A più di quattro anni dalla caduta della sua giunta il Partito democratico torna dividersi su Ignazio Marino. A riaprire lo scontro interno sull'ultimo sindaco dem della capitale è stata la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha assolto Marino per la vicenda scontrini. era il 2015 quando, a un anno dal suo insediamento, Marino fu travolto dalle polemiche inerenti alcuni rimborsi che - questa era l'accusa - il sindaco avrebbe richiesto per cene private. Ebbene, per i giudici di Cassazione, Ignazio Marino non si è macchiato di alcuni illecito.
Il Pd però non esulta. Perché all'epoca dei fatti, con Matteo Renzi 'stabile' a Palazzo Chigi e Matteo Orfini presidente del partito ma soprattutto commissario del Pd di Roma, furono proprio i dem a propiziare la caduta della loro stessa giunta e a farlo, non con un voto in assemblea, ma con le dimissioni depositate presso uno studio notarile e poi presentate in Comune davanti al segretario generale del Campidoglio. E questo perché da tempo la maggioranza del partito, allora saldamente in mano ai renziani, era convinta che Marino stesse facendo "danni" allo stesso Pd oltre che alla città di Roma.
Da Zingaretti un "abbraccio affettuoso"
Lo stesso Matteo Renzi, a Porta a Porta, si rivolse al sindaco - con cui il rapporto non era mai decollato - sfidandolo: "Governi la città, se ci riesce...". Di qui l'imbarazzo che attraversa in queste ore il partito. Il segretario in carica, Nicola Zingaretti, si è subito congratulato con l'ex primo cittadino di Roma: "Sono davvero contento per l'assoluzione di Ignazio Marino. Il tempo è galantuomo e con questa sentenza definitiva della Cassazione, si chiude la sua vicenda giudiziaria riconoscendogli la giusta correttezza dell' azione di governo di Marino a cui mando un abbraccio affettuoso".
Va ricordato, tuttavia, che Zingaretti proviene dalla stessa area politica da cui proveniva anche Marino, quella che faceva riferimento a Goffredo Bettini, deus ex machina della candidatura del medico chirurgo genovese a sindaco della Capitale. Chi non ha sostenuto Marino prima e dopo la sua elezione è stato invece Carlo Calenda che oggi giudica "suicida" il modo in cui il Pd di allora lo sfiduciò, pur riconoscendo i limiti della sua amministrazione nella Capitale.
Attestazioni di stima per l'ex sindaco sono arrivate anche da sinistra, da Roberto Speranza a Laura Boldrini, oltre che dai parlamentari più vicini a Zingaretti. Lungo, invece, il silenzio dei renziani che, solo in tarda mattinata, si sono espressi prima con Anzaldi, che accusa "il vecchio apparato" di voler fermare l'elezione a sindaco di Paolo Gentiloni (oggi presidente del partito accanto a Nicola Zingaretti), e poi con lo stesso Matteo Orfini, bersagliato da accuse e inviti a chiedere scusa sui social.
Orfini al contrattacco
L'ex commissario del Pd a Roma affida a un lungo post le sue ragioni: non si scusa Orfini, ma contrattacca sottolineando: "Alcuni, compreso qualche dirigente del Pd, mi chiedono di scusarmi per la scelta di sfiduciarlo. Ovviamente non credo di doverlo fare, perché quella scelta l'ho assunta spiegando fin dal primo momento che non era legata all'inchiesta".
Per Orfini, "Marino non era adeguato a quel ruolo, stava amministrando male Roma, la città era un disastro. Provai per un anno ad aiutarlo, troverete decine di dichiarazioni dell'ex sindaco che lo riconosceva. Difesi l'indifendibile, compresa la scelta di rimanere in vacanza in alcuni dei momenti più delicati della vita della città". E anche l'obiezione mossa contro Orfini di aver favorito la vittoria di Virginia Raggi a Roma è rispedita al mittente: "Ognuno può interpretare a piacimento il nesso di causa-effetto. Dal mio punto di vista, la Raggi l'ha portata il disastro amministrativo prodotto da Marino e un'inchiesta - Mafia capitale - che sconvolse la città e il Pd".