perché nessuno ammetterà di esserne privo”. Risultato? “Il sovrano lo ringrazia e gli dice: tu sei esente”. “Come si vede – chiosa Tremonti – la tendenza all’invenzione fiscale è secolare. E non sempre destinata al successo”.